E’ la Corte d’Appello stessa a riconoscere che non vi sia stata alcuna distrazione in base a ciò avrebbe dovuto assolvere l’imputata, non condannarla. La statuizione è assolutamente incongruente con l’apparato motivazionale.
Con la sentenza numero 8763, depositata il 22 febbraio 2013, la Corte di Cassazione ha così annullato una sentenza della Corte d’Appello di Firenze. Due sorelle titolari di una s.numero c. condannate per bancarotta. Due sorelle vengono condannate dal Tribunale per bancarotta fraudolenta di una società in nome collettivo, di cui erano titolari e che era stata dichiarata fallita nell’aprile 2007. La Corte d’Appello, con una sentenza del 6 maggio 2010 e depositata il 4 maggio 2011, nonostante il limite di 90 giorni per il deposito, ha assolto una delle due in riferimento alla somma di 270mila euro, mentre ha confermato per l’altra la responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione con riferimento alla somma di 486mila euro. La condannata ricorre per cassazione, sostenendo la contraddittorietà e la manifesta illogicità della sentenza, poiché non sarebbe emersa nessuna delle distrazioni a lei contestate. La Corte d’Appello ha riconosciuto la mancanza di distrazioni. La Corte di Cassazione rileva che è palese la contraddittorietà della trama argomentativa della sentenza impugnata. Questa, infatti, riconosce «la linea dell’astrattezza delle risultanze contabili» che è irreale presupporre che le distrazioni siano state diligentemente contabilizzate che le titolari della società non hanno mai contabilizzato i loro compensi, se lo avessero fatto non sarebbero risultati prelevamenti di soci né avanzi di cassa e non avrebbero potuto percepire «in nero» le loro spettanze. Quindi la corte territoriale ritiene inesistente la distrazione, «perché, appunto, se fossero stati contabilizzati i prelievi effettuati dalle sorelle a titolo di loro lavoro – cosa cui, sembrerebbe di capire, avevano diritto, anche se le hanno operate in nero – essi avrebbero assorbito, o quantomeno ridimensionato, la somma figurante come distratta». Motivazione illogica. Per questi motivi la Corte di Cassazione rileva che la statuizione sia «assolutamente incongruente con l’apparato motivazionale». Quindi annulla la sentenza e rinvia alla Corte d’Appello per un nuovo esame della vicenda.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 ottobre 2012 – 22 febbraio 2013, numero 8763 Presidente Zecca – Relatore Fumo Ritenuto in fatto 1. La corte d'appello di Firenze, con la sentenza di cui in epigrafe, emessa il 6 maggio 2010 e depositata il 4 maggio 2011 poco meno di un anno dopo, quindi , nonostante fossero stati disposti giorni 90 per il deposito, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha assolto F.M. dal reato di bancarotta fraudolenta per distrazione con riferimento alla somma di Euro 271.176,49 e ha confermato l'affermazione di responsabilità nei confronti di F.S. per il medesimo reato con riferimento la somma di Euro 486.911,00, riconoscendole le attenuanti generiche, riducendo la pena e disponendo la sospensione condizionale e la non menzione. Il delitto di bancarotta è contestato con riferimento al fallimento della snc SHARON, dichiarato dal tribunale di Pistola in data 5 aprile 2007. 2. Ricorre per cassazione il difensore di F.S. e deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché violazione di legge, atteso che la corte d'appello dopo aver affermato che l'imputazione e la sentenza di primo grado sono connotate da astrattezza e irrealtà, dall'assenza di analitiche verifiche, neppure abbozzate, contraddittoriamente – poi - conclude per la conferma dell'affermazione di responsabilità, con ciò violando del tutto l'articolo 216 della legge fallimentare, in quanto, proprio per le ragioni evidenziate, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto assolvere F.S. , non emergendo, a suo stesso giudizio, le distrazioni a lei contestate. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento conseguentemente la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d'appello di Firenze. 1.1. La profonda contraddittorietà della trama argomentativa emerge ictu oculi a una prima lettura della sentenza stessa. Il giudice di appello sostanzialmente afferma a che l'imputazione e la sentenza di primo grado, come sostenuto dal ricorrente, seguono la linea dell'astrattezza delle risultanze contabili , b che è irreale presupporre che le distrazioni siano state diligentemente contabilizzate, c che le titolari della società non hanno mai contabilizzate i loro compensi e che, se li avessero contabilizzati, non sarebbero risultati prelevamenti di soci né avanzi di cassa, d che tuttavia se ciò avessero fatto non avrebbero potuto percepire in nero le loro spettanze. 1.2. È allora evidente che è la stessa corte d'appello che ritiene che in realtà distrazione non vi sia stata o che almeno non vi sia stata nella misura indicata nel capo d'imputazione , perché, appunto, se fossero stati contabilizzati i prelievi effettuati dalle sorelle F. a titolo di retribuzione del loro lavoro cosa cui, sembrerebbe di capire, avevano diritto, anche se le hanno operate in nero , essi avrebbe assorbito, o quantomeno notevolmente ridimensionato, la somma figurante come distratta. 2. Sulla base di tali affermazioni, avrebbe dovuto conseguire la assoluzione in toto o in parte della ricorrente e non la sua condanna, e dunque ci si trova in presenza di statuizione assolutamente incongruente con l'apparato motivazionale. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d'appello di Firenze.