Quale bancarotta per l’amministratore che si autorimborsi i finanziamenti concessi alla società?

L’amministratore che si ripaghi di propri crediti derivanti da finanziamenti nei confronti della società risponde di bancarotta preferenziale grazie alla presenza dell’elemento caratterizzante di tale tipo di bancarotta rispetto alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, rappresentato dalla alterazione della par condicio creditorum, essendo irrilevante la specifica qualità dell’agente di amministratore di società, se del caso censurabile in sede di commisurazione della pena.

Questo il principio affermato dalla V Sezione Penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 5186 del 3 febbraio 2014. Il caso. La pronuncia, che si annota, ha ad oggetto una vicenda con contestazioni di plurime condotte di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale, fra le quali vi sono anche innumerevoli operazioni di prelievo mediante assegni di conto corrente e carta di credito, risalenti ad alcuni anni prima del fallimento, attraverso i quali l’imputato, secondo l’assunto difensivo, aveva proceduto a ripagare propri crediti derivanti da finanziamenti dal medesimo, in precedenza, concessi alla società. I giudici di merito si erano limitati a rilevare come la qualifica soggettiva di amministratore dell’imputato rendesse riconducibili tali condotte, a prescindere dalla loro risalenza nel tempo e dalla consapevolezza, all’epoca, da parte dell’imputato dello stato di insolvenza della società, alla bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. Proprio dalla qualifica soggettiva di amministratore del soggetto agente, derivava, secondo i giudici di merito, quella violazione dell’obbligo di fedeltà e di tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi, che caratterizza la bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. Una questione controversa il primo orientamento. I principi richiamati dai giudici di merito trovano peraltro riscontro in numerose ed anche recenti pronunce della Suprema Corte. Secondo infatti un primo orientamento, anche di legittimità, tali ipotesi sono caratterizzate dal fatto che uno stesso soggetto opera con la duplice veste di amministratore che paga, e dunque dispone dei beni della società, e di creditore per i finanziamenti precedentemente concessi alla società preferito in quanto riceve in pagamento dette somme. Sulla base di tale premessa, anche in tempi recentissimi Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 luglio - 6 novembre 2012, n. 42710 , in DeG del 7 novembre 2012 in effetti, la Suprema Corte ha stigmatizzato proprio l’ipotesi in cui il creditore si identifichi nello stesso soggetto che ha il ruolo di amministratore della società, responsabile del depauperamento delle risorse della società e della decozione il rimborso a se stesso di un credito, secondo tale impostazione, costituisce fatto ben diverso e più grave rispetto alle mera volontà di privilegiare un creditore in posizione paritaria rispetto ad altri. Ne consegue, pertanto, la riconducibilità di tali ipotesi alla fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione e non alla mera bancarotta preferenziale. e l’opposta interpretazione. Tuttavia, secondo altra impostazione, invocata dal ricorrente nei propri motivi di ricorso alla Suprema Corte, dette condotte devono essere inquadrate nell’ambito della meno grave ipotesi di bancarotta preferenziale preferenziale di cui all’art. 216, comma 3, l. f., in quanto, l’amministratore che rimborsa a se medesimo il finanziamento prima erogato alla società, altro non fa che favorire se stesso in danno degli altri creditori sociali. In effetti s è evidenziato che, in tale fattispecie, laddove il credito dell’amministratore sia effettivamente esistente, non si verifica alcun depauperamento del patrimonio posto a garanzia dei creditori e, dunque, nessuna offesa a tale oggettività giuridica, ma leso è solo all’interesse dei creditori a veder rispettata la par condicio . A sostegno di tale impostazione si è anche acutamente osservato che sia l’art. 216 che l’art. 223 l.f., nel prevedere la punizione dell’amministratore per bancarotta preferenziale, non distinguono il caso in cui l’amministratore paga un credito effettivo a se stesso dal caso in cui lo paga ad un terzo in violazione della par condicio. La soluzione della Corte . Consapevole della esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, in quanto il primo orientamento era stato espressamente richiamato dai giudici di merito, mentre il secondo aveva trovato altrettanto puntale richiamo nei motivi di ricorso della difesa, la Corte non esita a prendere posizione per il secondo ed in effetti più garantista ed aderente al dato normativo, orientamento evidenziando come, in effetti, dalla specifica condotta contestata all’imputato altro non possa derivare se non una alterazione della par condicio creditorum, che è proprio l’elemento caratterizzante la bancarotta per distrazione rispetto a quella fraudolenta patrimoniale. Interessante la pronuncia che si annota in quanto gli Ermellini paiono farsi carico proprio dell’argomento che in recenti pronunce aveva indotto la medesima Sezione, seppur in diversa composizione, ad accogliere l’opposta impostazione ossia la maggior intrinseca gravità del fatto nel caso in cui – come quello in esame – l’agente rivesta la duplice qualifica soggettiva di socio finanziatore e di amministratore della società. Tuttavia, chiariscono gli Ermellini tale maggior gravità può e deve tradursi solo in un diverso e maggior trattamento sanzionatorio rispetto al caso in cui il soggetto agente rivesta solo la qualifica di socio finanziatore e non anche di amministratore, che ben può trovare ingresso attraverso lo strumento dell’art. 133 c.p. senza dunque imporre una cambio della fattispecie sanzionatoria integrata. Resta da chiedersi se una questione della rilevanza di cui quella in esame non dovrebbe, in presenza di una perdurante contrapposizione interpretazione giurisprudenziale opportunamente essere rimessa al giudizio nomofilattico delle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 ottobre 2013 - 3 febbraio 2014, n. 5186 Presidente Oldi – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9-2-2012 la Corte d'Appello di Roma, confermando sul capo a e parte del capo b quella in data 16-6-2009 del Gip del tribunale della stessa città che sotto altro profilo era riformata, con assoluzione dell'imputato dalla bancarotta documentale sub b e conseguente rideterminazione della pena , riconosceva la responsabilità di G.G.A. , quale legale rappresentante e socio unico della CIE DATATEL TELECOMUNICAZIONI srl, dichiarata fallita il omissis , per i reati capo a di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale quest'ultima per tenuta delle scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari , e, quale amministratore di fatto e poi legale rappresentante nonché socio unico della Servizi Aziendali Serenissima srl, dichiarata fallita il omissis , di bancarotta fraudolenta patrimoniale capo b . 2. Sotto il profilo della bancarotta patrimoniale CIE si addebitano al G. operazioni poste in essere nel 1997, prelievi effettuati dal 2002 al 2004, affitto alla società Hypercom dell'azienda CIE, prelievi da conto corrente successivi alla dichiarazione di fallimento. 3. Le operazioni del dicembre 1997 attengono all'acquisto da parte della CIE dell'intero capitale sociale della Leasing Serenissima srl che il giorno prima aveva revocato il proprio stato di liquidazione mutando la propria denominazione in Servizi Aziendali Serenissima srl di cui G. era socio per un terzo, al prezzo di un miliardo e seicento milioni di lire mediante stipula di un muto ipotecario con Antonveneta per due miliardi di lire garantito da ipoteca sull'immobile della Serenissima, con oneri a carico della CIE l'imputato aveva acquistato dagli altri soci di Serenissima il residuo capitale sociale al prezzo di circa 400 milioni di lire nonché il 66,7 % del credito dei soci di quella società nei confronti della stessa per un miliardo e novecento milioni, rinunciando poi a parte del credito, rivendendo alla CIE la quota acquistata al prezzo di un miliardo e 67 milioni e cedendo alla CIE per un miliardo e trecento milioni di lire anche il proprio residuo credito verso la Serenissima. In tal modo la CIE aveva sborsato oltre due miliardi e trecento milioni di lire confluiti nella disponibilità del prevenuto. Tra il 2002 e il 2004 G. aveva effettuato prelevamenti superiori a 170mila Euro imputandoli a diminuzione del conto debiti verso soci. Nel dicembre 2003 aveva affittato l'azienda della CIE ad una società, Hypercom srl, all'uopo costituita dal figlio e da tre ex dipendenti della CIE, senza mai percepire il canone, cedendole il magazzino a prezzo svalutato, peraltro neppure percepito. Dopo il fallimento, infine, G. aveva effettuato prelievi dal conto corrente della fallita per oltre 28mila Euro. 4. La bancarotta documentale CIE era ravvisata, nelle sentenze di merito, nella totale inattendibilità della contabilità che, pur formalmente tenuta, occultava la vera situazione economico-patrimoniale soprattutto con riguardo all'esposizione debitoria. 5. In ordine al fallimento Serenissima, si addebita al prevenuto capo b la distrazione del patrimonio aziendale per avere, con una serie di operazioni, alienato da ultimo il fabbricato ad uso industriale sito in Selvazzano Dentro al prezzo di Euro 1.470.000 comprensivo di IVA, che, dopo essere stato versato sui conti correnti della società, veniva in gran parte distratto per essere utilizzato quanto a Euro 786mila circa, per estinguere il mutuo già concesso alla CIE, soggetto terzo a lui riferibile, mentre l'importo di Euro 370mila circa era oggetto di disposizione tramite assegni o bonifici privi di giustificazione nella documentazione contabile. 6. Ricorre l'imputato avverso tale decisione tramite il difensore deducendo preliminarmente nullità della procura speciale rilasciata al difensore per la richiesta di rito abbreviato durante le indagini preliminari, in quanto anteriore alla formulazione dell'imputazione, e quindi priva della determinazione dell'oggetto e dei fatti cui si riferiva, e difetto di congrua motivazione nella sentenza impugnata in ordine al rigetto di tale questione. 7. Nel merito il ricorrente deduce violazione di legge in relazione a varie norme e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di atti di distrazione patrimoniale. 8. Quanto all'operazione CIE - Serenissima, premessa la citazione testuale tanto dei motivi di appello - da valere quali motivi di ricorso - che della motivazione del provvedimento impugnato, secondo una tecnica comune alla formulazione di tutte le doglianze, il ricorrente rileva difetto di congrua motivazione sulle analitiche censure proposte con l'appello evidenziando, a titolo esemplificativo due profili di incongruità motivazionale, l'uno relativo alla distanza temporale di nove anni tra l'operazione e il fallimento, trascurato anche nella prospettiva dell'elemento psicologico del reato, l'altro relativo alla mancata considerazione che l'importo totale dell'operazione di oltre due miliardi e 300 milioni di lire, era comprensivo tanto del prezzo della cessione L. 1.067.200.000 -unico rilevante nel raffronto con il patrimonio netto della società partecipata - che del credito del socio cedente verso la partecipata L. 1.306.529.000 . 9. Quanto ai prelevamenti a mezzo assegni e carta di credito, il ricorrente, utilizzando la tecnica redazionale di cui sopra, osservava che, poiché detti prelievi rappresentavano rimborsi parziali al socio creditore G. , poteva al più ricorrere, astrattamente, bancarotta preferenziale in base all'indirizzo di questa corte in particolare Cass. 23730/2006 favorevole a tale qualificazione, mentre quello contrario Cass. 17616/2008, 23672/2004 era ritenuto riferito a casi particolari, diversi da quello in esame, nel quale anche l'ipotesi della bancarotta preferenziale sarebbe infondata essendo i prelievi diluiti in tre anni ed anteriori all'insorgenza dello stato di insolvenza. 10. Nell'ambito del motivo inerente ai prelievi di cui sopra il ricorrente lamentava anche il mancato esame da parte delle corte della questione proposta in appello relativa alla violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., per avere il Gip considerato anche alcune compensazioni di debiti verso fornitori e fisco e crediti verso clienti , rilevate dal curatore, ma non oggetto dell'imputazione. 11. Quanto all'affitto di azienda a Hypercom srl, si osservava che il Gip, contrariamente alla contestazione che individuava la distrazione nella mancata corresponsione del canone alla CIE, l'aveva invece ravvisata nella irrisorietà dell'ammontare del canone, rilevandosi, sotto il primo profilo che comunque da una relazione del curatore il canone risultava corrisposto nella misura di Euro 3.545, inferiore a quella pattuita di Euro 10.000 causa il subentro della Hypercom nei contratti di locazione dei due immobili, non avendo peraltro il curatore mai chiesto all'affittuaria il pagamento di canoni non corrisposti. La corte territoriale, dal canto suo, aveva motivato la distrazione con argomenti inidonei a superare le doglianze proposte con l'appello dal momento che, senza dare atto che vi fosse prova del mancato versamento dei canoni di affitto, l'aveva ancorata al fatto che la società affittuaria fosse stata costituita solo due settimane prima e la compagine sociale rappresentata dal figlio del G. e da alcuni ex dipendenti della CIE, nonché alla circostanza che le due società fossero una cosa sola avendo l'imputato svuotato la CIE a favore dell'altra mediante una serie di compensazioni non veritiere. 12. In ordine alla distrazione rappresentata dalla sottovalutazione del valore del magazzino e comunque dalla mancata corresponsione del corrispettivo pattuito, falsamente riportato in contabilità come compensato, il ricorrente, sempre ribadendo i motivi di appello, osservava come, sotto il primo profilo, tale prezzo fosse pari al 55% non del prezzo di acquisto delle merci come erroneamente indicato dal curatore , ma del prezzo praticato da CIE ai propri clienti come da contratto di affitto , sotto il secondo come il corrispettivo fosse stato compensato con debito per TFR di fatto pagato non avendo la procedura mai lamentato il mancato pagamento delle scorte né del TFR per il quale i dipendenti non si erano insinuati al passivo. Mentre la corte non aveva motivato su tali doglianze avendo motivato solo sull'affitto di azienda. 13.Quanto alla bancarotta postfallimentare, il ricorrente osservava che si trattava del pagamento di debiti sociali, inopponibile alla procedura e quindi rilevante solo sul piano civilistico, che non aveva determinato depauperamento dell'asse concorsuale in quanto ad essi aveva fatto seguito una riduzione delle passività. 14.Censure di violazione di legge e vizio di motivazione investono anche la bancarotta fraudolenta documentale della CIE sul rilievo che il curatore aveva potuto ricostruire tutti i movimenti, salvo il ricorso di prassi ad acquisizioni presso uffici finanziari, e che la mancata consegna riguardava esclusivamente i mastrini e le scritture ausiliarie di magazzino, di rilevanza assai relativa, senza che la sentenza avesse indicato quali impedimenti erano derivati dalla loro mancata consegna. Mentre il richiamo all'inattendibilità delle scritture contabili esulava completamente dal capo d'imputazione con conseguente violazione dell'art. 521 cod. proc. pen 15. In ordine alla bancarotta patrimoniale relativa alla Serenissima, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione sotto vari profili. In primo luogo quello dell'attribuzione al G. della qualifica di amministratore di fatto della Serenissima prima del 1999, quando sull'immobile della società era stata iscritta ipoteca a favore del mutuo concesso alla CIE, confondendo la qualità di socio unico, quale in effetti era l'imputato, con quella di chi gestisce in modo non episodico né occasionale la società e trascurando i vantaggi derivati alla Serenissima dal perfezionamento di un negozio giuridico complesso. In secondo luogo quello dei prelievi effettuati sul prezzo di vendita dell'immobile, dei quali il pagamento del mutuo contratto da CIE rappresentava il pagamento di un debito proprio della Serenissima derivante dalla garanzia ipotecaria prestata con insorgenza di un credito di rivalsa verso il debitore principale, mentre i prelievi a mezzo assegni o bonifici, pari alla somma, minore di quella contestata, di Euro 135mila rappresentavano, come evidenziato dal curatore fallimentare di Serenissima, il rimborso all'imputato di finanziamenti di questi alla CIE effettuato dalla Serenissima mediante accollo o delegazione di pagamento artt. 1273 e 1269 cod. civ. , il che la sentenza impugnata aveva escluso con una petizione di principio, affermando che l'operazione costituiva l'ennesima dimostrazione della gestione unica delle due società da parte dell'imputato trascurando le garanzie dei creditori delle stesse. Considerato in diritto 1. La questione di nullità della procura speciale prospettata preliminarmente nel ricorso è priva di serio fondamento. È infatti pienamente condivisibile la motivazione con cui la corte territoriale è pervenuta al rigetto della questione osservando che la procura era valida in quanto specificamente riferita al presente procedimento. 2. L'esattezza di tale conclusione, che individua l'oggetto della procura nella richiesta di rito abbreviato e il fatto cui essa si riferisce nel presente procedimento, è confermata sia dalla norma di cui all'art. 37 disp. att. cod. proc. pen. che consente il rilascio in via preventiva della procura speciale per l'eventualità in cui si verifichino i presupposti per il compimento dell'atto al quale la procura si riferisce” , sia dall'interpretazione giurisprudenziale di questa corte secondo la quale, da un lato, l'oggetto della procura si intende determinato anche quando con essa si conferiscano i poteri inerenti a tutto il corso di una procedura, sempre che siano osservate le prescrizioni per la necessaria determinazione dell'oggetto e dei fatti cui il mandato si riferisce Cass. 9818/1992, in tema di procura speciale al patteggiamento, citata nello stesso gravame , dall'altro il conferimento della procura speciale prevista dall'art. 438, comma terzo, cod. proc. pen. non prevede alcuna formula sacramentale, essendo necessario soltanto che l'imputato manifesti la chiara e univoca volontà di conferire al difensore l'incarico di richiedere il rito speciale senza che vi siano dubbi in ordine alla provenienza dal medesimo, così sottintendendo che il conferimento di essa è possibile in qualunque fase procedimentale Cass. 3290/2005, citata in sentenza, relativa a fattispecie di procura a richiedere il rito abbreviato contenuta in una lettera . 3. Del resto, ad ulteriore conferma dell'esattezza dell'interpretazione contraria a quella sostenuta nel ricorso, va richiamata anche quella che riconosce al difensore dell'imputato, munito di procura speciale per la richiesta di riti alternativi non meglio specificati, il potere di richiedere lo svolgimento del giudizio abbreviato cosiddetto condizionato Cass. 44469/2009 . Orientamento che nel suo complesso fa giustizia della restrittiva interpretazione del ricorrente intesa a limitare ingiustificatamente la validità della procura alla fase procedimentale successiva alla formulazione del capo d'imputazione. 4. Quanto alle doglianze di merito, il ricorso è infondato salvo che per il profilo più oltre esaminato. 5. La configurazione come distrattiva dell'operazione CIE - Serenissima è esente dalle censure del ricorrente se si considera che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, come pure il parallelo reato di bancarotta impropria patrimoniale, è reato di pericolo che non richiede, per la sua sussistenza, la prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori Cass. 1163/2012 , il cui dolo consiste nella consapevolezza e volontà della distrazione, non rilevando, quindi, né l'eventuale distanza temporale tra l'atto distrattivo e la pronuncia di fallimento, la cui datazione è tra l'altro influenzata dalle più varie evenienze, né l'eventuale inconsapevolezza da parte dell'agente, al momento della consumazione, dello stato d'insolvenza dell'impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato Cass. 44933/2011 . 6. Né ha maggior pregio la censura relativa alla mancata considerazione che l'importo totale dell'operazione, di oltre due miliardi e 300 milioni di lire, era comprensivo tanto del prezzo della cessione - unico rilevante nel raffronto con il patrimonio netto della società partecipata - quanto del credito del socio cedente verso la partecipata lire 1.306.529.000 , se solo si tiene conto che, come evidenziato dai giudici di merito, G. , dopo aver corrisposto per l'acquisto delle quote di Serenissima di proprietà dei familiari la somma di L. 400.200.000, aveva ricavato dalla cessione delle stesse alla CIE, effettuata lo stesso giorno, quella, ingiustificatamente ben superiore, di L. 1.067.200.000, così tra l'altro determinando anche, come rilevato dal curatore, un aggravio della situazione economico-patrimoniale delle due società, in particolare, quanto alla CIE, anche per gli interessi passivi, dal 1998 al 2002, del mutuo contratto al fine di sostenere il costo dell'operazione. 7. Le doglianze relative al carattere distrattivo dell'affitto di azienda sono del pari infondate sia per quanto attiene al pagamento del canone da parte di Hypercom sia per quanto riguarda la sottovalutazione del magazzino ceduto alla predetta società dalla CIE. Benché la sentenza di secondo grado abbia dato particolare rilievo al dato dell'irrisorietà del canone di affitto concordato tra le due società - peraltro assai sospetto vista la creazione ad hoc della Hypercom solo due settimane prima della stipula del contratto, con sede presso i locali CIE, e la composizione della sua compagine sociale, della quale facevano parte il figlio dell'imputato, all'epoca studente, e alcuni ex dipendenti della stessa CIE-, tuttavia la corte milanese, nel fare richiamo alla decisione di primo grado, la cui motivazione integra quella di appello in caso di conformità delle due pronunce, non ha mancato di ricordare anche che i canoni di affitto, secondo quanto contestato nell'editto accusatorio, non risultavano neppure corrisposti alla stregua di tre elementi logici di indubbia rilevanza evidenziati dal giudice di primo grado, e cioè la denuncia di due ex dipendenti CIE circa il passaggio dei beni di CIE a Hypercom la sorte dei due contratti di locazione degli immobili, uno risolto consensualmente, l'altro oggetto di sfratto per morosità il che sottintendeva che, se Hypercom non aveva corrisposto il canore di locazione ai terzi proprietari, a maggior ragione non aveva pagato quello di affitto alla CIE, totalmente in mano al G. , padre di uno dei soci Hypercom la compensazione di parte del canone di affitto, depurata dal canone di locazione, con l'inesistente credito Hypercom per accollo del TFR, essendo tale accollo contrattualmente previsto. 8. Conclusioni nient'affatto scalfite dall'osservazione inutilmente reiterata, perché già esaminata e rigettata con congrua motivazione dalla corte territoriale, che da una relazione del curatore il canone risulterebbe regolarmente corrisposto nella misura di Euro 3.545, pari a quella pattuita di Euro 10.000 depurata dai canoni di locazione degli immobili. pagati da Hypercom, subentrata nei relativi contratti, direttamente ai proprietari. Punto sul quale la corte milanese ha osservato che la relazione del curatore si riferiva invece al canone di affitto pagato da Hypercom alla procedura fallimentare, non a quello precedentemente di spettanza di CIE. Mentre assertivo, e comunque irrilevante, è il rilievo del ricorrente circa il fatto che il curatore non avrebbe chiesto all'affittuaria il pagamento di pregressi canoni non corrisposti. 9. Quanto alla sottovalutazione del magazzino ceduto a Hypercom e al mancato pagamento del relativo prezzo pattuito, le censure proposte dal ricorrente sono infondate in primo luogo sotto il profilo della non congruità del prezzo, ritenuta nella sentenza di primo grado, cui quella di secondo si è richiamata, sulla base di numerosi elementi identità sostanziale tra CIE e Hypercom stima del magazzino effettuata in sede fallimentare diversi da quello della valutazione in misura pari al 55% del prezzo di acquisto delle merci a fronte dell'imputazione in tal senso, i giudici di merito hanno correttamente dato atto che invece si trattava, come evidenziato dal ricorrente, del 55% del prezzo praticato da CIE ai propri clienti, come previsto nel contratto . Mentre, quanto al mancato pagamento delle scorte - fatto figurare in contabilità come compensato con il TFR -, la tesi che la compensazione fosse reale non avendo la procedura mai lamentato il mancato pagamento né delle scorte né del TFR, per il quale i dipendenti non si erano insinuati al passivo, è priva di fondamento basandosi su elementi assertivi ed irrilevanti. 10. Del pari assertivo l'argomento in fatto su cui fa leva la censura che investe la bancarotta postfallimentare CIE, e cioè che i prelievi dal conto corrente della società successivi al fallimento sarebbero stati utilizzati per il pagamento di debiti sociali con conseguente riduzione delle passività sociali senza depauperamento dell'asse concorsuale. 11. Invano il ricorrente censura poi la sentenza di violazione di legge e vizio di motivazione anche in punto di bancarotta fraudolenta documentale in ordine al fallimento CIE effettuando un'operazione di atomizzazione e di critica frammentata dei numerosi e convergenti elementi, in sinergia tra loro, evidenziati dai giudici di merito a sostegno dell'affermazione di responsabilità. 12.Tali elementi sono rappresentati dalla consegna/acquisizione in più riprese delle scritture contabili, a fronte di comportamento dilatorio del G. e della loro dispersione in più luoghi dalla mancanza dei mastrini e delle scritture ausiliarie dalla necessità per il curatore di ricorrere a fonti esterne per la ricostruzione del movimento degli affari dall'inattendibilità della contabilità tramite registrazioni di vendite per rilevanti importi verso soggetti esteri, create ad arte al solo scopo di compensare quelle attività con consistenti passività in modo da azzerare contabilmente queste ultime ed evitare che figurassero in bilancio finalizzata all'occultamento della vera situazione economico-patrimoniale soprattutto con riguardo all'esposizione debitoria. Non solo dunque le conclusioni dei giudici di merito sono esenti dal vizio di motivazione, ma neppure ha ragion d'essere la censura di violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. per l'ovvio rilievo che anche l'inattendibilità delle scritture preclude la ricostruzione del movimento degli affari e non esula quindi dal capo d'imputazione. 13.11 ricorso è invece fondato per quanto attiene alla contestazione dei prelevamenti a mezzo assegni e carta di credito negli anni 2002-2004 punto 6 del capo a . Le sentenze di primo e secondo grado si sono limitate sul punto a rifarsi, pur dando atto anche di un orientamento contrario, alla giurisprudenza di questa corte che ritiene integrata la bancarotta fraudolenta patrimoniale anche laddove l'amministratore si ripaghi di propri crediti da finanziamento alla società, non potendo scindersi la qualità di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall'obbligo della fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi Cass. 23672/2004, 17616/2008 . 14. Allo stato risulta peraltro prevalente l'orientamento, che il collegio ritiene maggiormente condivisibile, secondo cui l'amministratore che si ripaghi di propri crediti verso la società fallita risponde di bancarotta preferenziale grazie alla presenza dell'elemento caratterizzante di tale tipo di bancarotta rispetto alla fraudolenta patrimoniale, rappresentato dalla alterazione della par condicio creditorum , essendo irrilevante, al fine della qualificazione giuridica del fatto - dal momento che la norma incriminatrice prescinde dalla relazione dell'autore con l'organismo societario-, la specifica qualità dell'agente di amministratore della società, se del caso censurabile in sede di commisurazione della sanzione a fronte di una possibile maggior gravità, per tale ragione, del reato Cass. 23730/2006, 39043/2007, 14908/2008, 1793/2011, 13318/2013 . 15. Poiché la bancarotta preferenziale esige, da un lato, che le restituzioni riguardino crediti per finanziamenti concessi dai soci alla società liquidi ed esigibili, dall'altro che esse siano effettuate in periodo di insolvenza, e comunque che i pagamenti abbiano lo scopo di favorire taluno dei creditori a danno degli altri, aspetti non approfonditi dai giudici di merito che non hanno accertato se la causale dei prelievi operati dal G. a mezzo assegni e uso di carta di credito fosse rappresentata dal rimborso di crediti aventi la caratteristiche di cui sopra, effettuato in periodo di insolvenza e animato dall'elemento psicologico precisato, la sentenza merita annullamento con rinvio ad altra sezione del giudice a quo per nuovo esame sul punto. Spese di parte civile al rescissorio. 16. Manifestamente priva di fondamento è invece la censura, prospettata nell'ambito del motivo inerente ai prelievi di cui sopra, di mancato esame da parte delle corte territoriale della questione proposta in appello relativa alla violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., per avere il Gip considerato anche alcune compensazioni di debiti verso fornitori e fisco e crediti verso clienti , rilevate dal curatore, ma non oggetto dell'imputazione. Per quanto in effetti il Gip abbia evidenziato tali compensazioni, ciò è stato fatto ad abundantiam , senza effetti sulla decisione. 17.In ordine alla bancarotta impropria patrimoniale relativa al fallimento Serenissima, il ricorso è infondato per due ordini di considerazioni. 18. In primo luogo il tentativo di giustificare il pagamento del mutuo contratto dalla CIE con parte dei proventi della vendita dell'immobile della Serenissima invocando la qualifica di terzo datore d'ipoteca della Serenissima -per questo tenuta a garantire l'adempimento del mutuo e titolare, una volta effettuato il pagamento, di credito di rivalsa verso il debitore principale CIE-, trascura in toto di considerare il complesso dell'operazione che aveva avuto inizio con la prestazione dell'ipoteca da parte di Serenissima in favore del terzo CIE senza alcuna contropartita e che era culminata per l'appunto nel pagamento del debito del terzo grazie proprio alla gratuita prestazione di tale garanzia, con la conseguenza che il mutuo contratto dalla CIE aveva finito per gravare sulla Serenissima che non ne aveva tratto alcun beneficio. 19. Né vale ricordare che all'epoca dell'operazione CIE - Serenissima G. non era amministratore della seconda società ma solo unico socio. Nella specie infatti è addirittura pleonastica, ai fini dell'accertamento della sua qualifica di amministratore di fatto, la verifica di singoli e specifici elementi sintomatici di gestione o cogestione della società risultanti dall'organico inserimento, con funzioni gerarchiche e direttive, nei momenti rilevanti dell'organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi della società , avendo i giudici di merito fornito ampia e ragionata motivazione in fatto, anche sulla base delle modalità dell'operazione in esame, come di altre, del ruolo dell'imputato di dominus di entrambe le società, da lui gestite ed usate come cosa propria in spregio degli interessi dei creditori. 20. In secondo luogo il richiamo del ricorrente agli istituti della delegazione e dell'accollo per giustificare il pagamento con parte del prezzo di vendita dell'immobile della Serenissima di crediti del G. verso la CIE, per quanto teoricamente plausibile, risulta in concreto meramente assertivo in mancanza di qualunque prova non solo che i consistenti prelievi a mezzo assegni o bonifici effettuati dal prevenuto dai conti Serenissima avessero quale causale il rimborso di suoi crediti verso la CIE, ma anche che la CIE avesse delegato la Serenissima ad eseguirne il pagamento o che la CIE e la Serenissima avessero convenuto che quest'ultima assumesse il debito della prima verso l'imputato. 21. Segue il parziale annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con rigetto nel resto del ricorso. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente ai prelievi a mezzo assegni e pagamenti a mezzo carta di credito eseguiti tra il 2002 e il 2004 di cui al capo a dell'imputazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso.