Difende sia l’amministratore in rappresentanza della società sia l’amministratore contro la stessa società: avvocato in conflitto d’interessi

Rende quindi invalido il mandato legale il conflitto d’interesse per il caso in cui il rappresentante sia portato di interessi inconciliabili con quelli del rappresentato, se in concreto l’atto posto in essere giovi al rappresentato contro il rappresentante.

Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 22280 del 27 settembre 2013. Il caso . La fattispecie da cui trae origine la decisione della Cassazione vede un avvocato agire nei confronti di una società a responsabilità limitata per il pagamento del residuo corrispettivo di prestazioni professionali giudiziali e stragiudiziali. Per contro la società chiedeva il rigetto della domanda affermando che i mandati professionali erano stati conferiti non già nell’interesse della società, bensì dell’allora suo rappresentante legale, che aveva aperto un contenzioso, per ragioni di lavoro, con la stessa società rappresentata e con la società per azioni controllante. Tale rappresentante legale aveva, in particolare agito denunciando pretesi atti di concorrenza sleale da parte della s.p.a. controllante ai danni della medesima società controllata. Una volta respinte tali domande lo stesso rappresentante legale aveva agito introdotto in proprio alcune cause di lavoro poi concluse con una transazione. Quindi, il rappresentante legale ha agito in conflitto d’interesse con la società che egli stesso rappresentava. Poiché tale conflitto d’interessi era facilmente conoscibile dall’avvocato, il mandato professionale risultava annullabile in forza dell’art. 1394 c.c Questa norma, infatti, dispone che il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo . Il giudice di prime cure accoglieva le domande proposte dall’avvocato, e la sentenza era confermata in sede di appello. Il rappresentante legale è in conflitto d’interessi? La Corte di merito, in particolare, sosteneva che le attività professionali dell’avvocato erano state provate documentalmente ed escludeva il conflitto d’interessi in quanto le società controllante e controllata, benché fossero collegate fra loro, avevano propri scopi e, di conseguenza, interessi distinti. Pertanto, secondo il giudice di seconde cure non era configurabile una situazione di conflitto d’interessi. La società a responsabilità limitata faceva, quindi, ricorso davanti alla Corte di Cassazione, ritenendo, in particolare, che l’amministratore della società che ha rilasciato mandati professionali in rappresentanza organica della società al proprio avvocato personale, avendo contemporaneamente instaurato con lo stesso avvocato un contenzioso personale contro la società rappresentata e la stessa controllante, versasse in conflitto d’interessi, con conseguente invalidità dei mandati rilasciati all’avvocato a nome della società rappresentata. Inoltre, la società ricorrente ritiene che l’avvocato che deduca di avere espletato un mandato di consulenza stragiudiziale ha l’onere di provare le singole prestazioni che rappresentano i fatti costitutivi del diritto al corrispettivo. Infatti è il legale che deve provare la congruità del compenso richiesto in relazione alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché, qualora nello stesso periodo siano svolte anche prestazioni giudiziali, l’autonomia delle prestazioni stragiudiziali rispetto a quelle giudiziali, in modo per evitare che le prime siano remunerate una seconda volta qualora trovino compenso adeguato nella tariffa per le prestazioni giudiziali. Il conflitto d’interessi nel codice deontologico forense . L’art. 37 del codice deontologico prescrive all’avvocato l’obbligo di astenersi dall’assumere incarichi quando questi determinino conflitto di interessi con un proprio assistito, ovvero quando interferiscano con lo svolgimento di altro incarico. È consolidato in giurisprudenza che il divieto di assunzione di incarichi vige dal momento in cui il conflitto di interessi si appalesi come effettivo e concreto, non essendo a tal fine sufficiente la configurabilità di un astratto contrasto. In proposito, rimane sempre valido quanto affermato dalle Sezioni Unite n. 14619/2002 secondo le quali quando, nel caso per il quale è richiesto il suo intervento, le parti non sono necessariamente portatrici di interessi in contrasto tra loro, il divieto va osservato a partire dal momento in cui il contrasto si manifesta in modo concreto. La stessa sentenza ha precisato che la regola di deontologia impone al professionista di non assumere l'assistenza di parti in contrasto tra loro. Siccome la funzione di tale regola è di evitare che un comportamento contrario risulti lesivo del prestigio della professione, e la lesione del prestigio risulta dalla valutazione sfavorevole che gli altri possano avere avuto del comportamento tenuto dal professionista, all'ambito di applicazione della regola vanno ricondotte tutte le situazioni in cui, secondo un criterio di normalità, l'ambiente in cui il professionista opera e le parti cui presta assistenza sarebbero portati a considerare che egli possa essere stato, o sia per risultare, influenzato da interessi contrastanti. L’importanza dell’astratta conoscibilità in capo al terzo del conflitto . La concreta possibilità di giungere all'annullamento del contratto deve essere bilanciata dal principio della protezione del terzo contraente in buona fede. Pertanto, l'atto è annullabile esclusivamente qualora il conflitto medesimo fosse conosciuto o poteva essere conosciuto con l'ordinaria diligenza dal terzo art. 1394 c.c . Di conseguenza, risulta palese come requisito fondamentale ai fini dell'annullamento del contratto sia, quindi, quello, collegato alla situazione soggettiva del terzo, dell'astratta conoscibilità, surrogabile dalla prova della effettiva conoscenza del conflitto. In generale, il potere di rappresentanza è conferito nell'interesse del rappresentato. Del resto, non si esclude che esso possa essere conferito anche nell'interesse di terzi, ovvero del rappresentante, avendosi, in tal caso, il c.d. mandato in rem propriam . L’annullabilità per conflitto d’interessi ai sensi dell’art. 1394 c.c. si applica anche ai rapporti societari . La Suprema Corte si concentra sul punto della sentenza di merito nella quale la Corte di appello non ritiene sussistente il conflitto d’interessi posto che le due società, benché collegate, mantengono un’identità e fini propri, con la conseguente distinzione tra gli interessi della controllata rispetto alla controllante. La Cassazione accogliendo il ricorso presentato dalla società, premette che il conflitto d’interessi di cui all’art. 1394 c.c. è applicabile anche ai rapporti societari. Infatti, in tema di negozio concluso in conflitto di interessi dall'amministratore unico di società di capitali nella specie, società a responsabilità limitata , non essendovi separazione tra potere deliberativo e potere rappresentativo della volontà sociale, è inapplicabile l'art. 2391 c.c., che riguarda il conflitto di interessi degli amministratori in presenza di un consiglio di amministrazione, trovando, invece, applicazione la disciplina generale della rappresentanza di cui agli artt. 1394 e 1395 c.c., i quali costituiscono eccezione al principio generale dell'irrilevanza del rapporto interno tra rappresentante e rappresentato. Il conflitto d’interessi si configura quando l’attività avvantaggia il rappresentato contro il rappresentante . Il conflitto d’interesse per l’ipotesi in cui il rappresentante nello svolgere l’attività negoziale sia portatore di interessi inconciliabili con quelli del rappresentato, si verifica qualora quest’ultima sia posta in essere per una finalità contraria al rapporto rappresentativo, e cioè per avvantaggiare il rappresentato contro il rappresentante. Poiché si tratta di un’indagine finalizzata a verificare la crisi funzionale dell’agire rappresentativo, il giudice di merito è tenuto ad accertare a chi in concreto trae beneficio dall’atto, e non, invece, se il contenuto formale di quest’ultimo sia strettamente declinabile in maniera conforme all’interesse del rappresentato. Nella fattispecie, il giudice di appello aveva escluso, come detto, l’esistenza del conflitto per il semplice fatto che la società controllata fosse un’entità diversa dalla società controllante. Basandosi esclusivamente su tale considerazione la Corte di appello deduce che anche gli interessi sono differenti e che tra l’una e l’altra società possano porsi questioni di illecito concorrenziale, nonostante entrambe appartengano allo stesso gruppo societario Oltre a tale aspetto, la Suprema Corte censura la circostanza che il giudice di seconde cure avesse sostenuto l’impossibilità di rintracciare elementi da cui ricavare la sussistenza di un qualsiasi conflitto interno tra le due società. Il punto che invece doveva essere analizzato e che invece la Corte del merito ha eluso era se l’amministratore della società si fosse rivolto all’avvocato non già allo scopo di salvaguardare gli interessi della società che rappresentava, ma per far valere indirettamente e tramite questa le sue personali rivendicazioni di lavoro nei confronti della società controllante. Invalido il mandato professionale conferito all’avvocato . La Cassazione, quindi, ritiene annullabile il contratto di prestazione d’opera professionale e cassa la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 5 giugno - 27 settembre 2013, numero 22280 Presidente Piccialli – Relatore Manna Svolgimento del processo L'avv. M.C P. proponeva due distinte cause una con rito ordinario, l'altra con ricorso ai sensi dell'art. 29 legge numero 794/42 nei confronti della società Pedrazzoli France S.a.r.l. per il pagamento del residuo corrispettivo di prestazioni professionali giudiziali e stragiudiziali. La società convenuta resisteva in entrambe, sostenendo che i mandati professionali erano stati conferiti non nell'interesse della società, ma dell'allora suo rappresentante legale, W C. , il quale aveva aperto un contenzioso, per ragioni di lavoro, con la stessa società rappresentata e con la controllante Pedrazzoli I.B.P. s.p.a. In particolare, deduceva che W C. , per rafforzare le proprie pretese, nella qualità di rappresentante della Pedrazzoli France aveva proposto col ministero dell'avv. P. una causa e un procedimento cautelare d'urgenza contro la Pedrazzoli IBP, lamentando pretesi atti di concorrenza sleale che quest'ultima avrebbe posto in essere ai danni della stessa società controllata. Respinte tali domande, W C. aveva poi introdotto in proprio delle cause di lavoro, successivamente definite con una transazione intervenuta con la Pedrazzoli France e la Pedrazzoli I.B.P. Pertanto, W C. aveva agito in una situazione di conflitto d'interesse con la società che egli rappresentava, conflitto che, essendo facilmente conoscibile dall'avv. P. , determinava ai sensi dell'art. 1394 c.c. l'annullabilità del mandato professionale conferito a quest'ultima. Chiedeva, pertanto, il rigetto delle domande e proponeva, inoltre, riconvenzionale di risarcimento dei danni, cui a sua volta l'attrice resisteva, chiamando in causa della S.A.I. s.p.a., assicuratrice per la responsabilità civile. Anche la S.A.I. s.p.a. si costituiva aderendo alle difese della propria assicurata. Riunite davanti al Tribunale di Bassano del Grappa, le due cause erano decise con sentenza del 19.12.2002, che accoglieva le domande dell'attrice, rigettando la domanda riconvenzionale. L'impugnazione della Pedrazzoli France, che nel frattempo aveva assunto la nuova denominazione di RIP.OA S.a.r.l. era respinto dalla Corte d'appello di Venezia, con sentenza numero 132 del 7.2.2007. Respinte varie eccezioni di rito, la Corte territoriale riteneva che le attività professionali in questione erano state provate sulla base dei documenti prodotti e delle deposizioni assunte, tra cui quella di W C. , di cui doveva escludersi l'incapacità ex art. 246 c.p.c., trattandosi di soggetto che non sarebbe potuto intervenire in causa. Escludeva, quindi, il dedotto conflitto d'interessi, perché le società controllante e controllata, pur collegate fra loro, avevano proprie identità e fini, con conseguenti distinti interessi, per cui non era configurabile la situazione di conflitto per il fatto che il C. , quale amministratore della Pedrazzoli France, avesse incaricato l'avv. P. di tutelare quest'ultima società contro la controllante Pedrazzoli I.B.P., mentre dagli atti non emergevano elementi da cui evincere un qualche conflitto interno fra le due società. Non erano emersi, inoltre, profili di responsabilità professionale dell'avv. P. , responsabilità che, relativamente alla tutela giudiziale, non era configurabile per il fatto della reiezione di una domanda giudiziale. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la RIP.OA S.a.r.l. in liquidazione, in base a nove motivi, successivamente illustrati da memoria. Resiste con controricorso la S.A.I. s.p.a L'avv. M.C P. è rimasta intimata. Motivi della decisione 1. - Col primo motivo è dedotta la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 163, 3 comma, 164, 4 comma, 112 e 159, 1 comma c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il tutto in relazione ai nnumero 3,4 e 5 dell'art. 360 c.p.c Parte ricorrente lamenta l'assoluta carenza dell'esposizione dei fatti posti a base della domanda, essendosi l'avv. P. limitata ad allegare di aver svolto in favore della Pedrazzoli France attività di consulenza ed assistenza in materia di diritto commerciale, senza specificare alcuna concreta prestazione stragiudiziale, e senza produrre alcun documento che rendesse comprensibile la pretesa azionata. Deduce al riguardo che la motivazione della sentenza impugnata è in parte tautologica lì dove sostiene che la causa petendi era individuabile con estrema facilità e in parte paralogica lì dove esclude l'indeterminatezza della domanda in quanto la società convenuta non aveva avuto difficoltà ad esplicare le proprie difese . Formula al riguardo il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis alla fattispecie la mancata esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda - nella specie la mancata descrizione delle prestazioni professionali coscienti la ragione della domanda di pagamento di un compenso per prestazioni stragiudiziali - determina la nullità, insanabile, della domanda, del processo e della sentenza . 2. - Col secondo mezzo si censura la nullità del procedimento e della sentenza in ordine agli artt. 246, 156 e 159, 1 comma c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione ai nnumero 3, 4 e 5 dell'art. 360 c.p.c Sostiene parte ricorrente di aver dedotto che le inesistenti prestazioni stragiudiziali e le inutili e dannose prestazioni giudiziali esposte dall'avv. P. non erano altro che un escamotage volto a far gravare sulla Pedrazzoli France il compenso dovuto dal C. a detto avvocato per le cause di lavoro intentate formalmente contro la Pedrazzoli IBP, ma sostanzialmente contro Pedrazzoli France. Inoltre era stato dedotto altresì che il C. aveva rilasciato il mandato professionale all'avv. P. in conflitto d'interessi con la società rappresentata, con conseguente invalidità e non riferibilità dei mandati stessi alla Pedrazzoli France. Sotto vari profili, infine, W C. avrebbe potuto essere chiamato in causa ad es. in manleva o come reale legittimato passivo alla domanda proposta dall'avv. P. o avrebbe potuto intervenirvi ad adiuvandum la parte attrice, sicché egli era incapace a testimoniare. Segue il quesito l'amministratore unico di una società che abbia rilasciato mandati professionali e/o pagato, con fondi della società, compensi, al proprio avvocato personale e che si alleghi aver agito in conflitto d'interessi o comunque contro l'interesse della società e/o avere pagato l'indebito, onde far gravare sulla società compensi in realtà dovuti dall'amministratore unico personalmente, è portatore di un interesse qualificato nella causa nella quale si controverta della validità dei mandati conferiti, del diritto del professionista al compenso, del diritto della società alla restituzione dell'indebito e al risarcimento del danno, tale da rendere detto amministratore unico incapace di testimoniare, con conseguente nullità della testimonianza assunta nonostante il tempestivo rilievo dell'incapacità del teste e della sentenza che abbia fatto riferimento a detta testimonianza ai fini del decidere . 3. - Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1713, 2222, 2224, 2225, 2232, 2233, 2697 c.c., della legge numero 794/42, dell'art. 1 della legge numero 536/49, dell'art. unico della legge numero 1051/57 e del D.M. 5.10.1994, numero 585, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione ai nnumero 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c La Corte territoriale, sostiene parte ricorrente, non ha minimamente delibato la questione circa l'inesistenza delle attività professionali di consulenza stragiudiziale, sicché non è dato di sapere cosa accertino entrambe le sentenze di merito quando hanno affermato che sarebbe stato dimostrato lo svolgimento di detta attività, implicante un compenso preteso per circa 40 milioni del vecchio conio. La decisione impugnata, pertanto, viola sia le citate norme codicistiche, in base alle quali nessun compenso spetta a chi si sia obbligato a svolgere attività su mandato del committente, se non dietro allegazione e prova del compiuto svolgimento di specifiche prestazioni professionali di cui il prestatore deve rendere conto sia la legge numero 794/42, l'art. 1 della legge numero 536/49, l'art. unico della legge numero 1051/57 e il D.M. 5.10.1994, numero 585, che vietano il compenso per prestazioni stragiudiziali laddove la relativa attività sia considerata in rapporto a prestazioni giudiziali. Questo il quesito al professionista - lavoratore autonomo - che deduca di aver espletato un mandato di consulenza stragiudiziale, incombe l'onere di allegare e provare le singole prestazioni che del diritto al corrispettivo rappresentano i fatti costitutivi, rendendo il conto delle medesime e provando la congruità del compenso richiesto in relazione alla quantità e qualità del lavoro asseritamente svolto ed, ove nel medesimo periodo siano svolte anche prestazioni giudiziali, l'autonomia delle prestazioni stragiudiziali rispetto a quelle giudiziali, in quanto le prime non debbono essere remunerate una seconda volta ove trovino adeguato compenso nella tariffa per prestazioni giudiziali. In mancanza di assolvimento di tale onere, nessun compenso è dovuto . 4. - Il quarto motivo deduce la violazione degli artt. 1394, 1343, 1346, 1418 e 2634, nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione ai nnumero 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c La sentenza impugnata tace del tutto, afferma parte ricorrente, sulla questione dedotta col settimo motivo d'appello, lì dove era stato nuovamente prospettato il conflitto d'interessi tra C.W. e la società Pedrazzoli France, giacché i mandati conferiti all'avv. P. determinavano il sorgere di una controversia contraria all'interesse sociale e di gruppo. Segue il quesito l'amministratore unico di una società che abbia rilasciato mandati professionali in rappresentanza organica della società al proprio avvocato personale, per agire o contraddire o ricevere consulenza contro la società controllante, avendo contemporaneamente instaurato un contenzioso personale contro la società rappresentata e la controllante medesima, a ministero del medesimo avvocato personale, versa in una situazione di insanabile conflitto di interessi, conosciuto o conoscibile dall'avvocato personale, che comporta l'invalidità dei mandati così rilasciati a nome della società organicamente rappresentata quanto sopra, a maggior ragione, con riferimento ad un mandato di consulenza stragiudiziale, qualora esso venga utilizzato come pretesto per pagare, con fondi sociali, all'avvocato personale dell'amministratore unico, somme di denaro a fronte di prestazioni stragiudiziali mai fornite alla società. 5. - Il quinto mezzo denuncia la violazione degli artt. 83 c.p.c., 1343, 1346, 1394 e 1418 c.c., 380 c.p., 12 e 38 R.D. numero 1578/33 e 37 codice disciplinare forense, nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché la nullità della sentenza e del procedimento in relazione all'art. 360, nnumero 3 e 5 c.p.c Il mezzo si Conclude col seguente quesito è invalido un mandato assunto da un avvocato in conflitto d'interessi e che quindi può attualmente o virtualmente servire l'interesse di un terzo, cliente del medesimo avvocato in particolare, sussiste tale conflitto, in relazione ad un mandato assunto da una società controllata per promuovere una lite contro la società controllante, quando l'avvocato assuma o abbia assunto altro mandato, nell'interesse dell'amministratore unico della società controllata, per promuovere una controversia di lavoro tra quest'ultimo e la società controllante, ma in relazione alla quale la società controllata sia legittimata passiva o comunque sia legittimata ad intervenire . 6. - Il sesto motivo prospetta la violazione degli artt. 36, 1 cpv. e 38, 1 comma del codice disciplinare forense, 1176 e 2224 c.c., 12, 1 comma e 38 R.D. numero 1578/33, nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione ai nnumero 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c Segue il quesito incorre in responsabilità, per violazione dei doveri inerenti alla funzione ed al mandato di avvocato, l'avvocato che accetti mandati in una situazione di incompatibilità e conflitto di interessi, che accetti di ricevere da una società un compenso a fronte di un mandato non espletato che instauri, in tale contesto, una causa manifestamente infondata e nell'ambito della quale deduca prova testimoniale con convocazione di un teste dall'estero a spese della società, senza neppure avere predisposto dei capitoli di prova, di talché la prova richiesta venga ritenuta inammissibile . 7. - Col settimo motivo è dedotta la violazione degli artt. 2233 c.c., della legge numero 794/42, dell'art. 1 legge numero 536/49, dell'art. unico della legge numero 1051/57, del D.M. numero 585/94, nonché la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. e l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione ai nnumero 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c Questo il quesito incorre nel vizio di omissione di pronuncia la sentenza che ometta di pronunciare su di un motivo d'appello nella specie relativo alla immotivata liquidazione degli onorari di avvocato in misura superiore al minimo, all'errata determinazione dello scaglione di riferimento, nonché al cumulo ingiustificato di onorari giudiziali e stragiudiziali la determinazione degli onorari richiesti dall'avvocato in misura superiore al minimo nel caso di specie, addirittura superiore al massimo nonché la determinazione dello scaglione di riferimento per la relativa liquidazione, in presenza di specifica eccezione della parte, devono essere giustificate da motivi obiettivi, giacché, in mancanza, la relativa determinazione avviene in violazione del decreto ministeriale di approvazione della tariffa forense e della relativa legislazione di riferimento e delle disposizioni di legge sottostanti art. 1 legge numero 536/49, articolo unico legge numero 1051/57 e si risolve nell'estrinsecazione di un arbitrario, e perciò insindacabile potere. Inoltre, sono da considerarsi prestazioni giudiziali e quindi comprese nei relativi onorari non soltanto quelle che consistono nel compimento di veri e propri atti processuali, ma anche quelle attività che si svolgano al di fuori del processo - che possano ritenersi come preordinate allo svolgimento di attività propriamente processuali o ad esse complementari, in particolare in relazione all'esame e studio per la preparazione dell'atto introduttivo del giudizio . 8. - L'ottavo motivo deduce la violazione degli artt. 112 c.p.c., 1223 e 1226 c.c., la nullità della sentenza e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione ai nnumero 3,4 e 5 dell'art. 360 c.p.c Nei termini che seguono è il quesito Incorre nel vizio di omissione di pronuncia la sentenza che, senza escludere l'esistenza di un danno, rigetti la domanda di risarcimento sul presupposto della non congruità della somma richiesta dal danneggiato a titolo di risarcimento, senza procedere alla valutazione e liquidazione del danno, eventualmente in misura inferiore a quella ritenuta dal danneggiato, in conformità ai principi di legge causalità, eventuale liquidazione equitativa . 9. - Col nono mezzo è dedotta la violazione dell'art. 2033 c.c., la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione ai nnumero 3, 4 e 5 dell'art. 360 c.p.c Il motivo mette capo al seguente quesito incorre nel vizio di omissione di pronuncia la sentenza che ometta di pronunciare su di un motivo d'appello nella specie relativo a domanda riconvenzionale di restituzione di indebito il pagamento a titolo d'acconto, a fronte di un mandato di consulenza stragiudiziale, è indebito e come tale deve essere restituito ex art. 2033 c.c., con maggiorazione d'interessi, qualora non siano state effettuate le prestazioni professionali stragiudiziale corrispondenti al compenso pagato in acconto, ovvero qualora il mandato sia invalido . 10. - Tutti i motivi, includendo al loro interno anche una censura di vizio motivazionale, sono corredati di seguito al quesito di diritto del necessario momento di sintesi omologo del quesito di diritto idoneo a circoscrivere i limiti della censura, secondo quanto prescritto dall'art. 366-bis c.p.c., secondo l'interpretazione fornitane da Cass. S.U. numero 20603/07 e successive conformi. 11. - Il primo motivo è fondato. Come chiarito dalle S.U. di questa Corte, a la nullità della citazione, ai sensi dell'art. 164, quarto comma, c.p.c., può essere dichiarata soltanto allorché l'incertezza investa l'intero contenuto dell'atto, mentre, allorché sia possibile individuare uno o più domande sufficientemente identificate nei loro elementi essenziali, l'eventuale difetto di determinazione di altre domande, malamente formulate nel medesimo atto, comporta l'improponibilità solo di quelle, e non anche la nullità della citazione nella sua interezza b quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un'attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell'atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell'oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all'esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, numero 6, e 369, secondo comma, numero 4, c.p.c. Cass. S.U. numero 8077/12 . 11.1. - Nella specie, dall'esame diretto degli atti emerge che la citazione di primo grado è del tutto generica rispetto alla pretesa relativa alla corresponsione di compensi per non meglio dettagliate attività stragiudiziali, il cui oggetto specifico non è altrimenti identificabile. L'affermazione della sentenza impugnata, secondo cui di tale domanda sarebbe individuabile con estrema facilità la causa petendi , mostra di attribuire a quest'ultima la valenza di una pura e generica titolazione, mentre, come si ricava dall'art. 163, numero 4 c.p.c., la causa petendi è costituita essenzialmente dall'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto, gli uni senza gli altri non essendo idonei a configurare l'effetto di giudicato che la parte che domanda intende ottenere. Sotto tale riguardo, pertanto, la domanda di pagamento del compenso per prestazioni stragiudiziali deve ritenersi, dunque, improponibile. 12. - Il secondo motivo è infondato. In generale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le nullità concernenti l'ammissione e l'espletamento della prova testimoniale hanno carattere relativo, derivando dalla violazione di formalità stabilite non per ragioni di ordine pubblico, bensì nell'esclusivo interesse delle parti e, pertanto, non sono rilevabili d'ufficio dal giudice, ma, ai sensi dell'art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., vanno denunciate dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al loro verificarsi o alla conoscenza delle nullità stesse , intendendosi per istanza, ai fini della citata norma, anche la richiesta di un provvedimento ordinatorio di mero rinvio e la formulazione delle conclusioni dinanzi al giudice di primo grado. Ne consegue che dette nullità non possono essere fatte valere in sede di impugnazione, per cui neppure alla parte contumace è consentito dedurre in tale sede l'inammissibilità della prova testimoniale, una volta che in primo grado la prova sia stata ammessa ed espletata senza rituale e tempestiva opposizione Cass. nnumero 11706/09, 19942/08, 15554/03 e 194/02 . Più in particolare, e in diretta applicazione del principio appena richiamato, è stato affermato da questa Corte che la nullità per incapacità a testimoniare art. 246 c.p.c. deve essere opposta tempestivamente dalla parte interessata secondo le modalità previste dall'art. 157, secondo comma, c.p.c. Cass. numero 20652/09 . A ciò occorre aggiungere che l'una eccezione, quella d'incapacità del teste, non va confusa con l'altra, quella di nullità, né ad essa può sovrapporsi perché, diverse le situazioni di partenza, diversi sono altresì gli interessi che vi sottostanno. La prima eccezione, infatti, opera ex ante per impedire il compimento di un atto invalido, la seconda, invece, agisce ex post per evitare che gli effetti di esso si consolidino. Valutabili in senso diacronico, detti interessi possono essere apprezzati in modo differente dalla medesima parte, la quale, prova cognita, può ritenerne vantaggioso l'esito che per il principio acquisitivo giova o nuoce indipendentemente da chi abbia dedotto il mezzo istruttorio cfr. Cass. numero 12784/13, non massimata, con riferimento al caso analogo dell'eccezione di decadenza della parte dalla prova testimoniale e di quella di nullità della prova stessa ciò non di meno assunta . 12.1. - Nella specie, parte ricorrente deduce l'incapacità del teste, ma non allega anche di aver eccepito tempestivamente l'invalidità della prova ai sensi dell'art. 157, comma 2 c.p.c., né tanto meno indica l'atto processuale in cui avrebbe sollevato l'eccezione non di incapacità del teste, ma di nullità della prova, sicché sotto quest'ultimo aspetto la censura pecca anche di autosufficienza. 13. - Il quarto motivo, che conviene esaminare con priorità rispetto al terzo, è fondato. La sentenza impugnata afferma, con riguardo al denunciato conflitto d'interessi nel quale avrebbe agito l’avv. P.M.C. , che le diverse società, pur collegate , conservano identità e fini propri, con conseguenti distinti interessi della controllata rispetto alla controllante. Pertanto, conclude, non è configurabile il dedotto conflitto, laddove il predetto C. , mandante del legale P. , quale amministratore di Pedrazzoli France, aveva dato incarico all'avvocato di tutelare la sua società contro attività slealmente concorrenziali della controllante Pedrazzoli I.B.P., mentre, d'altro canto, non è dato rinvenire dagli atti elementi da cui potersi evincere un qualche conflitto interno tra le due società . 13.1. - Tale motivazione è incongrua e contraddittoria. Il conflitto d'interesse, previsto dall'art. 1394 c.c. applicabile anche ai rapporti societari ove l'atto sia compiuto dall'amministratore unico, cioè quando manchi la separazione fra potere deliberativo e potere rappresentativo della volontà sociale cfr. Cass. numero 27783/08 per il caso in cui il rappresentante nello svolgere l'attività negoziale sia portatore di interessi inconciliabili con quelli del rappresentato, si verifica allorché quest'ultima sia posta in essere per una finalità contraria al rapporto rappresentativo, e cioè per avvantaggiare il rappresentato contro il rappresentante. Trattandosi di un'indagine volta a verificare la crisi funzionale dell'agire rappresentativo, il giudice di merito, cui compete il relativo accertamento che si sottrae al sindacato di legittimità solo se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi di logica giuridica , deve verificare a chi in concreto giovi l'atto, e non già se il contenuto formale di quest'ultimo sia astrattamente declinabile in maniera conforme all'interesse del rappresentato. 13.1.1. - Nello specifico, la motivazione della sentenza impugnata esclude l'esistenza del conflitto per il solo e mero fatto che la società controllata sia un'entità diversa dalla società controllante, e sulla base di tale considerazione - ovvia e non significativa - opera due deduzioni illogiche, cioè che anche gli interessi siano diversi e che tra l'una e l'altra società si pongano nel senso che possano porsi questioni di illecito concorrenziale, nonostante la predicata appartenenza al medesimo gruppo societario. Non solo, ma in aperta contraddizione con quanto appena affermato, la Corte territoriale ha poi sostenuto che d'altro canto non era dato rinvenire elementi da cui desumere un qualche conflitto interno tra le due società, sicché non si comprende come possa esservi concorrenza sleale in assenza di contrasto tra le società. Tale motivazione, oltre ad essere manifestamente illogica, elude totalmente l'esame della questione di fatto dedotta dall'appellante, vale a dire se l'amministratore della Pedrazzoli France si sia rivolto all'avv. P. non per tutelare gli interessi della società che rappresentava, ma per far valere indirettamente e tramite questa le sue personali rivendicazioni di lavoro verso la società controllante, la Pedrazzoli I.B.P. s.p.a. A tale doverosa indagine di fatto la Corte veneta ha sostituito inconferenti considerazioni di carattere teorico, affatto inidonee a fondare il rigetto del motivo di gravame. 14. - L'accoglimento del quarto motivo, inerendo all'eccezione di annullabilità del contratto di prestazione d'opera professionale, assorbe l'esame di ogni altra censura. 15. - In conclusione, accolto il primo ed il quarto motivo, respinto il secondo ed assorbiti tutti gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia, che provvederà, altresì, sulle spese di cassazione, ai sensi dell'art. 385, 3 comma c.p.c P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il quarto motivo di ricorso, respinto il secondo ed assorbiti tutti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia, che provvederà, altresì, sulle spese di cassazione.