Manca la formazione? Il CFL si converte in rapporto di lavoro subordinato

In tema di contratto di formazione e lavoro, l’inadempimento degli obblighi formativi determina la trasformazione, fin dall’inizio, del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, qualora l’inadempimento abbia un’obiettiva rilevanza.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione – sezione Lavoro, con la sentenza n. 16445, depositata il 1° luglio 2013. Contratto di formazione e lavoro strumento formativo o incentivo all’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro? Il contratto di formazione e lavoro, almeno nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto rappresentare, al pari dell’apprendistato, uno strumento per perseguire finalità formative, ma, rispetto a quest’ultimo, più adatto a favorire l’inserimento dei giovani disoccupati nel mondo del lavoro. Tale contratto, però, è passato attraverso alterne vicende, nel corso delle quali, se, da un lato, ha conosciuto una discreta diffusione – soprattutto grazie ad una serie di incentivi – dall’altro, si è prestato ad un’applicazione distorta da parte dei datori di lavoro, inclini a disattendere l’osservanza degli obblighi formativi. Sul piano legislativo, apprendistato e contratto di formazione e lavoro sono andati, via via, differenziandosi tale processo è giunto a compimento con il d.lgs. n. 276/2003 artt. 54-59 , che, nell’ambito di una complessiva revisione dei contratti a contenuto formativo, ha portato all’ampliamento del campo di applicazione del contratto di apprendistato ed alla soppressione, nel settore privato, del contratto di formazione e lavoro il quale, peraltro, ha continuato a trovare applicazione nell’ambito delle pubbliche amministrazioni . La Cassazione ricostruisce la ratio dell’istituto. Secondo la Suprema Corte, lo scopo del contratto di formazione e lavoro è quello di favorire un ingresso guidato” dei giovani nel mondo del lavoro, attraverso un rapporto che dia loro anche gli strumenti per apprendere una determinata professionalità. Al datore di lavoro è consentito l’uso di una certa discrezionalità nel realizzare il programma formativo tale discrezionalità si traduce nella possibilità di alternare la fase teorica con la fase pratica, tenendo conto delle esigenze dell’impresa, ma senza espungere una delle due fasi dall’esecuzione del contratto, atteso che entrambe sono coessenziali. Conseguentemente, il periodo di prova in tanto è rilevante per giudicare le attitudini del lavoratore in formazione in quanto nello stesso siano presenti, sia pure con cadenze diverse rispetto a quelle previste dal programma, entrambe le predette fasi quella teorica e quella pratica , entrambe necessarie per raggiungere lo scopo di un inserimento qualificato nel mondo del lavoro cfr. Cass. n. 82/2003 . Il datore che non forma è punito con la trasformazione del c.f.l. in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La pronuncia in commento ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di contratto di formazione e lavoro, l’inadempimento degli obblighi formativi determina la trasformazione, fin dall’inizio, del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, qualora l’inadempimento abbia un’obiettiva rilevanza. Tale circostanza si verifica in caso di totale mancanza di formazione teorica e pratica ovvero in caso di attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e trasfusi nel contratto in questa seconda ipotesi, il giudice deve valutare la gravità dell’inadempimento in base ai principi generali cfr., ex plurimis , Cass. n. 2247/2006 . Conseguentemente, è esente da censure la sentenza del giudice di merito che, sul rilievo della totale mancanza di formazione, ha dichiarato la trasformazione del rapporto di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 aprile - 1° luglio 2013, numero 16445 Presidente Lamorgese – Relatore Blasutto Svolgimento del processo Con sentenza del 26 novembre 2009, la Corte di Appello di Roma respingeva il gravame proposto dalla Trambus s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso proposto da B.P. inteso ad ottenere la conversione del contratto di formazione e lavoro in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dal marzo 2000 e la condanna della predetta società al pagamento dell'indennità denominata ERS elemento di riordino del sistema retributivo , mentre aveva respinto la domanda riconvenzionale proposta dalla soc. Trambus per l'accertamento dell'obbligo della lavoratrice di osservare un orario di lavoro di 39 ore settimanali in luogo delle 37 ore settimanali da lei osservate nel tempo successivo alla assunzione con contratto a tempo indeterminato e la condanna della stessa a restituire all'azienda quanto indebitamente percepito a titolo di lavoro straordinario in applicazione di un accordo aziendale affetto da nullità per contrasto con norma imperativa. La lavoratrice aveva dedotto di avere già svolto attività di conducente di linea presso l'ATAC durante un periodo di lavoro temporaneo ex l. numero 196/98 di non avere ricevuto alcuna formazione teorica e/o tecnico-pratica durante il periodo del contratto di formazione e lavoro di essere stata inserita sin dall'assunzione nel normale ciclo produttivo aziendale. Aveva quindi dedotto l'illegittimità e/o la nullità del C.F.L. sia per difetto genetico che per difetto funzionale della causa del contratto, atteso che tale tipo negoziale era stato utilizzato per l'assunzione di lavoratore già in possesso della professionalità che tramite esso avrebbe dovuto conseguire, sia per l'assoluta mancanza di attività formativa. Aveva quindi rivendicato il diritto all'inquadramento nel 6^ livello del CCNL e al trattamento anche economico previsto dagli accordi nazionali dell'11.4.1995 e del 25.7.1997, nonché dall'accordo aziendale del 11.7.00, relativo all'emolumento mensile denominato E.R.S. emolumento di riordino del sistema retributivo . La Corte di appello, nel respingere il gravame proposto dalla Trambus s.p.a., osservava che la società non aveva provato e nemmeno allegato di avere adempiuto gli obblighi formativi previsti dal c.f.l., sia quelli relativi alle 102 ore di insegnamento teorico, sia quelli relativi alle 78 ore di formazione teorico-addestrativa in vettura, sia quella dei ritorni in aula per l'approfondimento del programma che, quanto all'E.R.S., il tenore della norma non deponeva per l'interpretazione sostenuta dalla società di limitare l'attribuzione dell'emolumento al solo personale dipendente a tempo indeterminato alla stipula dell'accordo dell'11.7.2000 con esclusione di quello che tale fosse divenuto per effetto della conversione del rapporto in via giudiziale e con effetto ex tunc ex art. 3, comma 9, d.l. numero 762/84 che a diverse conclusioni non poteva pervenirsi in base alla clausola di interpretazione autentica del 24.3.05, alla quale doveva attribuirsi significato novativo, esprimendo l'intenzione dei contraenti che nessuna assunzione successiva al 2 marzo 2000 poteva prevedere il riconoscimento dell'elemento mensile ERS che inoltre, al di fuori dello speciale settore del lavoro pubblico, è estranea all'ordinamento positivo la facoltà di interpretazione autentica dei contratti collettivi di lavoro ad opera delle parti sociali, essendo tale facoltà riservata, con effetti retroattivi, soltanto al legislatore in riferimento a leggi o ad atti ad esse equiparati che, quanto alla domanda riconvenzionale proposta da Trambus s.p.a. per la restituzione delle somme erogate quale straordinario oltre le 37 ore settimanali sulla base di una norma aziendale ritenuta nulla dalla Corte di Cassazione in precedente pronunzia Cass. numero 12661/2004 poiché adottata in deroga alla contrattazione nazionale che prevedeva un orario settimanale di 39 ore, la suddetta pronuncia di nullità era stata emessa per contrasto con l'art. 5 ter d.l. numero 702 del 1978, convertito in legge numero 1 del 1979, del quale non era stata dedotta la persistente vigenza e che espressamente limitava il suo ambito temporale di operatività fino all'entrata in vigore della legge di riforma della municipalizzazione, la quale era avvenuta con la legge 8 giugno 1990 numero 142, poi perfezionata da leggi successive e dal testo unico di cui al d.lgs. 18 agosto 2000 numero 267, artt. 112 e 113 che, in ogni caso erano maggiormente condivisibili altre sentenze di legittimità Cass. numero 10710/2002 e numero 4953/02 , che avevano escluso l'illegittimità degli accordi aziendali del 23 giugno 1983 e del 28 luglio 1988 nella parte in cui prevedevano la riduzione a 37 ore della durata della prestazione lavorativa settimanale. Per la cassazione di tale decisione ricorre ATAC s.p.a., quale incorporante di Trambus s.p.a., affidando l'impugnazione a tre motivi, illustrati con successiva memoria ex art. 37 8 c.p.c Resiste con controricorso B.P. , che ha parimenti depositato memoria illustrativa. Motivi della decisione Con il primo motivo, l'ATAC s.p.a. denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 12 disp. genumero , in relazione al D.L. numero 726 del 1984, art. 3, convertito in L. numero 863 del 1984, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., numero 3, assumendo che la funzione precipua del c.f.l. è quella di favorire la costituzione di rapporti di lavoro subordinato per i giovani e tale finalità è prevalente su quella meramente formativa nella specie l'attuale resistente era stata assunta a tempo indeterminato allo scadere del contratto di formazione e lavoro e ciò costituiva la dimostrazione che il contratto aveva raggiunto lo scopo cui era preordinato. Inoltre, un qualsiasi discostamento, anche lieve, dal programma di formazione non può essere idoneo a determinarne la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, qualora si accerti che il contratto ha raggiunto la finalità di consentire al giovane un ingresso guidato nel mondo del lavoro. Significato interpretativo può trarsi dal d.lgs. numero 276 del 2003 che nel prevedere una nuova tipologia contrattuale - il contratto di inserimento art. 54 e segg. in sostituzione del c.f.l. - prescinde completamente dalla previsione di un progetto formativo. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 1321 cod. civ., art. 1362 cod. civ. e segg., in relazione all'accordo collettivo aziendale 11 luglio 2000 ed al verbale di accordo 24 marzo 2005, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., numero 3. Assume che con il c.c.numero l. 11 aprile 1995 fu stabilito un salario di ingresso per i neo assunti con c.f.l., il cui trattamento, durante il contratto stesso e per i quindici mesi successivi alla trasformazione, prevedeva l'esclusione di tutti gli istituti retributivi previsti dalla contrattazione aziendale, il successivo accordo nazionale del 2 marzo 2000 aveva fatto riferimento alla necessità di procedere alla riclassificazione degli istituti salariali aziendali e di definire a livello aziendale la quota da riservare ai neo assunti. Tale disposizioni vennero attuate dall'ATAC con l'accordo aziendale dell'11 luglio 2000 che, nel definire le nuove voci, stabilì la soppressione di ogni altra indennità, premio o maggiorazione in precedenza prevista a livello aziendale al contempo, al fine di compensare della soppressione di tali voci chi di fatto già ne godeva, mantenendo un differenziale sul trattamento economico dei più anziani rispetto a quello dei più giovani, l'art. 2 di tale accordo del luglio 2000 previde che fosse istituito, a decorrere dal mese di agosto 2000, per il solo personale in forza a tempo indeterminato alla data di stipula del presente accordo, un emolumento mensile consolidato denominato Elemento di Riordino del Sistema retributivo ERS . Sostiene la ricorrente che la ratio e la finalità dell'accordo dell'11 luglio 2000 erano quelle di limitare il diritto all'ERS ai soli dipendenti formalmente assunti a tempo indeterminato, escludendo proprio i lavoratori in quel momento assunti con contratti di lavoro flessibile. Il verbale sindacale del 24 marzo 2005 si limitò a confermare tale interpretazione, senza alcuna portata novativa la possibilità delle parti sociali di fornire una interpretazione autentica della propria volontà contrattuale è riconducibile al negozio di accertamento, dovendosi pure considerare che in tema di interpretazione di contratti collettivi il comportamento posteriore delle parti, valutabile ex art. 1362 secondo comma cod. civ., può essere costituito da un successivo accordo, il quale - nella parte non direttamente dispositiva - presupponga una determinata interpretazione di una complessa ed organica disciplina di istituti contrattuali articolata nel tempo e nel corso di più contratti collettivi. Con il terzo motivo, la società si duole della violazione e falsa applicazione del c.c.numero l. 23.7.1976, stipulato tra Federtrasporti, ANAC FENIT e le 00.SS. FILT CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti e dell'accordo collettivo nazionale del 12 luglio 1985 stipulato tra FILT CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti e Federtrasporti, l'ANAC, la FENIT e l'INTERSIND, nonché della violazione e falsa applicazione del c.c.numero l. 25 luglio 1997 stipulato tra ANAC, la FENIT, e le 00.SS. FILT-CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., numero 3 , assumendo il vizio della sentenza in relazione al rigetto della domanda riconvenzionale della società. Rileva che l'orario di 39 ore settimanali stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale era stato ridotto a 37 ore in virtù di previsione di contrattazione aziendale accordo 16 giugno 1983 , pacificamente applicato anche all'attuale resistente, ma tale accordo era stato ritenuto nullo dalla Corte di Cassazione con sentenza numero 12661 dell'8 luglio 2004. La lavoratrice aveva così indebitamente percepito successivamente alla assunzione a tempo indeterminato dal marzo 2002 in poi i compensi per lavoro straordinario per le ore prestate dalla 37ma alla 39ma, le cui differenze erano state oggetto della domanda restitutoria erroneamente respinta dalla Corte di appello, che non aveva dato una corretta interpretazione alla domanda proposta art. 112 cod. proc. civ. . Inoltre, era stato erroneamente ritenuto che l'art. 5 ter del d.l. numero 702 del 1978 non regolasse la fattispecie in esame al contrario i due accordi, quello aziendale del 1983 e quello nazionale del 1985, erano stati adottati nella piena operatività di tale disposizione e del primo l'Azienda aveva continuato a fare applicazione anche successivamente. Il ricorso è infondato. Preliminarmente, il Collegio richiama il proprio orientamento interpretativo espresso nelle recenti sentenze nnumero 18553, 20598 e 20761 del 2012, rese in fattispecie del tutto analoghe a quella oggetto del ricorso in esame. Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di contratto di formazione e lavoro, l'inadempimento degli obblighi di formazione determina la trasformazione, fin dall'inizio, del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, qualora l'inadempimento abbia un'obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di formazione, teorica e pratica, ovvero in una attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e quindi trasfusi nel contratto. In questa seconda ipotesi il giudice deve valutare in base ai principi generali la gravità dell'inadempimento, giungendo alla declaratoria di trasformazione del rapporto V. per tutte Cass. 1 febbraio 2006 numero 2247, Cass. 7 agosto 2004 numero 15308 Cass. 4 ottobre 2004 numero 19846 e, più specificamente, Cass. 9 marzo 2009 numero 5644, relativa all'ipotesi in cui il lavoratore, già al momento della sua assunzione con c.f.l., possegga la professionalità che, secondo gli accordi intervenuti, dovrebbe costituire lo scopo del programma formativo avendo espletato in precedenza analoga attività lavorativa . La sentenza impugnata che, sul rilievo della totale mancanza di formazione, ha dichiarato la trasformazione del rapporto di lavoro è, pertanto, corretta in diritto. Lo scopo del contratto di formazione e lavoro è quello di favorire un ingresso guidato dei giovani nel mondo del lavoro, attraverso un rapporto che dia loro anche gli strumenti per apprendere una determinata professionalità ed è consentito al datore di lavoro l'uso di una circoscritta discrezionalità nel realizzare il programma di formazione, che si traduce nella possibilità di alternare la fase teorica con la fase pratica tenendo conto delle esigenze dell'impresa, ma tale discrezionalità non può mai spingersi fino ad espungere una delle due fasi dalla esecuzione del contratto, atteso che entrambe sono coessenziali, con la conseguenza che il periodo di prova in tanto è rilevante per giudicare delle attitudini del lavoratore in formazione in quanto nello stesso, sia pure con cadenze diverse rispetto a quelle previste dal programma, siano presenti entrambe le predette fasi coessenziali al raggiungimento dello scopo di un inserimento qualificato nel mondo del lavoro Cass. 8 gennaio 2003, numero 82 . Né può indurre a diverse conclusioni il richiamo al contratto d'inserimento - di cui alla legge D.Lgs. numero 276 del 2003 - riguardando la presente fattispecie un contratto del tutto diverso al quale il richiamato D.Lgs. ha assegnato ratione temporis una differente funzione economico-sociale. Con la seconda censura la società ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1321, 1362 c.c., e segg., in relazione all'accordo aziendale 11 luglio 2000 ed al verbale di accordo 24 marzo 2005, prospetta che la Corte del merito ha erroneamente ritenuto, quanto alla spettanza dell'ERS elemento di riordino del sistema retribuivo-, che l'accordo d'interpretazione autentica del 24 marzo 2005 - in base al quale veniva esclusa la corresponsione di detto ERS a coloro i quali, come la B. , al momento della stipula del precedente accordo del 2000 non erano lavoratori subordinati a tempo indeterminato - aveva natura innovativa. La censura non è condivisibile. Il decisum sul punto della sentenza impugnata si fonda essenzialmente sulla considerazione che, in conseguenza della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato con efficacia ex tunc , la B. era all'epoca dell'accordo a tutti gli effetti giuridici ed economici dipendente a tempo indeterminato e come tale rientrante nel personale in forza a tempo indeterminato alla data della stipula dell'accordo al quale, secondo detto accordo, spettava la corresponsione del c.d. ERS. Assume la società che all'attuale resistente non spetterebbe il richiamato ERS poiché con l'accordo del 24 marzo 2005 le parti, interpretando in via autentica la precedente intesa dell'11 luglio 2000, avevano escluso dalla corresponsione dell'ERS coloro i quali non fossero formalmente dipendenti a tempo indeterminato all'epoca della stipula dell'accordo del 2000, ciò al fine di escludere gli assunti con contratto di formazione lavoro i quali si erano visti riconoscere ex post la qualificazione giuridica del proprio rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ritiene il Collegio che la stessa prospettazione della società confermi l'esattezza dell'affermazione della Corte di appello secondo la quale l'accordo del 2005 non ha natura interpretativa, bensì innovativa. Invero, affinché un negozio giuridico successivo possa ritenersi interpretativo di uno precedente è necessario, al di là delle espressioni di qualificazione utilizzate dalle parti, che la volontà esplicitata nell'ultimo negozio sia desumibile anche dal precedente, viceversa la nuova intesa è innovativa e non interpretativa. Avuto riguardo al caso di specie, ritiene il Collegio che la volontà di limitare la corresponsione dell'ERS solo ai lavoratori che al marzo del 2000 fossero formalmente dipendenti a tempo indeterminato con esclusione di coloro i quali fossero divenuti tali per effetto di successivo riconoscimento giudiziale non sia desumibile dall'accordo del 2000, non essendovi alcuna clausola contrattuale che legittima siffatta ricostruzione della volontà delle parti. Né la società ricorrente la indica, limitandosi a prospettare le ragioni storiche che indussero le parti alla previsione dell'ERS. Tanto, tuttavia, non è sufficiente, atteso che la volontà esplicitata nell'intesa del 2005 non trova alcun riscontro nell'accordo del 2000, dove si fa riferimento al personale in forza a tempo indeterminato alla data di stipula del presente accordo , né in altre clausole collettive. La ratio posta a base dell'accordo del 2005, come prospettata dalla stessa società ricorrente è, all'evidenza, del tutto estranea all'accordo precedente ed è funzionale all'esigenza di far fronte ad una situazione venutasi a creare dopo l'accordo del 2000. Tutto ciò a prescindere dalla possibilità per le parti sociali, in sede di contrattazione collettiva del settore privato, di procedere ad un'interpretazione di clausole contenute in precedente contratto, essendo tale meccanismo espressamente previsto con riguardo al settore del lavoro pubblico privatizzato in tema di procedura di accertamento della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dall'ARAN, di cui al D.Lgs. numero 165 del 2001, art. 64, ed operando, in tema di contrattazione collettiva privata, il principio della normale successione dei contratti. Tali considerazioni hanno carattere assorbente di ogni altro rilievo mosso dalla società alla sentenza impugnata. Con la terza critica la società, allegando violazione del CCNL 23 luglio 1976, dell'accordo collettivo 12 luglio del 1985 e dell'art. 2126 c.c., comma 2, assume che stante la nullità - per effetto della sentenza numero 12661 del 2004 di questa Corte - della contrattazione aziendale accordo 18 luglio 1983 , la quale aveva previsto una riduzione dell'orario di lavoro da 39 ore settimanali a 37 ore, erroneamente la Corte del merito aveva respinto la domanda riconvenzionale. Il motivo è infondato, anche se deve correggersi la motivazione della sentenza impugnata nel senso che segue. Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di trattamento economico dei Spendenti di aziende municipalizzate, il D.L. numero 702 del 1978, art. 5 ter, convertito in L. numero 3 del 1979 - che, tra l'altro, fa divieto alle aziende municipalizzate degli enti territoriali di stipulare accordi integrativi aziendali che comportino erogazioni economiche aggiuntive rispetto a quelle previste nei contratti nazionali - è norma a carattere imperativo essenzialmente intesa ad un trattamento economico uniforme su tutto il territorio nazionale per i dipendenti delle aziende municipalizzate, alla parità delle aziende suddette in relazione ai costi del personale, nonché al contenimento dei costi medesimi, onde il divieto espresso da tale norma non va inteso in senso formale e restrittivo, come impeditivo soltanto della possibilità che le aziende manifestino direttamente la volontà di obbligarsi, ma nel senso che ad essere vietato è il risultato, con qualsiasi procedimento ottenuto, di vincolare l'azienda al rispetto di statuizioni derogatorie della contrattazione nazionale che siano l'effetto di un atto perfezionatosi successivamente all'entrata in vigore della norma imperativa Cass. 5.3.01numero 3196, che riprende S.U. 19.11.98 numero 11714 e Sez.Lav. 29.4.98 numero 4386 conf. Cass. 12478/1999 6161/2000 7103/2000 cfr. da ultimo, Cass. numero 18251 del 2011, numero 21293 del 2009, numero 29926 del 2008 . Tale norma era sicuramente vigente anche al tempo della stipulazione degli accordi aziendali di cui la società, attuale ricorrente, ha fatto applicazione il citato art. 5 ter rende nulli tutti gli atti posti in essere successivamente alla sua entrata in vigore, di modo che è nulla per violazione di norma imperativa la clausola di un contratto aziendale che disponga una riduzione dell'orario di lavoro a 37 ore in luogo delle 39 ore stabilite dalla contrattazione nazionale. Peraltro, la sentenza impugnata è basata su un'autonoma ratio decidendi laddove evidenzia che il contenuto ambiguo della domanda riconvenzionale era già di per sé ostativo all'accoglimento di siffatta domanda , con motivazione alternativa, da sola idonea a sorreggere il dispositivo di rigetto della domanda riconvenzionale e dell'impugnazione . Contrariamente a quanto assume parte ricorrente, dal tenore della sentenza - che conclude per il rigetto e non per la nullità della domanda riconvenzionale - si desume che il giudice di appello ha ritenuto la domanda infondata per carenza delle allegazioni di fatto poste a fondamento della richiesta di ripetizione di indebito. Questo, trovando titolo nella erogazione di compensi per lavoro straordinario erogazione che si assume avvenuta sine titulo , presupponeva la chiara allegazione dei fatti costitutivi del diritto e dunque dell'effettività della prestazione lavorativa resa tra la 37^ e la 39^ ora e della erogazione dei compensi per lavoro straordinario. Dalla sentenza impugnata si ricava che l'allegazione dei fatti costitutivi era mancata, poiché nella domanda interpretata nel suo insieme e non solo alla stregua delle conclusioni che ne definivano il petitum non era stato nemmeno chiarito se la prestazione eccedente la 37^ ora fosse stata effettivamente resa o se invece la ricorrente avesse lavorato solo per 37 ore alla settimana anziché 39 ore come previsto dal contratto collettivo nazionale, sulla cui base era stata retribuita. Il giudice di appello ha dunque individuato l'effettivo contenuto sostanziale della domanda, rilevandone tuttavia una carente allegazione dei suoi fatti costitutivi. La mancata trascrizione del tenore testuale della domanda riconvenzionale, interpretato dal giudice di merito nel senso sopra riferito, preclude a questa Corte la disamina di qualsiasi censura in merito all'interpretazione del tenore della domanda. Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va, conclusivamente, respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della società e vanno distratte, nella misura indicata in dispositivo, in favore del difensore che ha dichiarato di averle anticipate. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi, oltre accessori di legge, con distrazione in favore dell'avv. Riccardo Faranda.