L’assoluzione in sede penale per prescrizione non rende illegittimo il licenziamento

La sentenza penale di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione non ha efficacia extrapenale. Pertanto ove il giudice civile abbia accertato la sussistenza degli addebiti contestati al lavoratore e valutato la loro gravità, tale da ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario, il licenziamento sarà da considerarsi legittimo, indipendentemente dalla sentenza penale assolutoria per intervenuta prescrizione del reato.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 18269, pubblicata il 30 luglio 2013. Il caso domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogato a seguito di episodi di appropriazione indebita accertati in sede penale, con assoluzione dell’imputato per intervenuta prescrizione del reato. Un dipendente di un noto Casinò veniva dapprima sospeso dal servizio a seguito di provvedimento di custodia cautelare e successivamente licenziato dopo la sentenza penale di condanna pronunciata dalla Corte d’Appello e confermata dalla Cassazione. Il dispositivo di quest’ultima sentenza per errore non riportava il nominativo dell’imputato e per tale ragione la Corte di Cassazione penale con nuova pronuncia rilevava l’omissione, non emendabile con la procedura di correzione e annullava senza rinvio la sentenza di condanna in sede penale, per l’intervenuta prescrizione del reato. Il lavoratore adiva così il Tribunale del lavoro al fine di veder accertata l’illegittimità del licenziamento irrogatogli in conseguenza di fatti per i quali risultava assolto. Il Tribunale del lavoro rigettava il ricorso. Proponeva appello il lavoratore ma la Corte d’Appello rigettava il gravame. Ricorreva allora in Cassazione per la riforma di quest’ultima pronuncia. L’efficacia del giudicato penale in sede civile. Un primo motivo di censura riguarda la motivazione della sentenza d’appello civile nella parte in cui non ha considerato che il lavoratore fosse stato assolto in sede penale. Osserva la Suprema Corte che secondo un principio enunciato in precedenza dalle sezioni Unite 26/1/2011, n. 1768 , soltanto la sentenza irrevocabile di assoluzione per insussistenza del fatto o per non averlo commesso fa stato di giudicato nel giudizio civile. Non così per la sentenza assolutoria per intervenuta prescrizione o per amnistia, che non ha alcuna efficacia extrapenale. La valutazione e la rilevanza dei fatti emersi in sede penale. In realtà la Corte d’Appello, giudice del lavoro, a fondamento della propria decisione, non ha semplicemente considerato i fatti accertati in sede penale, richiamando la sentenza resa in tale giudizio, ma ha valutato e considerato tali fatti, rilevando che gli stessi non erano stati contestati in sede di primo grado del giudizio civile, né erano stati negati dal lavoratore. Il Giudice del lavoro di primo grado e in seguito la Corte d’Appello avevano evidenziato come la sanzione espulsiva si fondasse, oltre che sul fatto che gli addebiti mossi al lavoratore avessero trovato conferma in ambito di giudizio penale, anche sulla oggettiva gravità dei comportamenti tenuti, mai contestati in giudizio dal lavoratore, il quale si era limitato ad eccepire che al momento dell’irrogazione del licenziamento non vi era alcuna sentenza penale di condanna passata in giudicato. L’errore della Cassazione non azzera la responsabilità. Osserva la Suprema Corte che pur non sussistendo un giudicato penale di condanna nei confronti del lavoratore, il quale si era giovato di un’omissione nella quale era incorsa la Corte di Cassazione penale, non vi era stata una smentita giudiziale in ambito civile dell’accertamento delle sue responsabilità e delle condotte addebitategli. Dunque pienamente provate le condotte lesive del vincolo fiduciario, del tutto legittimo il licenziamento irrogato con conseguente rigetto del ricorso proposto.

Corte di Cassazione, sez. L avoro, sentenza 7 maggio - 30 luglio 2013, n. 18269 Presidente Stile – Relatore Fernandes Fatto G.A. , dipendente del Casinò di Sanremo con mansioni di impiegato e qualifica di cambista croupier dal 1972, in data 13.5.1993 veniva sospeso dal servizio a seguito di provvedimento di custodia cautelare del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Sanremo che ne aveva disposto l'arresto per presunti fatti di appropriazione indebita ed in data 6.1.2001 veniva licenziato per giusta causa dall'Amministrazione del Casinò con missiva in cui si richiamava la decisione della Corte di appello di Genova, confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza dell'8.11.2000, di condanna per i reati di cui alla predetta ordinanza di custodia cautelare. Il G. impugnava detto licenziamento innanzi al Tribunale di Sanremo, in funzione di giudice del lavoro, deducendo che al momento dell'invio della lettera con la quale si comunicava il recesso non vi era alcuna sentenza di condanna passata in giudicato nei suoi confronti come dimostrato dal fatto che la Corte di Cassazione con decisione del 12.7.2001 - rilevato che la sentenza dell'8.11.2000 per errore aveva omesso di statuire sul ricorso del G. e che detto errore non poteva essere emendato con la procedura di correzione - aveva annullato senza rinvio la decisione della Corte di appello di Genova nella parte concernente esso ricorrente dichiarando prescritto il reato a lui ascritto. L'adito giudice rigettava la domanda. La Corte di appello di Genova, con sentenza del 4 marzo 2009, confermava tale decisione avendo ritenuto che a fondamento del licenziamento era stato posto non solo l'avvenuto accertamento con sentenza di condanna in sede penale dei fatti ma anche singolarmente i fatti stessi che il G. , in primo grado, non aveva contestato alcunché in merito alla effettività dei fatti a lui contestati essendosi limitato ad impugnare il licenziamento e perché al momento della irrogazione dello stesso non vi era alcuna sentenza passata in giudicato e per violazione dell'art. 29 del CCNL di settore ragion per cui la contestazione sulla ricorrenza delle condotte contestate, fatta solo in appello, era tardiva che, comunque, la ricostruzione dei fatti così come operata prima dal Tribunale penale di Sanremo nella sentenza di condanna per il reato di furto pluriaggravato e continuato in concorso con altre persone, e, poi, dalla Corte di appello di Genova non era stata smentita dalla Corte di Cassazione che, nella sentenza dell'8.11.2000, in motivazione, aveva argomentato circa la infondatezza dei motivi di ricorso proposti dal G. evidenziando la correttezza della decisione gravata e, solo in dispositivo, per mera omissione, non aveva inserito il nome del G. che nel caso in esame la condotta ascritta al dipendente - ben più grave delle ipotesi indicate a titolo esemplificativo dall'art. 29 del CCNL e per le quali era prevista la sanzione espulsiva - aveva leso in modo irreversibile l'elemento fiduciario fondamentale nel rapporto di lavoro subordinato soprattutto in considerazione delle mansioni svolte dall'appellante. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il G. affidato a due motivi. La Gestione stralcio Comunale del Casinò Municipale di Sanremo resiste con controricorso illustrato da memoria. Diritto Con il primo motivo di ricorso viene dedotta omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine alla utilizzazione della motivazione della sentenza della Cassazione resa in data 8.11.2000 priva della menzione di G.A. nel dispositivo. Si evidenzia che - come statuito nella ordinanza della Suprema Corte in data 29.3.2001 - la omissione nel dispositivo del nominativo del G. equivaleva a non trattazione del ricorso, con la conseguenza che quanto affermato nella sentenza dell'8.11.2000 in merito alla posizione del ricorrente era da considerarsi inesistente e, dunque, non poteva essere in alcun modo utilizzato, diversamente da quanto arbitrariamente aveva fatto la Corte di appello nella impugnata sentenza. Si aggiunge che la motivazione addotta dal giudice del gravame era contraddittoria anche laddove, dopo aver affermato che l'accertamento dei fatti addebitati al G. non era stato smentito nella sentenza della Corte di Cassazione dell'8.11.2000, aveva ulteriormente argomentato che a fondamento della sanzione non era stato posto solo l'avvenuto accertamento in sede penale dei fatti, ma anche singolarmente i fatti stessi. Viene formulato quesito di diritto. Il motivo è infondato. Va rilevato che la sentenza impugnata, dopo aver riportato testualmente parte del contenuto della missiva di licenziamento del 4.1.2001, evidenzia come la sanzione espulsiva non era fondata solo sul fatto che gli addebiti mossi al G. avevano trovato conferma nella sentenza di condanna della Corte di appello di Genova del 6.5.2000 ma anche sulla oggettiva gravità dei comportamenti tenuti. Il giudice del gravame sottolinea, altresì, che il G. non aveva contestato, in primo grado, l'effettività delle condotte ascrittegli limitandosi a dedurre la illegittimità del licenziamento e perché al momento della sua irrogazione non vi era alcuna sentenza passata in giudicato e per violazione dell'art. 29 CCNL. Dopo aver esposto tale ratio decidendi la Corte territoriale ha, quindi, rilevato come la Corte di Cassazione, nella decisione dell'8.11.2000, non avesse smentito la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale di Sanremo nella sentenza di condanna del G. alla pena di mesi 8 di reclusione e L. 200.000 di multa con sospensione condizionale della pena per il reato di furto pluriaggravato continuato in concorso con altre persone, decisione confermata dalla Corte di appello di Genova con sentenza del 6.5.2000. In altri termini, il riferimento al contenuto della sentenza dell'8.11.2000 è stato addotto ad ulteriore conferma di quanto in precedenza affermato circa la sussistenza dei fatti addebitati al G. e cioè la circostanza che questi non avesse negato la effettività delle condotte a lui ascritte, se non tardivamente in appello . Peraltro, la sentenza della Corte di Cassazione del 28.3.2001 che dichiarava il reato ascritto al G. estinto per intervenuta prescrizione pur non comportando una statuizione nel merito, comunque, aveva come presupposto quanto stabilito dall'art. 129 co. 2 c.p.c. e cioè che agli atti non risultava evidente che il fatto non sussisteva o che l'imputato non lo avesse commesso o che non costituiva reato o che non era previsto dalla legge come reato. E, quindi, come correttamente rilevato nella decisione impugnata, pur non sussistendo un giudicato penale di condanna nei confronti del G. il quale si era giovato di una omissione nella quale era incorsa la Corte di Cassazione, non vi era stata una smentita giudiziale dell'accertamento della sue responsabilità. La motivazione della Corte di merito, quindi, presenta un iter logico del tutto immune dai denunciati vizi. Con il secondo motivo di ricorso di deduce violazione e/o falsa applicazione del disposto dell'art. 2697 comma 2 c.p.c. anche in relazione all'art. 115 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto provato il verificarsi dei fatti contestati al G. senza che l'amministrazione datrice di lavoro avesse in alcun modo fornito detta prova ciò anche in considerazione del fatto che la sentenza della Corte di appello di Genova del 6.5.2000 era stata cassata. Anche questo motivo è infondato. Ed infatti, al pari del primo, non tiene conto della circostanza che la Corte di appello ha ritenuto provati i fatti posti a base del provvedimento espulsivo sul rilievo che il G. , in primo grado, non avesse negato le condotte a lui contestate e non solo sulla scorta della sentenza di condanna della Corte di appello di Genova. Peraltro, come già sopra esposto in riferimento al primo motivo di ricorso, la decisione con la quale si dichiarava non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione non equivaleva ad una sentenza di assoluzione. In effetti, con la motivazione adottata la Corte di merito ha accertato in sede civile i fatti contestati al G. tenendo conto degli elementi emersi in sede penale ciò in linea con il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui In tema di giudicato, la disposizione di cui all'art. 652 cod. proc. pen., così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 dello stesso codice costituisce un'eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Ne consegue che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima , pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente ne consegue, altresì, che, nel caso da ultimo indicato il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione Sez. U, Sentenza n. 1768 del 26/01/2011 . Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico del ricorrente e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.