Schede telefoniche ricettate: la reticenza o i dubbi dell’imputato sulla provenienza delittuosa del bene provano il dolo eventuale

Anche nel caso dell’uso di schede telefoniche ricettate, per cui la giurisprudenza appariva meno severa.

Si trattava di schede telefoniche rubate e poi rivendute agli odierni imputati, uno dei quali ne aveva approfittato per molestare l’ex compagna. Giunge la condanna per ricettazione ex art. 648 c.p., che gli imputati impugnano contestando la mancata prova dell’elemento soggettivo – anche allo stato del dolo eventuale – del reato di ricettazione, con violazione di legge dell’art. 192 c.p., in punto di valutazione probatoria. Contestano altresì la tenuta logica del corpo motivazionale della sentenza appellata, ritenuta precaria nel ricostruire le plurime circostanze di fatto emerse in dibattimento. La Cassazione, Seconda sezione Penale, n. 1401 depositata il 15 gennaio 2014, ridefinisce i requisiti che l’atto di ricorso per Cassazione deve possedere ai fini dell’ammissibilità nel giudizio di legittimità e, altresì, specifica in punto di prova del dolo eventuale nel reato di ricettazione. Basta la reticenza o la confusione dell’imputato sulla provenienza illecita del bene per provare il dolo eventuale. La Cassazione s’adegua ad un filone giurisprudenziale consolidato , l’incapacità dell’imputato di giustificare il possesso del bene ricettato accede alla prova della consapevolezza della provenienza delittuosa. I giudici qualificano l’assenza di spiegazioni credibili sul possesso come elementi negativi i quali, se proposti, sarebbero in grado di poter ampliare il tema probatorio consentendone il vaglio delle parti e quello giudiziale, di seguito fornendo all’accertamento un maggior grado di attendibilità processuale. Attenzione ai pericoli di inversione dell’onere probatorio. Purché non si verifichi una inversione dell’onere probatorio, in taluni casi integrando una vera e propria prova diabolica per l’imputato, occorre che le condizioni circostanziali del fatto siano già in grado, da sole, di paventare la possibilità che l’imputato abbia avuto cognizione della provenienza delittuosa del bene – e questi non abbia argomenti a contrario tali da poterla confutare -. In presenza delle dette condizioni, si tratterebbe non di inversione dell’onere probatorio – non consentito -, ma di libero convincimento giudiziale , svincolato da canoni di legge e conforme ai principi di deducibilità logica e del sillogismo giudiziario. anche nel caso di schede telefoniche ricettate. Qualche tribunale locale era in passato apparso meno severo, in caso di schede telefoniche, in particolare quando i fatti di reato si riferivano a tempi in cui minore era la coscienza sul funzionamento e sui modi di rilascio delle schede medesime. In tali casi l’assenza di giustificazioni dall’imputato non provava il dolo, nemmeno quello eventuale. Oggi, sono note la nominatività della scheda e l’associabilità ad un ben identificato possessore, per cui un'eventuale acquisizione della scheda, oltre i canali propri del gestore telefonico, non può che essere fonte quanto meno di sospetto. La Cassazione odierna spazza via dunque anche quest’ultima eccezione. Quando si tratta di beni altamente fungibili. Il principio offerto dalla Cassazione – in punto di onere probatorio -, rischia di trovare resistenze più audaci , in caso di beni acquisiti di provenienza sospetta ma di immediata reperibilità , svincolati da procedure legali di acquisto o di detenzione e dunque caratterizzati da una maggiore portabilità ”. Per questo genere di beni, il libero convincimento giudiziale non è sempre fornito di quegli elementi e riscontri legali in grado di relazionare il possesso del bene di provenienza delittuosa ad una ipotesi di reato – la fungibilità dei beni rende sfuggente la verifica della illiceità del possesso -. In questi casi l’assenza di giustificazioni da parte dell’imputato, se ritenuta prova del dolo, rischia di sconfinare nel campo dell’onere probatorio a carico della pubblica accusa nel processo penale.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 novembre 2013 - 15 gennaio 2014, n. 1401 Presidente Gentile – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Reggio Calabria, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Locri in composizione monocratica che, in data 2 aprile 2004, aveva dichiarato gli odierni ricorrenti colpevoli di concorso nella ricettazione di particolare tenuità di una scheda SIM provento di furto denunziato in data 22 gennaio 1999, accertata nel maggio del 1999, condannando tutti - ritenute le circostanze attenuanti generiche in favore del solo S. - alle pene per ciascuno ritenute di giustizia. 1.1. Deve, in proposito, immediatamente evidenziarsi che, pur a fronte di una più ampia contestazione, riguardante la ricezione di un telefono cellulare marca Motorola Mod. Star Tac 85 completo di scheda SIM con due microprocessori uno avente n. omissis OMNITEL e l'altro con il n. omissis OMNITEL, provento di furto denunciato da M.B. in data 22.01.1999 presso i CC Stazione di Bologna - Arcoveggio. In omissis ” cfr. capo di imputazione riportato in epigrafe della sentenza di primo grado , e pur se il dispositivo della sentenza di primo grado dichiara gli odierni ricorrenti colpevoli del reato a loro ascritto in rubrica”, la motivazione del Tribunale è all'evidenza chiara e netta nell'affermare la responsabilità dei tre unicamente in relazione alla ricettazione di una scheda SIM quella utilizzata per effettuare molestie telefoniche in danno di B.R. , che avevano dato il via alle odierne indagini Per quanto attiene alla condotta posta in essere dagli odierni imputati, non vi è dubbio che la stessa rientri in una di quelle previste dall'art. 628 rectius, 648 c.p., avendo il F. , il B. e lo S. ricevuto ed utilizzato più volte la scheda telefonica di proprietà del M. a lui precedentemente asportata. La sussistenza dell'elemento psicologico è, poi, pienamente provata dal fatto che gli odierni imputati hanno utilizzato una scheda telefonica sui loro apparecchi conoscendone la provenienza delittuosa, in quanto nessuno di loro era il titolare della stessa, e non essendo questa pervenuta in loro possesso secondo le normali regole del commercio in tale settore”. 1.2. Altrettanto trasparente appare la volontà della Corte di appello di confermare tra l'altro, in difetto di un appello del P.M., il che precludeva tout court la possibilità di modificare in peius il dictum del Tribunale la predetta pronunzia. 2. Avverso tale provvedimento, gli imputati tutti con l'ausilio di difensori iscritti nell'apposito albo speciale hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. ricorso F.P. 1 - inosservanza od erronea applicazione dell'art. 648 c.p. in relazione agli artt. 187, 192 e 533 c.p.p., per insufficienza della prova oltre ogni ragionevole dubbio della commissione del reato lamenta, in concreto, che l'imputato sia stato condannato sulla base di un mero e singolo indizio, per giunta in mancanza della prova del necessario elemento soggettivo per difetto di consapevolezza , essendo stato valorizzato unicamente l'accertamento di aver fatto telefonate di molestia ad una donna, inserendo sul proprio telefono cellulare una delle SIM rubate 2 - contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con espresso riferimento ai rilievi di cui a ff. 4 e 5 , per le medesime ragioni 3 - lamenta, infine, che il reato, accertato nel maggio del 1999, sarebbe comunque estinto per prescrizione. Ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge, ovvero dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Ricorso S.G. 1 - violazione dell'art. 648 cpv. c.p. e mancanza di motivazione dopo avere asseritamente trascritto integralmente l'atto di appello, lamenta omessa motivazione quanto al necessario dolo specifico di ricettazione, essendo all'uopo irrilevante il mero utilizzo per pochi minuti di una SIM card di provenienza furtiva lamenta, per le stesse ragioni, violazione dell'art. 648 c.p. 2 - vizio di motivazione quanto al presunto utilizzo della SIM card ricettata da parte dell'imputato lamenta in proposito che nulla dimostrava che l'imputato avesse disponibilità del telefono cellulare sul quale risultava inserita la predetta SIM card, poiché il predetto telefono cellulare non risultava intestato all'imputato a tali rilievi, costituenti oggetto dell'appello, la Corte di appello avrebbe opposto una motivazione illogica 3 - vizio di motivazione quanto all'omessa applicazione della sospensione condizionale della pena lamenta omessa motivazione da parte della Corte di appello in ordine alla relativa richiesta, formulata con l'atto di appello . Ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. Ricorso B.F. 1 - violazione degli artt. 648 c.p. - 27 Cost. - 192 c.p.p. lamenta che manchi la prova dell'avvenuto utilizzo, da parte dell'imputato, del telefono cellulare nel quale era stata inserita la scheda telefonica di provenienza furtiva . Ha concluso chiedendo la cassazione della sentenza impugnata, con adozione di ogni altro provvedimento correlato. 3. All'odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità degli avvisi di rito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza. Considerato in diritto Il ricorso di S.G. è fondato limitatamente alla sospensione condizionale della pena, ed è, nel complesso, infondato nel resto sono, nel complesso, infondati anche i ricorsi di F.P. e B.F. . I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITÀ SULLA MOTIVAZIONE. 1. È necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall'art. 606, comma 1, lettera e , c.p.p., come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un'indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento. 1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cd. travisamento della prova” consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica , purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato. 1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p. intenda far valere il vizio di travisamento della prova” deve, a pena di inammissibilità Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n. 234115 Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n. 249035 a identificare specificamente l'atto processuale sul quale fonda la doglianza b individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata x dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell'effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento d indicare le ragioni per cui l'atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato. 1.1.2. In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio della cd. autosufficienza del ricorso , inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte Suprema. Valorizzando dapprima la formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione 5 per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio” la disposizione stabilisce attualmente, all'esito delle modifiche apportate dall'art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” , ed attualmente la formulazione introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006 dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità 6 la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” , si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell'autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l'esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n. 26234, CED Cass. n. 585217 Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n. 14561, CED Cass. n. 623618 . Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che la teoria dell'autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza , posto che anche in sede penale - in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato - deve ritenersi precluso a questa Corte l'esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del rìcorso” Sez. I, sentenza n. 16706 del 18 marzo - 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123 Sez. I, sentenza n. 6112 del 22 gennaio - 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225 Sez. V, sentenza n. 11910 del 22 gennaio - 26 marzo 2010, CED Cass. n. 246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze Sez. VI, sentenza n. 29263 dell’8-26 luglio 2010, CED Cass. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso Sez. II, sentenza n. 25315 del 20 marzo - 27 giugno 2012, CED Cass. n. 253073, per la quale in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l'omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l'atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione . In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto In tema di ricorso per cassazione, va recepita e applicata anche in sede penale la teoria della autosufficienza del ricorso , elaborata in sede civile ne consegue che, quando i motivi riguardino specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante l'allegazione o la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la Corte Suprema alla lettura degli atti indicati, posto che anche in sede penale è precluso al giudice di legittimità l'esame diretto degli atti del processo”. 1.2. La mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. un., sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794 Sez. un., sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260 Sez. un., sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074 . Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi” Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 14624 del 20 marzo 2006, CED Cass. n. 233621 Sez. II, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789 , e di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti Sez. VI, sentenza n. 27429 del 4 luglio 2006, CED Cass. n. 234559 Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, CED Cass. n. 253099 . 1.3. Il giudice di legittimità ha, pertanto, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., il compito di accertare Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 35964 del 28 settembre 2006, CED Cass. n. 234622 Sez. Ili, sentenza n. 39729 del 18 giugno 2009, CED Cass. n. 244623 Sez. V, sentenza n. 39048 del 25 settembre 2007, CED Cass. n. 238215 Sez. II, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789 a il contenuto del ricorso che deve contenere gli elementi sopra individuati b la decisività del materiale probatorio richiamato che deve essere tale da disarticolare l'intero ragionamento del giudicante o da determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione c l'esistenza di una radicale incompatibilità con Yiter motivazionale seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto d la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del ed. travisamento del fatto”, ma solo qualora la difformità della realtà storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu oculi ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio . 1.4. Va, infine, evidenziato che non è denunciabile il vizio di motivazione con riferimento a questioni di diritto. 1.4.1. Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema Sez. II, sentenze n. 3706 del 21. - 27 gennaio 2009, CED Cass. n. 242634, e n. 19696 del 20 - 25 maggio 2010, CED Cass. n. 247123 , anche sotto la vigenza dell'abrogato codice di rito Sez. IV, sentenza n. 6243 del 7 marzo - 24 maggio 1988, CED Cass. n. 178442 , il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano. E, d'altro canto, l'interesse all'impugnazione potrebbe nascere solo dall'errata soluzione di una questione giuridica, non dall'eventuale erroneità degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione Sez. IV, sentenza n. 4173 del 22 febbraio - 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993 . Va, pertanto, ribadito il seguente principio di diritto nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando la soluzione di esse sia giuridicamente corretta. D'altro canto, l'interesse all'impugnazione potrebbe nascere soltanto dall'errata soluzione delle suddette questioni, non dall'indicazione di ragioni errate a sostegno di una soluzione comunque giuridicamente corretta . LA NECESSARIA SPECIFICITÀ DEL RICORSO PER CASSAZIONE 2. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, condivisibilmente, orientata nel senso dell'inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa Sez. VI, sentenza n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n. 248037 nella fattispecie il ricorrente aveva lamentato la mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di un'ordinanza applicativa di misura cautelare personale Sez. VI, sentenza n. 800 del 6 dicembre 2011 - 12 gennaio 2012, Bidognetti ed altri, CED Cass. n. 251528 . Invero, l'art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p. stabilisce che i provvedimenti sono ricorribili per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”. La disposizione, se letta in combinazione con l'art. 581, comma 1, lett. c , c.p.p. a norma del quale è onere del ricorrente enunciare i motivi del ricorso, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta” evidenzia che non può ritenersi consentita l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata. Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa sezione, a parere della quale È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravame” Sez. II, sentenza n. 31811 dell'8 maggio 2012, CED Cass. n. 254329 . Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile. 2.1. Infine, secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte Suprema per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693 Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133 , è inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello al più con l'aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti. 2.1.1. Si è, infatti, esattamente osservato Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584 che La funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità artt. 581 e 591 c.p.p. , debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta . 2.1.2. Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una duplice specificità Deve essere si anch'esso conforme all'art. 581 c.p.p., lett. C e quindi contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione ma quando attacca le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente” Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584 . 2.1.3. Risulta, pertanto, evidente che, se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d'appello, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso la critica argomentata al provvedimento , posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente attaccato”, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Né tale forma di redazione del motivo di ricorso la riproduzione grafica del motivo d'appello potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da parte del giudice d'appello in ordine a quanto devolutogli nell'atto di impugnazione. Infatti, quand'anche effettivamente il giudice d'appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del motivo d'appello condanna il motivo di ricorso all'inammissibilità. E ciò per almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto il che vale anche per l'ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d'appello non è mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa motivazione e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza grafica , pretende la dimostrazione della sua mera apparenza rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti denuncia che, come detto, è pure onerata dell'obbligo di argomentare la decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso”. 2.1.4. Può, pertanto, concludersi che la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello ben può essere presente nel motivo di ricorso ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale dell'adempimento dell'onere di autosufficienza del ricorso , ma solo quando ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi consolidati in materia di motivazione per relazione nei provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima sentenza con i motivi d'appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione” Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584 . LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D'APPELLO. 3. Anche il giudice d'appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata per tutte, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 - 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061 . 3.1. In presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilità, va, peraltro, ritenuta l'ammissibilità della motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell'effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall'appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del 22 novembre 1993 - 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250 Sez. III, sentenza n. 13926 del 1° dicembre 2011 - 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615 . L'AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITÀ OLTRE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO”. 4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione oltre ogni ragionevole dubbio”, presente nel testo novellato dell'art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all'affermazione di responsabilità dell'imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell'icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell'imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema - per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10 luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel testo novellato dell'art. 533 c.p.p. , secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell'imputato Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 19575 del 21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785 Sez. II, sentenza n. 16357 del 2 aprile 2008, CED Cass. n. 239795 . In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato Sez. II, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 - 13 febbraio 2013, CED Cass. n. 254025 che La previsione normativa della regola di giudizio dell’ al di là di ogni ragionevole dubbio , che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell'imputato”. I RICORSI. 5. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli odierni ricorsi. 6. Il primo ed il secondo motivo del ricorso F. , il primo ed il secondo motivo del ricorso S. ed il motivo del ricorso B. possono essere esaminati congiuntamente essi risultano in parte generici e manifestamente infondati, in parte infondati. 6.1. Deve premettersi che, come anticipato nel p. 2 di queste Considerazioni in diritto, la censura la censura alternativa ed indifferenziata di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione II motivo F. risulta priva della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile. 6.2. Ciò premesso, deve rilevarsi l'infondatezza, nel merito, delle ulteriori comuni doglianze degli imputati. La Corte di appello, richiamando le argomentazioni del Tribunale come si è visto essere fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità , ha valorizzato, a fondamento delle affermazioni di responsabilità, gli esiti dell'istruttoria dibattimentale, ed in particolare f. 4 s. della sentenza impugnata, nonché sentenza di primo grado da essa richiamata gli esiti degli accertamenti svolti sui tabulati telefonici e sugli abbinamenti tra la scheda telefonica de qua e gli apparecchi cellulari - individuati attraverso il codice IMEI - nei quali essa era stata inserita, riferiti dall'isp. C. la PG, sulla base dell'abbinamento del numero di scheda intestata al M. il derubato al numero seriale identificativo dei singoli telefoni cellulari intestati agli odierni imputati risaliva a questi ultimi quali utilizzatori della scheda telefonica del M. per porre in essere le molestie telefoniche ai danni di B.R. che avevano poi dato il via alle indagini in ordine alle odierne vicende dalla deposizione dell'isp. C. , infatti, risulta che la scheda rubata al M. fu utilizzata a turno e per numerose volte - anche sette od otto volte - dai cellulari intestati ai tre odierni imputati ed anche a breve distanza di tempo a pochi minuti l'uno dall'altro proprio per porre in essere le molestie telefoniche in danno di B.R. ”. Sul display dell'apparecchio della B. era ripetutamente apparso, infatti, il numero di una utenza cellulare corrispondente ad una di quelle che risultavano appartenenti e sottratte al M. . La Corte di appello ha, inoltre, motivatamente ritenuto attendibili le dichiarazioni del derubato M. , il quale aveva ricordato che, mentre dormiva a bordo del suo camion, aveva subito il furto di un telefono e di due schede telefoniche, ed aveva spiegato che aveva all'epoca omesso di indicare tutte le SIM che gli erano state rubate ed in particolare quella utilizzata dagli imputati, in quanto non ricordava il numero”, conclusivamente ritenendo accertata la sicura provenienza furtiva delle SIM e del telefono, per come accertato dalla P.G. procedente”. Quanto all'elemento psicologico, ha valorizzato il dato del difetto di plausibili spiegazioni in ordine alla disponibilità della predetta res furtiva da parte degli imputati, che non offrivano alcun ulteriore elemento per orientare diversamente le indagini” . 6.2.1. Tale motivazione non è censurabile in questa sede, poiché il mero possesso ingiustificato di cose sottratte consente la configurazione del delitto di ricettazione, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto. Nel caso di specie, all'elemento della accertata utilizzazione di una delle schede sottratte, il giudice di merito, con apprezzamento insindacabile in questa sede di legittimità, contrappone l'assenza di giustificazioni sulla disponibilità di essa da parte degli imputati in tal modo, non si richiede ad essi di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento in tal senso, Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 35535 del 12 luglio - 26 settembre 2007, CED Cass. n. 236914 . D'altro canto, questa Corte Suprema ha già osservato, con orientamento ormai consolidato, in difetto di voci difformi per tutte, Sez. II, sentenza n. 29198 del 25 maggio 2010, CED Cass. n. 248265 che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede. Nel caso di specie, la Corte di appello si è correttamente conformata a questo orientamento, con motivazione fondata su argomentazioni esaurienti, logiche e non contraddittorie, che risulta, pertanto, esente da vizi rilevabili in questa sede. 6.2.2. I rilievi che precedono evidenziano l'infondatezza delle doglianze difensive, essendo gli imputati stati condannati sulla base non di un mero indizio, ma della acquisita prova della disponibilità della res furtiva e della consapevolezza della sua provenienza illecita I e II motivo F. I motivo S. , ed essendo stata acquisita la prova non frutto di travisamento, non allegato né, comunque, documentato nei modi di rito, come premesso nei p.p. 1.1. ss. di queste Considerazioni in diritto che i tre telefoni cellulari utilizzati - previo inserimento della scheda SIM di provenienza furtiva - per molestare la B. fossero in disponibilità dei tre odierni ricorrenti II motivo S. I motivo B. . 6.3. Il terzo motivo del ricorso F. è manifestamente infondato pur se si volesse computare la decorrenza del termine di prescrizione a partire dalla data di denunzia del furto 22 gennaio 1999 il reato non sarebbe, infatti, prescritto, poiché il relativo termine è pari a 15 anni e sarebbe in scadenza a partire dal 22 gennaio 2014. Detto termine deve, infatti, essere determinato secondo la formulazione degli artt. 157 ss. c.p. vigente prima delle modifiche apportate alle predette disposizioni dalla L. n. 251 del 2005, in quanto la sentenza di primo grado risale al 2 aprile 2004, e, pertanto, alla data di entrata in vigore della novella il procedimento pendeva in grado di appello, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema Ai fini dell'operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di primo grado, indipendentemente dall'esito di condanna o di assoluzione, determina la pendenza in grado d'appello del procedimento, ostativa all'applicazione retroattiva delle norme più favorevoli” Sez. un., sentenza n. 15933 del 24 novembre 2011 - 24 aprile 2012, CED Cass. n. 252012 . 6.4. Il terzo motivo del ricorso S. è fondato. 6.4.1. Dalla sentenza impugnata risulta che uno dei motivi dell'appello presentato nel conto del predetto imputato riguardava la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena f. 3 , e che lo S. era incensurato f. 5 , il che esclude la possibilità di un rigetto implicito dell'appello per insussistenza di uno dei presupposti richiesti dagli artt. 163 ss. c.p. per la concessione del beneficio de quo. Risulta, altresì, che la Corte ha esaminato, rigettandolo, un motivo di appello tendente alla concessione dello stesso beneficio, presentato nell'interesse del coimputato B. , rimanendo del tutto ed immotivatamente silente su quello presentato nell'interesse dello S. . 6.4.2. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata nei confronti di S.G. limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto. 6.4.3. In applicazione di quanto previsto dall'art. 624, comma 2, c.p.p., deve dichiararsi che questa sentenza ha, nei confronti dello S. , autorità di giudicato quanto all'affermazione di responsabilità ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio. 7. Il rigetto totale dei ricorsi di F.P. e B.F. comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.G. limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudico sul punto. Rigetta nel resto il ricorso del predetto imputato. Rigetta i ricorsi di F.P. e B.F. , che condanna al pagamento delle spese processuali.