Ai fini della rappresentanza della società e quindi della esplicazione del suo diritto di difesa, appare sufficiente che la convocazione a comparire alla udienza prefallimentare venga notificata all’amministratore della società stessa direttamente coinvolta nella procedura concorsuale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 23461, depositata il 4 novembre 2014. Il fatto. La Corte d’appello di Napoli aveva rigettato il reclamo proposto dalla società avverso la sentenza dichiarativa del fallimento, ritenendo che il ricorso era stato ritualmente notificato alla società, in persona dell’amministratore, non essendovi alcun obbligo di far partecipare come contraddittore il custode giudiziario nominato in sede di sequestro penale. La società ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta decisione, sostenendo che erroneamente il Tribunale abbia ritenuto non sussistente l’obbligo di far partecipare alla procedura come contradditore il custode giudiziario dell’azienda la cui nomina non avrebbe comportato alcuna decadenza dell’amministratore legale dell’azienda. La Cassazione è intervenuta ritenendo la doglianza a fondamento del ricorso manifestamente infondata. La nomina del custode giudiziario non equivale a decadenza degli organi sociali. La Corte ritiene corretto affermare che la nomina del custode giudiziario, per quanto ampi possano essere i suoi poteri, non ha comportato alcuna decadenza dell’amministratore o l’esautoramento di questi dagli obblighi inerenti la sua funzione. Infatti, nessuna norma dispone che, il fatto che al custode giudiziario sia riconosciuta una propria autonoma legittimazione processuale in rappresentazione del patrimonio sottoposto a sequestro del quale ha l’amministrazione, voglia dire che gli organi sociali siano venuti meno o che gli stessi siano stati del tutto esautorati dalle proprie funzioni di gestione della società per gli aspetti che non concernono il patrimonio. La Corte osserva a tal proposito che, anche sotto il diverso profilo, che non rileva nel caso di specie, della legittimazione a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, riconosciuta al custode giudiziario dalla sentenza numero 22800/2011 della stessa Cassazione, tale legittimazione non è stata attribuita a titolo esclusivo potendo la stessa comunque appartenere anche a qualunque soggetto che abbia interesse a contestare la dichiarazione di fallimento. A fronte di queste osservazione, la S.C. conclude per il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 23 settembre – 4 novembre 2014, numero 23461 Presidente Di Palma – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo La Ansari srl ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo avverso la sentenza numero 6/2013 con cui la Corte d'appello di Napoli rigettava il reclamo proposto dalla ricorrente avverso la sentenza dichiarativa del fallimento, ritenendo che il ricorso con il decreto di comparizione era stato ritualmente notificato alla società, in persona dell'amministratore, non essendovi alcun obbligo di far partecipare come contraddittore il custode giudiziario nominato il sede di sequestro penale, e non sussistendo alcuna incompatibilità tra la procedura fallimentare e quella di sequestro penale, per lo meno per ciò che concerne la declaratoria di fallimento. MPS Gestione crediti banca spa ha svolto attività difensiva con controricorso Motivi della decisione Con l'unico motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli articolo 24 Cost, articolo 15 l.fall., articolo 321 323 c.p.p., articolo 104 bis disp. Att. c.p.p., articolo 2 sexies 1. 575/1965 nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in merito ad un punto decisivo e controverso. La società ricorrente sostiene che erroneamente il tribunale abbia ritenuto non sussistente l'obbligo di far partecipare alla procedura come contraddittore il custode giudiziario dell'azienda la cui nomina non avrebbe comportato alcuna decadenza dell'amministratore legale dell'azienda. Il motivo appare manifestamente infondato e per certi versi inammissibile. Infatti, la ricorrente si limita a richiamare nel ricorso le sentenze che affermano i principi giurisprudenziali in relazione alla figura del custode giudiziario, ma non opera una concreta critica, basata su argomentazioni logico-giuridiche, alla sentenza della Corte Territoriale. In particolare quest'ultima ha affermato che la nomina del custode giudiziario, per quanto ampi possano essere i suo poteri, non hanno comunque comportato alcuna decadenza dell'amministratore o l'esautoramento di questi dagli obblighi inerenti la sua funzione. Tale ratio decidendi non risulta oggetto di specifica censura da parte del ricorso ed appare comunque corretta. La circostanza infatti che al custode giudiziario sia riconosciuta una propria autonoma legittimazione processuale in rappresentanza del patrimonio sottoposto a sequestro del quale ha l'amministrazione non vuol dire che gli organi sociali siano venuti meno o che gli stessi siano stati del tutto esautorati dalle proprie funzioni di gestione della società per gli aspetti che non concernono il patrimonio della stessa, non rinvenendosi alcuna norma che disponga in tal senso. Va a tale proposito osservato che anche sotto il diverso profilo, che qui non rileva, della legittimazione a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento riconosciuta al custode giudiziario da questa Corte con la sentenza del 3.11.2011 numero 22800 ma in precedenza negata dalla sentenza 7147100 , tale legittimazione non e stata attribuita a titolo esclusivo potendo,tra l'altro, la stessa comunque appartenere anche a qualunque soggetto che abbia interesse a contestare la dichiarazione di fallimento. Del resto, è appena il caso di rammentare che proprio nel caso di fallimento,in cui il curatore fallimentare si sostituisce in toto al fallito nella gestione del patrimonio sociale, gli organi della società fallita non vengono meno ed anzi gli stessi conservano la possibilità di compiere un sia pur limitato numero di atti. Ciò appare particolarmente ineludibile perché il fallimento non comporta l'estinzione della società ma solo la liquidazione del suo patrimonio, con il conseguente venire meno o quanto meno riduzione delle risorse economico finanziarie della società stessa , che conserva comunque la possibilità di proseguire la propria attività una volta tornata in bonis. In siffatta situazione non può certamente negarsi la legittimazione processuale dell'organo di rappresentanza della società a difenderne gli interessi nell'ambito della procedura prefallimentare, e ciò a prescindere dal fatto che i beni della società siano stati sottoposti a sequestro giudiziario. In tal senso deve ritenersi che, ai fini della rappresentanza della società e quindi della esplicazione del suo diritto di difesa, appare sufficiente che la convocazione a comparire alla udienza prefallimentare venga notificata all'amministratore della società stessa direttamente coinvolta dalla procedura concorsuale. Sotto altro profilo , è appena il caso di osservare che la dichiarazione di fallimento non reca alcun pregiudizio alla procedura di prevenzione patrimoniale diretta alla confisca di beni poiché questa prevale comunque su quella fallimentare, sia quando il fallimento sia stato dichiarato prima del sequestro preventivo, sia quando sia stato dichiarato successivamente, dovendo essere privilegiato l'interesse pubblico perseguito dalla normativa antimafia rispetto all'interesse meramente privatistico della par condicio creditorum perseguito dalla normativa fallimentare. Cass 16797/11 . Il ricorso va in conclusione respinto. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro tremila oltre euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori di legge e spese forfettarie. Sussistono le condizioni per l'applicazione dei doppio del contributo ex art 13.