L’articolo 1362 c.c. non istituisce alcuna “gerarchia ermeneutica” fra testo letterale e comune intenzione dei contraenti, ma impone in ogni caso di non limitarsi alla lettera e di ricostruire il significato dell’accordo anche sulla base della comune intenzione, quale emerge dai comportamenti delle parti. Ciò nondimeno, l’operazione va compiuta tenendo presente il confine fra la ricostruzione di quanto le parti hanno effettivamente voluto e la surrettizia modifica dei precedenti accordi, tramite comportamenti successivi antitetici, magari tenuti inconsapevolmente o per errore, presentati come indici interpretativi degli accordi medesimi.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 11533 del 23 maggio 2014. Il caso. Il giudizio dal quale trae origine la sentenza in commento verte sull’interpretazione di due contratti di compravendita stipulati dall’ENPAM per l’acquisto di due porzioni immobiliari di un Centro Direzionale. Con tali contratti la società venditrice si era impegnata a garantire all’acquirente un reddito annuo per canoni di locazione pari al 6,50% del prezzo di vendita per la durata di sei anni. A tale scopo, con atto separato, l’acquirente aveva conferito mandato all’alienante a locare le unità immobiliari comprese negli stabili, nonché ad amministrare e gestire gratuitamente gli stessi, fino alla completa locazione. Nel corso dell’esecuzione del rapporto, la somma garantita in pagamento dei canoni non veniva mai raggiunta, sicché l’ENPAM si rivolgeva all’Autorità Giudiziaria al fine di ottenere il pagamento di quanto dovutole. Al termine del giudizio di primo grado, il Giudice interpretava gli accordi intercorsi tra le parti nel senso che solo le spese inerenti all’esecuzione del mandato dovevano restare a carico della mandataria, non invece quelle sostenute per il costo dei servizi. Tanto era deducibile dal fatto che la mandante inviava annualmente all’ENPAM gli estratti conto addossandole tali costi, e quest’ultima li rimborsava tramite compensazione con quanto le spettava a titolo di reddito garantito. La medesima interpretazione del contratto era confermata in sede d’appello, sicché l’ENPAM proponeva ricorso in Cassazione. L’accertamento della comune volontà delle parti. Nel caso di specie, si trattava di stabilire se, quanto alle spese di gestione degli immobili, da ripartire pro quota fra i singoli appartamenti e quindi tra i relativi conduttori ove fossero tutti locati, e fra i conduttori e il proprietario ove fossero in parte liberi , le parti si fossero accordate nel senso che, in deroga ai principi generali, anche le spese di gestione gravanti sugli appartamenti sfitti sarebbero rimaste a carico della venditrice. Ebbene, la Corte di merito aveva optato per la soluzione negativa, ritenendo che tali spese dovessero essere poste a carico dell’acquirente. Tale opzione è però smentita dalla Suprema Corte. All’uopo, i Giudici di legittimità osservano che, alla luce delle clausole contrattuali richiamate, gli accordi fra le parti fossero inequivocabili nel porre a carico della venditrice tutti gli oneri e le spese di gestione, salvo quelle che quest’ultima poteva recuperare dai conduttori degli appartamenti locati. Tale interpretazione rispecchiava la comune volontà delle parti e le finalità da esse perseguite, nel senso che l’addebito alla mandataria delle suddette spese era funzionale allo scopo di sollecitare la stessa ad attivarsi per garantire la locazione degli interi immobili, senza oneri o spese aggiuntivi per l’acquirente. Una conferma in tal senso era rinvenibile nel testo del mandato, il quale ribadiva che tutte le spese inerenti all’esecuzione del mandato, ivi incluse quelle sostenute per l’amministrazione del bene, avrebbero fatto carico alla mandataria fino alla completa locazione degli immobili. Pertanto, sulla scorta dei rilievi richiamati, la motivazione della Corte d’appello è ritenuta insufficiente e lacunosa, sia per quanto concerne l’accertamento della comune intenzione delle parti, fatta palese dal testo letterale delle parole articolo 1362 c.c. , sia per quanto concerne l’obbligo di tenere conto di tutte le clausole rilevanti allo scopo, attribuendovi il significato che risulta dal complesso dei loro accordi articolo 1363 c.c. . La valutazione del comportamento successivo delle parti. Sotto altro profilo, la ricorrente censura il capo della sentenza di appello che ha dato rilievo al comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto. In particolare, viene in considerazione la circostanza che, per alcuni anni, i rendiconti presentati dalla mandataria all’ENPAM includevano sia la rivalutazione Istat, sia il rimborso delle spese nei termini da essa prospettati, e gli stessi venivano accettati dal personale della Fondazione. Nel condividere la censura della ricorrente, la Suprema Corte fornisce alcuni chiarimenti in merito all’interpretazione dell’articolo 1362 c.c. Premesso che tale disposizione non istituisce alcuna “gerarchia ermeneutica” fra testo letterale e comune intenzione dei contraenti, ma impone di non limitarsi alla lettera e di ricostruire il significato dell’accordo anche sulla base della comune intenzione, quale emerge dai comportamenti delle parti, è chiaro che tale operazione non può comportare una surrettizia modifica dei precedenti accordi. Sebbene sia incontestabile che il contraente che operi tramite i propri dipendenti risponda dei loro comportamenti, la circostanza che comportamenti contrastanti con il significato univoco di una clausola contrattuale siano stati tenuti dal personale degli uffici, anziché dal contraente o dalle persone dotate del potere di impegnare il contraente, potrebbe assumere rilievo al fine di accreditare l’ipotesi dell’eventuale inconsapevolezza, o dell’errore di colui o di coloro che abbiano agito, sì da rendere non significativo il comportamento contrastante con il testo letterale dell’accordo. Interessi corrispettivi e stato soggettivo del debitore. Da ultimo, la ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non abbia accolto la sua domanda di condanna della venditrice a pagare gli interessi sulle somme dovute e pagate con ritardo, fino alla data di notificazione dell’atto di citazione. Nel condividere la censura della ricorrente, la Suprema Corte si pone in contrasto con la decisione dei Giudici di merito di respingere il motivo di impugnazione esclusivamente in base al rilevo che, nel periodo indicato, il preciso importo del debito dell’alienante era oggetto di contestazioni e che, a fronte dell’incertezza sul quantum, non era emerso un ingiustificato atteggiamento strumentalmente dilatorio dei pagamenti. Di contro, la Cassazione ritiene che, al fine di stabilire se il creditore abbia o meno diritto alla corresponsione degli interessi corrispettivi non interessa la buona o mala fede del debitore, né il suo intento più o meno dilatorio. Occorre invece accertare in quale data il credito sia divenuto liquido ed esigibile articolo 1282, comma 1, c.c. , cioè in che data si siano verificati i presupposti di diritto e di fatto che ne condizionavano il pagamento. La Corte di merito avrebbe dovuto accertare, pertanto, se il credito fosse, oltre che esigibile, liquido, cioè determinato nella sua entità e quantità, o quanto meno determinabile tramite una mera operazione aritmetica. Solo in caso negativo la domanda di pagamento degli interessi avrebbe potuto essere respinta.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 marzo – 23 maggio 2014, numero 11533 Presidente Amatucci – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo Con due rogiti di compravendita in data 12 novembre 1992 la s.p.a. M.P. oggi s.r.l. ha venduto alla Fondazione ENPAM-Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Medici e Odontoiatri due porzioni immobiliari del Centro Direzionale CIE, in Comune di Latina, la prima costituita dallo stabile servito dalle tre scale contrassegnate con le lettere D, E, F la seconda da altro stabile servito dalle scale contrassegnate con A, B, C. Entrambi i contratti disponevano, all'articolo 6, che la venditrice si impegnava a garantire all'acquirente un reddito annuo per canoni di locazione pari al 6,50% del prezzo di vendita, per la durata di sei anni a decorrere dal 1 gennaio 1993. A tale scopo la medesima clausola numero 6 disponeva che l'acquirente avrebbe conferito alla venditrice mandato a locare le unità immobiliari comprese negli stabili, nonché ad amministrare e gestire gratuitamente gli stessi, fino alla completa locazione. Il mandato è stato regolato separatamente, con scrittura privata registrata il 5 aprile 1993. A garanzia dell'adempimento dell'obbligo di assicurare il reddito annuo, la M. ha offerto due fideiussioni bancarie a prima richiesta, senza possibilità di opporre eccezioni, rilasciate l'una dal Monte dei Paschi di Siena e l'altra dal Banco di Sardegna. Nel corso dell'esecuzione del rapporto la somma garantita in pagamento dei canoni non è stata mai raggiunta ed ogni anno la M. inviava all'ENPAM un rendiconto delle somme percepite a titolo di canoni e rimborso spese dai conduttori degli appartamenti affittati, nonché delle spese sostenute per l'amministrazione elettricità, guardiania, riscaldamento, ecc. . Nel luglio 1998 l'ENPAM ha escusso le fideiussioni ed ha convenuto davanti al Tribunale di Roma la M. e le due banche garanti, chiedendo che venisse accertato che la prima era obbligata a versarle, per l'anno 1997, la somma di £ 1.514.248.500 mentre il Banco di Sardegna ed il Monte dei Paschi erano tenute a pagare gli importi garantiti, pari rispettivamente a L. 919.500.000 ed a L. 594.748.500. Il Banco di Sardegna ha versato L. 750.653.395 il giorno successivo alla notificazione dell'atto di citazione e ha resistito alla domanda per la parte rimanente. La M. ha anch'essa resistito alla domanda, contestando l'ammontare delle somme indicate a suo debito e proponendo domanda riconvenzionale per il rimborso delle spese di gestione relative agli appartamenti sfitti, pari a complessive L. 266.102.700. La banca Monte dei Paschi di Siena è rimasta contumace. Esperita l'istruttoria anche tramite CTU, con sentenza numero 38644/2003 il Tribunale per quanto interessa in questa sede ha interpretato gli accordi intercorsi fra le parti nel senso che solo le spese inerenti all'esecuzione del mandato dovevano restare a carico della mandataria M. non invece quelle sostenute per il costo dei servizi, rilevando che gli estratti conto inviati alla mandante dal 1993 in avanti addossavano all'Enpam tali costi, e quest'ultima li aveva rimborsati tramite compensazione con quanto le spettava a titolo di reddito garantito. Ha conseguentemente quantificato in complessive L. 266.102.700 - di cui L. 123.256.173 per il fabbricato servito dalle scale A,B e C, e L. 142.846.527 per il fabbricato servito dalle scale D, E, F - la somma da detrarsi da quanto dovuto dalla M. a titolo di reddito garantito. Ha escluso che fossero dovuti interessi sulla somma dovuta dal Banco di Sardegna e non ha pronunciato in ordine agli interessi dovuti dal Monte dei Paschi. Proposto appello, la Fondazione Enpam ha dedotto per quanto interessa in questa sede che in base al testo letterale dei contratti di compravendita e del contratto di mandato, la M. si era impegnata a garantirle il reddito netto del 6,50% all'anno del prezzo di vendita, tenendo a proprio carico tutte le spese di gestione, delle quali avrebbe recuperato dagli inquilini quelle relative agli appartamenti affittati. Hanno resistito le appellate, soc. M. e Banco di Sardegna, la quale ultima ha proposto appello incidentale, mentre la Monte dei Paschi è rimasta contumace. Con sentenza 11 maggio - 23 luglio 2007 numero 3262 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, rigettando l'appello principale e dichiarando inammissibile l'incidentale. Con atto notificato il 6-7 ottobre 2008 la Fondazione ENPAM propone quattro motivi di ricorso per cassazione, illustrati da memoria. Resiste con controricorso la s.r.l. M.P. . Resiste con controricorso anche il Banco di Sardegna, proponendo un motivo di ricorso incidentale condizionato. Motivi della decisione 1.- La Corte di appello ha confermato l'interpretazione del contratto di cui alla sentenza del Tribunale e, per quanto interessa in questa sede, ha rilevato che la clausola contenente il mandato a locare e a gestire gratuitamente l'immobile va riferita esclusivamente alle spese di amministrazione degli stabili, ma non può ritenersi comprensiva delle spese condominiali. Ha respinto la domanda di pagamento degli interessi sulle somme dovute dal Banco di Sardegna, sul rilievo che la debitrice ha pagato pressoché contestualmente alla notificazione dell'atto di citazione la somma che ha ritenuto dovuta, sospendendo il pagamento del residuo a causa dell'incertezza circa l'ammontare del debito. 2.- Il primo motivo del ricorso principale denuncia erronea, contraddittoria ed insufficiente motivazione, quanto al significato da attribuire agli accordi intercorsi fra le parti relativamente all'onere delle spese di gestione attinenti agli appartamenti non locati. Assume l'Enpam che la Corte di appello non ha tenuto conto né del testo letterale degli accordi, considerati nel loro complesso, né della comune volontà delle parti e delle finalità da esse perseguite. Richiama il testo dell'articolo 6 dei contratti di compravendita, secondo cui Quale condizione essenziale del negozio la società venditrice assume a suo completo carico per la durata di sei anni dalla data di consegna dell'immobile ogni opera e spesa di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile in oggetto. Questo patto è stato tenuto nel debito conto nella determinazione del prezzo della compravendita. La società venditrice garantirà con atto separato all'ENPAM un reddito annuo per canoni di locazione pari al 6,50 del prezzo a decorrere dal 1 gennaio 1993 per la durata di sei anni. Per agevolare la realizzazione di quanto garantito l'Ente conferisce alla società venditrice mandato a locare, nel rispetto delle disposizioni di legge vigenti, nonché ad amministrare e a gestire gratuitamente l'immobile oggetto del presente atto fino alla sua completa locazione . Rileva che la Corte di appello ha omesso di tenere conto delle disposizioni - integrative di quelle di cui sopra – del contratto di mandato di cui alla scrittura privata registrata il 5 aprile 1993, secondo cui Tutte le somme che la società mandataria incasserà da oggi a qualunque titolo in forza del mandato in parola, compresi i depositi cauzionali, dovranno essere rimesse all'Enpam, senza che sulle somme medesime possa essere operata alcuna trattenuta poiché anche le eventuali spese per l'esecuzione del mandato compresa la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili ed impianti tutti, le spese di amministrazione del complesso, nonché quelle pro quota del comprensorio e del comparto, le spese per eventuali giudizi sono a carico della mandataria società. La mandataria potrà naturalmente richiedere ai locatari e trattenere quella parte di oneri condominiali per legge a carico degli stessi . Deduce da quanto sopra che gli accordi fra le parti sono inequivocabili nel porre a carico della venditrice tutti gli oneri e le spese di gestione, salvo quelle che quest'ultima potrà recuperare dai conduttori degli appartamenti locati e che tale interpretazione rispecchia la comune volontà delle parti e le finalità da esse perseguite, nel senso che l'addebito alla M. delle suddette spese era funzionale allo scopo di sollecitare la stessa ad attivarsi per garantire la locazione degli interi immobili, senza oneri o spese aggiuntivi per l'acquirente. 3.- Con il secondo motivo la ricorrente, pur denunciando violazione di varie disposizioni di legge articolo 62 ss. d.p.r. 18 dicembre 1979 numero 696 e 9 gennaio 1971 numero 141 legge 20 marzo 1975 numero 70, RT. 1362, 1363, 1462 cod. civ. , lamenta prevalentemente vizi di motivazione, sempre in relazione all'onere delle spese di gestione. Rileva che erroneamente la Corte di appello ha parlato di spese condominiali , trattandosi di immobili appartenenti ad un unico proprietario che il comportamento delle parti nei primi anni del rapporto non è significativo, poiché il criterio di interpretazione di cui all'articolo 1362, 2 comma, cod. civ. viene in considerazione solo quando il testo letterale non sia chiaro, ed il comportamento degli addetti agli uffici amministrativi sarebbe comunque irrilevante, perché proveniente da soggetti non abilitati ad esprimere la volontà dell'ente tanto più quando si consideri che l'Enpam, quale ente pubblico non economico, regolato dalla legge numero 70/1975, è soggetto a peculiari e rigide formalità per la conclusione e la modificazione degli accordi contrattuali. 4.- I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché connessi, sono fondati, nei termini che seguono. Correttamente la ricorrente Fondazione rileva che la Corte di appello, nel procedere all'interpretazione degli accordi contrattuali, è incorsa nella violazione dell'articolo 1362 cod. civ. ed in motivazione insufficiente. È irrilevante il riferimento alle spese condominiali , censurato dalla ricorrente, poiché è chiaro che - pur appartenendo gli stabili ad un unico proprietario - con la suddetta espressione la Corte di merito ha inteso alle spese di gestione da ripartire pro quota fra i singoli appartamenti quindi fra i relativi conduttori, ove siano tutti locati, e fra i conduttori ed i proprietari od il proprietario, ove siano in parte liberi. Qui si trattava di stabilire se, ferma restando la suddetta regola di principio, le parti si fossero accordate nel senso che, in deroga ai principi generali, anche le spese di gestione gravanti sugli appartamenti sfitti sarebbero rimaste a carico della venditrice. Quale unica argomentazione a supporto della decisione negativa la sentenza impugnata afferma che non risultano poste espressamente a carico della società venditrice, oltre alle spese condominiali per utenze elettriche, [le spese] per riscaldamento, per la pulizia e simili riguardanti gli appartamenti sfitti per gli appartamenti locati è pacifico che tali spese siano a carico degli inquilini . In primo luogo la motivazione è ambigua, perché - riferendosi alle spese per riscaldamento, pulizia e simili riguardanti gli appartamenti sfitti - sembra avere confuso le spese determinate dall'uso dell'appartamento, per utenze, pulizia, ecc, interni allo stesso, che in relazione agli appartamenti sfitti non sussistono, e le spese generali di gestione dello stabile per illuminazione, pulizia, manutenzione, guardiania, ecc, delle parti comuni , che invece gravano pro quota sulle unità immobiliari che compongono il fabbricato e che sono le sola che vengono in considerazione nella presente controversia. Con riguardo a queste ultime, la Corte di appello non spiega come si concilii la sua interpretazione con il testo della clausola numero 6 dei contratti di compravendita, secondo cui Quale condizione essenziale del negozio la società venditrice assume a suo completo carico per la durata di sei anni dalla data di consegna dell'immobile ogni opera e spesa di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile in oggetto. Questo patto è stato tenuto nel debito conto nella determinazione del prezzo della compravendita Per agevolare la realizzazione di quanto garantito l'Ente conferisce alla società venditrice mandato a locare, nel rispetto delle disposizioni di legge vigenti, nonché ad amministrare e a gestire gratuitamente l'immobile oggetto del presente atto fino alla sua completa locazione . Da quali indici interpretativi abbia desunto che le spese di gestione ordinaria degli immobili, che le clausole contrattuali sopra richiamate pongono a carico della venditrice sino alla completa locazione degli immobili , debbano essere invece poste a carico dell'acquirente, sebbene la locazione degli interi immobili non sia stata completata. 4.1.- Ma soprattutto nel procedere all'interpretazione degli accordi la Corte di appello ha omesso di prendere in esame il testo del mandato conferito alla M. , menzionato dalla clausola 6 dei contratti di compravendita, il quale ribadisce che tutte le spese inerenti all'esecuzione del mandato, ivi incluse quelle sostenute per l'amministrazione del bene, nessuna esclusa addirittura anche le spese giudiziali per le eventuali controversie avrebbero fatto carico alla mandataria fino alla completa locazione degli immobili che la mandataria avrebbe dovuto versare all'Enpam tutte le somme incassate dai conduttori, compresi i depositi cauzionali, senza che sulle somme medesime possa essere operata alcuna trattenuta poiché anche le eventuali spese per l'esecuzione del mandato compresa la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili ed impianti tutti, le spese di amministrazione del complesso sono a carico della mandataria società la quale avrebbe potuto solo richiedere ai locatari e trattenere quella parte di oneri condominiali per legge a carico degli stessi . La Corte di merito non si è poi data carico dell'alternativa interpretazione, secondo cui la comune intenzione delle parti, in relazione alle finalità perseguite, sarebbe stata quella di facilitare alla venditrice la conclusione dell'affare, tramite la garanzia che gli immobili avrebbero comunque assicurato all'acquirente un certo reddito per i primi sei anni, e di garantire all'acquirente l'adempimento della promessa, tramite l'interesse della venditrice a procedere effettivamente alla locazione dell'intero immobile, per evitare gli oneri inerenti al mancato recupero delle spese di amministrazione. La motivazione della Corte di appello è insufficiente e lacunosa, sia per quanto concerne l'accertamento della comune intenzione delle parti, fatta palese dal testo letterale delle parole articolo 1362 cod. civ. , sia per quanto concerne l'obbligo di tenere conto di tutte le clausole rilevanti allo scopo, attribuendovi il significato che risulta dal complesso dei loro accordi articolo 1363 cod. civ. . 4.2.- La ricorrente censura anche il capo della sentenza di appello che ha tratto argomento dal comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto, affermando che, quando il testo letterale è chiaro, non v'è ragione di ricorrere al disposto del 2 comma dell'articolo 1362 cod. civ Va premesso che la sentenza impugnata ha richiesto il comportamento delle parti solo con riferimento all'altro dubbio interpretativo discusso nei gradi di merito e qui non prospettato, attinente alle modalità di calcolo del reddito degli immobili se dovesse essere calcolato con riferimento al mero importo dei canoni di locazione, o agli importi via via incrementati dalla rivalutazione ISTAT . Le argomentazioni addotte si prestano tuttavia ad offrire argomento anche con riguardo al problema delle spese di gestione, poiché richiamano la circostanza che, almeno per alcuni anni, i rendiconti presentati dalla M. all'Enpam includevano sia la rivalutazione Istat, sia il rimborso delle spese nei termini da essa prospettati, e sono stati accettati dal personale della Fondazione. Premesso che l'articolo 1362 cod. civ. non istituisce alcuna gerarchia ermeneutica fra testo letterale e comune intenzione dei contraenti, ma impone in ogni caso di non limitarsi alla lettera e di ricostruire il significato dell'accordo anche sulla base della comune intenzione, quale emerge dai comportamenti delle parti, è chiaro che l'operazione va compiuta tenendo presente il confine - che non deve essere superato - fra la ricostruzione di quanto le parti hanno effettivamente voluto e la surrettizia modifica dei precedenti accordi, tramite comportamenti successivi antitetici, magari tenuti inconsapevolmente o per errore, presentati come indici interpretativi degli accordi medesimi. Vale a dire, l'articolo 1362 cod. civ. richiama il comportamento delle parti allo scopo di pervenire alla ricostruzione di quanto esse abbiano effettivamente voluto e disposto non al fine di modificarne le disposizioni. Sta alla sensibilità dell'interprete mantenersi entro il suddetto limite, il cui superamento è tanto più agevole quanto più i comportamenti successivi risultino devianti rispetto alla chiarezza del testo letterale ed alla sua coerenza con le finalità pratiche perseguite dalle parti e con la complessiva economia dell'accordo, che delle parti stesse manifestano la comune intenzione. In questa prospettiva deve essere presa in esame l'eccezione della ricorrente, secondo cui il comportamento dei propri dipendenti non sarebbe rilevante. L'eccezione non è condivisibile nella sua assolutezza, poiché in linea di principio il contraente che operi tramite i propri dipendenti ed ausiliari risponde dei loro comportamenti, così come risponde in genere dell'organizzazione e dell'esercizio della sua attività, anche agli effetti del risarcimento dei danni cfr. articolo 1228 e 2049 cod. civ. . La circostanza che comportamenti contrastanti con il significato univoco di una clausola contrattuale siano stati tenuti dal personale degli uffici, anziché dal contraente o dalle persone dotate del potere di impegnare il contraente, potrebbe assumere rilievo al fine di accreditare l'ipotesi dell'eventuale inconsapevolezza, o dell'errore di colui o di coloro che abbiano agito, sì da rendere non significativo il comportamento contrastante con il testo letterale dell'accordo. In questo senso vanno interpretate le obiezioni della Fondazione ricorrente a che si attribuisca significato decisivo a comportamenti ascrivibili esclusivamente al personale degli uffici, ed in questa prospettiva esse avrebbero dovuto essere prese in considerazione dalla Corte di merito fermo restando ovviamente il potere-dovere di valutare e di accertare, con congrua e logica motivazione, se il testo delle clausole da interpretare sia o non sia univoco quale sia la natura e l'effettiva valenza dei comportamenti successivi e, qualora li si ritenga incompatibili con il testo letterale, se siano stati tenuti con la convinzione, la consapevolezza e la volontà di attribuire un corrispondente significato agli accordi intercorsi. 4.3.- Deve essere invece disatteso il richiamo della ricorrente alle formalità prescritte per la conclusione dei contratti degli enti pubblici, quale argomento idoneo a precludere il prodursi degli effetti del comportamento condiscendente con l'interpretazione della M. , perché asseritamente modificativo del contenuto degli accordi. Qui si pone infatti il problema di interpretare gli accordi già intervenuti, cioè di individuare il significato che le parti hanno voluto attribuire a contratti che, a suo tempo, sono stati validamente conclusi, nelle forme prescritte dalla legge. Non si tratta invece di formalizzarne l'integrazione o la modificazione, per effetto di un successivo comportamento concludente. 5.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articolo 1282, 1292, 1293 e 1322 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello non ha accolto la sua domanda di condanna della M. a pagare gli interessi sulle somme dovute e pagate con ritardo, nel periodo compreso fra il 1 gennaio 1998 e la data della notificazione dell'atto di citazione. 5.1.- Il motivo è fondato. La Corte di appello ha motivato il rigetto dell'impugnazione esclusivamente in base al rilievo che, fra il febbraio 1998 e la data della notificazione dell'atto di citazione, il preciso importo del debito della M. era oggetto di contestazioni e che, a fronte dell'incertezza sul quantum , non è emerso un ingiustificato atteggiamento strumentalmente dilatorio dei pagamenti cfr. pag. 8 della sentenza . La decisione non può essere condivisa. Al fine di stabilire se il creditore abbia o meno diritto alla corresponsione degli interessi corrispettivi - quali sono quelli di cui qui si tratta - non interessa la buona o mala fede del debitore, né il suo intento più o meno dilatorio che potrebbero venire in considerazione solo ai fini del risarcimento dei danni . Occorre invece accertare in quale data il credito sia divenuto liquido ed esigibile articolo 1282, 1 comma, cod. civ. cioè in che data si siano verificati i presupposti di diritto e di fatto che ne condizionavano il pagamento. La Corte di appello avrebbe dovuto accertare, pertanto, se il credito fosse, oltre che esigibile, liquido cioè determinato nella sua entità e quantità, o quanto meno determinabile tramite una mera operazione aritmetica. Solo in caso negativo la domanda di pagamento degli interessi avrebbe potuto essere respinta. 6.- Parimenti fondato è il quinto motivo, che deduce omessa pronuncia sul diritto al pagamento degli interessi da parte del Monte dei Paschi, relativamente all'obbligazione da essa garantita, avendo la Corte di appello omesso ogni pronuncia sul punto, senza alcuna motivazione. 7.- Il ricorso incidentale condizionato della M. non è in realtà tale, trattandosi della mera riserva da parte della resistente di riproporre le sue domande di rivalsa nei confronti della società garantita, nel caso di accoglimento delle domande proposte dall'Enpam nei suoi personali confronti, ai sensi dell'articolo 346 cod. proc. civ 8.- In accoglimento dei motivi di ricorso, la sentenza impugnata è cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, affinché proceda all'interpretazione degli accordi intercorsi fra le parti, tenendo conto di tutti i documenti rilevanti allo scopo, cioè coordinando il testo dei rogiti di compravendita con quello del contratto di mandato, in ossequio al disposto dell'articolo 1362 cod. civ., e perché illustri la soluzione che riterrà di dovere adottare con congrua e logica motivazione, che tenga conto del significato complessivo delle clausole contrattuali, nonché della comune volontà delle parti in relazione alle finalità da esse perseguite perché determini, infine, la decorrenza degli interessi sulle somme dovute con riferimento alla data in cui i corrispondenti crediti sono divenuti liquidi ed esigibili, in applicazione dei principi di legge. 9.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte di cassazione accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.