Botta e risposta tra la Mussolini e Gino Paoli: diritto di cronaca o libertà di manifestazione del pensiero?

Esclusa la colpevolezza della parlamentare in relazione al reato di diffamazione ai danni del cantante la qualifica di membro della Camera dei Deputati e di Presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia nonché l’inerenza delle domande che le erano state poste dalla giornalista all’oggetto della seduta della Commissione, riunita nei giorni precedenti, rendono applicabile la causa di non punibilità prevista dall’art. 68 Cost.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3880 del 28 gennaio 2014. Un’intervista ed è battaglia legale. Alessandra Mussolini veniva indagata per diffamazione ai danni di Gino Paoli, in quanto, nel corso di un’intervista resa per un quotidiano aveva definito una sua canzone come un’istigazione alla pedofilia . Congiuntamente alla Mussolini, venivano indagate sia la giornalista autrice dell’intervista, sia la direttrice responsabile del quotidiano. Il gup del Tribunale di Roma, pur ritenendo evidente l'offensività, per la reputazione del Paoli, delle frasi dette dalla Mussolini e pur ritenendo che la condotta non potesse essere scriminata dalla esimente del diritto di critica, riteneva comunque non punibile l'autrice ai sensi dell'art. 68, co. 1, Cost. Quanto alla giornalista, visto l'interesse pubblico all'informazione e la pertinenza dell'intervista, nonché la veridicità di quanto riportato e la continenza espositiva, il gup riteneva la ricorrenza della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., escludendo che vi fosse stata una sostanziale alterazione, nella redazione dell'articolo, del contenuto dell'intervista. Infine, con riferimento alla direttrice del quotidiano, non poteva sussistere alcun reato per omissione di controllo, a fronte del mancato riscontro di profili lesivi nella condotta del giornalista. Il cantante ricorre in Cassazione. Art. 68 Cost. essenza della norma. Con il primo motivo di ricorso, Paoli lamenta che la garanzia costituzionale riconosciuta ai deputati operi solo per quelle manifestazioni di pensiero e per quegli atti che siano strettamente funzionali all’attività parlamentare, pur potendo esplicarsi anche fuori dal Parlamento. Il semplice contesto politico o l’inerenza a temi di rilievo generale, non sono sufficienti a connotare le dichiarazioni rese extra moenia quale espressione della tipica funzione parlamentare. Ora, premesso che il ricorrente censura valutazioni che sono riservate al giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione, la qualifica rivestita dall’imputata, pur essendo le sue frasi offensive, esige una valutazione sull’applicabilità o meno della causa di non punibilità prevista dall’art. 68 Cost. In altre parole, si tratta di capire se, nel caso di specie, vi sia un collegamento tra le opinioni espresse dalla parlamentare nella sede propria e quelle contenute nell’intervista. Il gup ha ritenuto la sussistenza di tale collegamento sia per la qualifica della Mussolini di membro della Camera dei deputati e di Presidente della Commissione parlamentare per l'infanzia, sia perché le domande poste dalla giornalista concernevano l'oggetto della seduta della commissione, che la Presidente aveva riunito nei giorni precedenti, convocando a Roma lo stesso Paoli, al fine di discutere della canzone, ritenuta lesiva dei diritti di quei soggetti che l'organo parlamentare si proponeva di tutelare. Trattavasi, dunque, secondo il giudice, di dichiarazioni funzionalmente connesse all'attività svolta quale organo istituzionale del Parlamento. Non vi è, dunque alcuna violazione di legge. Niente da dire sull’operato della giornalista. Con il secondo motivo di ricorso, Paoli contesta la sostanziale conformità delle dichiarazioni riportate sul giornale con quanto effettivamente dichiarato in sede di intervista dalla Mussolini per tale motivo ritiene che non si possa applicare la giurisprudenza di legittimità relativa alla scriminante del diritto di cronaca, che richiederebbe la riproduzione fedele dell'intervista ed una posizione di totale distacco da parte del giornalista. Il gup, al contrario, ha escluso che la condotta della giornalista abbia costituito una cassa di risonanza per l'offesa alla reputazione professionale e morale del Paoli, operando, al contrario, un contenimento della eco diffamatoria delle espressioni altrui. Il ricorso, quindi, deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 novembre 2013 – 28 gennaio 2014, n. 3880 Presidente Bevere – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. M.A. è stata indagata per il reato di cui all'articolo 595 del codice penale per avere diffamato P.G. mediante dichiarazioni rese alla giornalista de T.S. , in relazione alla canzone del predetto cantante intitolata Il Pettirosso alla M. viene contestato di avere offeso la reputazione del P. affermando nessuna censura. Ma è un'istigazione alla pedofilia. Quello è un testo pedofilo, sembra scritto da uno che conosce bene l'argomento . 2. Congiuntamente alla M. , sono state indagate la giornalista T. , che ha riportato il contenuto dell'intervista, nonché D.G.C. , quale direttrice responsabile del quotidiano che ha pubblicato l'articolo. 3. Il giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Roma, pur ritenendo evidente l'offensività, per la reputazione del P. , delle frasi dette dalla M. e pur ritenendo che la condotta non potesse essere scriminata dalla esimente del diritto di critica, ha comunque ritenuto non punibile l'autrice ai sensi dell'articolo 68, primo comma, Cost 4. Quanto alla T. , ritenuto l'interesse pubblico all'informazione e la pertinenza dell'intervista, nonché la veridicità di quanto riportato e la continenza espositiva, il gup ha ritenuto la ricorrenza della causa di giustificazione di cui all'articolo 51 cod. pen., escludendo che vi fosse stata una sostanziale alterazione, nella redazione dell'articolo, del contenuto dell'intervista. 5. Infine, con riferimento alla direttrice del quotidiano, il giudice dell'udienza preliminare ha ritenuto che non può sussistere alcun reato per omissione di controllo, a fronte del mancato riscontro di profili lesivi nella condotta del giornalista. 6. P.G. propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi a. con riferimento all'indagata M. , violazione ed erronea applicazione dell'articolo 595 del codice penale e manifesta illogicità della motivazione. b. Con riferimento alle posizioni di T. e D.G. , violazione ed erronea applicazione degli articoli 595 e 57 del codice penale, nonché 13 della legge 47-1948 manifesta illogicità e carenza della motivazione. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo di ricorso, il P. - sul presupposto che la garanzia costituzionale riconosciuta ai deputati operi solo per quelle manifestazioni di pensiero e per quegli atti che siano strettamente funzionali all'attività parlamentare, pur potendo esplicarsi anche al di fuori del Parlamento - lamenta, nel caso di specie, la mancanza di un collegamento necessario e la mera presenza di una comunanza di argomento tra la dichiarazione lesiva e le opinioni espresse in sede parlamentare. Il semplice contesto politico o la inerenza a temi di rilievo generale dibattuti in Parlamento, secondo la difesa di parte civile, non sarebbe sufficiente a connotare le dichiarazioni rese extra moenia quale espressione della tipica funzione parlamentare. 2. Prima di affrontare l'esame del presente motivo, occorre ricordare brevemente quali sono i limiti del controllo di legittimità il giudizio di cassazione, infatti, non è un terzo grado di merito, ma introduce un limitato controllo sulla correttezza del procedimento e più in generale sulla corretta applicazione delle norme di legge, nonché sulla presenza di un apparato motivazionale che sia immune da censure di manifesta illogicità o contraddittorietà. Ogni diversa questione, riferibile al merito e dunque alle concrete valutazioni svolte dal giudicante sia nell'interpretazione del materiale probatorio che nella sua valutazione , è preclusa in questa sede. 3. Questa semplicistica schematizzazione è importante perché nell'odierno ricorso la difesa della parte civile, pur rubricando il motivo come violazione di legge, censura invero valutazioni che sono riservate al giudice di merito e che hanno trovato in sentenza ampia ed esauriente motivazione, priva di vizi logici evidenti. Il primo motivo di ricorso, pur denunciando formalmente violazione di legge, costituisce censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici. 4. Le frasi, davvero odiose ed inequivocabilmente offensive, pronunciate dalla M. integrano senza dubbio l'oggettività del reato contestato, ma la particolare qualifica dell'imputata esigeva una valutazione sull'applicabilità o meno, al caso in questione, della causa di non punibilità prevista dall'articolo 68 della costituzione. Or bene, il giudice di merito ha ben compreso la questione, ha esaminato la giurisprudenza di legittimità e costituzionale sul punto e ne ha fatto corretta applicazione si deve rilevare che la questione non attiene tanto ai limiti di operatività della norma costituzionale, su cui vi è sostanziale concordia tra le parti del processo, quanto piuttosto alla valutazione in concreto se nel caso di specie vi fosse un collegamento tra le opinioni espresse dal parlamentare nella sede propria e quelle contenute nell'intervista rilasciata alla giornalista. Ebbene, questo secondo aspetto costituisce accertamento in fatto e valutazione di merito che la corte non può rimettere in discussione, avendone dato il giudice di primo grado adeguata motivazione. Il Gup ha ritenuto la sussistenza di tale collegamento sia per la qualifica della M. di membro della Camera dei deputati e di presidente della Commissione parlamentare per l'infanzia, sia perché le domande poste dalla giornalista concernevano l'oggetto della seduta della commissione, che la presidente aveva riunito nei giorni precedenti, convocando a Roma lo stesso P. , al fine di discutere della canzone, ritenuta lesiva dei diritti di quei soggetti che l'organo parlamentare si proponeva di tutelare. Trattavasi, dunque, secondo il giudice, di dichiarazioni funzionalmente connesse all'attività svolta quale organo istituzionale del Parlamento. Non vi è, dunque alcuna violazione di legge ciò che la difesa censura, in realtà, è l'aver ritenuto che tale collegamento con l'attività parlamentare , nel caso di specie, sussista. Ma ciò, come si è detto, costituisce accertamento in fatto e valutazione di merito che è sottratta al controllo di legittimità, avendo il giudice esplicitato con argomentazione idonea ed esente da vizi logici le ragioni di tale conclusione in particolare, la copertura della condotta posta in essere dalla M. sarebbe fornita dall'antecedente atto di convocazione della Commissione parlamentare, nonché da tutti gli altri atti svolti durante la seduta della stessa, concernenti il testo della canzone di P.G. . 5. Con il secondo motivo di ricorso il P. contesta la sostanziale conformità delle dichiarazioni riportate sul giornale con quanto effettivamente dichiarato in sede di intervista dalla M. per tale motivo ritiene che non si possa applicare la giurisprudenza di legittimità relativa alla scriminante del diritto di cronaca, che richiederebbe la riproduzione fedele dell'intervista ed una posizione di totale distacco da parte del giornalista. Anche in questo caso, attraverso il ricorso si vuole sindacare una valutazione di merito, in ordine alla sostanziale conformità tra le dichiarazioni rese dalla M. ed il contenuto dell'articolo di giornale, che ha trovato adeguata e congrua motivazione alla pagina cinque della sentenza. Il gup ha spiegato che il sottotitolo dell'articolo contiene due frasi che la M. ha espresso in momenti diversi dell'intervista e ne costituisce pertanto una sintesi ed ha in ogni caso escluso che la condotta della giornalista abbia costituito una cassa di risonanza per l'offesa alla reputazione professionale e morale del P. , operando, al contrario, un contenimento della eco diffamatoria delle espressioni altrui. 6. Con riferimento alla posizione della D.G. , il P. lamenta genericamente l'esistenza di un vizio di motivazione in quanto il giudice si era limitato a ritenere che il direttore responsabile del quotidiano segue le stesse sorti dell'autrice dell'articolo. Questo motivo di ricorso è chiaramente inammissibile, non solo per la sua genericità - non essendo indicato in modo analitico né il tipo di vizio riscontrabile nella sentenza mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione? , né i motivi per cui nel caso in esame la direttrice avrebbe dovuto essere condannata, nonostante la ritenuta legittimità dell'operato della giornalista - ma anche per la sua manifesta infondatezza. 7. Ne consegue che il ricorso del P. deve essere rigettato. 8. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.