Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in comodato ed è, in conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione, allorché il rapporto venga a cessare. Pertanto, il comodante che agisce per la restituzione della cosa nei confronti del comodatario non deve provare il diritto di proprietà, avendo soltanto l'onere di dimostrarne la consegna e il rifiuto di restituzione, mentre spetta al convenuto dimostrare di possedere un titolo diverso per il suo godimento. Peraltro, pur potendo legittimamente concedere in comodato un immobile, il comodante non ha titolo per richiedere un risarcimento del danno per il periodo successivo alla scadenza del contratto fino al rilascio, qualora l’immobile oggetto di comodato appartenga, come nel caso di specie, ad un istituto autonomo case popolari IACP in attesa di assegnazione.
Con la pronuncia numero 13975, depositata il 19 giugno 2014, la Corte di Cassazione definisce la questione della legittimazione alla stipula di un contratto di comodato sulla base della mera disponibilità del bene, escludendo del pari la possibilità di richiedere il risarcimento del danno qualora l’immobile concesso in comodato appartenga ad un ente pubblico IACP , essendo il solo, infatti, legittimato a tale richiesta. Il caso. La vicenda decisa dalla S.C. con la sentenza in commento prende le mosse da un contratto di comodato relativo ad un immobile di proprietà di un istituto autonomo case popolari IACP , che risultava nella disponibilità del comodante in quanto in precedenza era stato assegnato alla madre. Decorso il termine stabilito nel contratto, il comodante agisce ed ottiene il rilascio, ottenendo altresì in primo e secondo grado, dai comodatari, il pagamento di un canone per abusiva occupazione per il periodo successivo, fino a quanto lo stesso IACP assegna l’immobile ai comodatari. La decisione della Corte d’appello viene quindi cassata dai giudici di Piazza Cavour, sul rilievo che, a prescindere dalla legittimazione alla stipula, non può riconoscersi un risarcimento per occupazione abusiva qualora non sussista un titolo giuridico che giustifichi tale richiesta quale, ad esempio, la proprietà o la locazione. Locazione o comodato? Il contratto di comodato, per quanto di interesse nell’ambito delle questioni affrontate dalla sentenza in esame, si distingue dalla locazione, principalmente, in forza del carattere di essenziale gratuità del comodato stesso, laddove si realizzano gli estremi costitutivi del contratto di locazione quando per il godimento di un bene sia pattuita una controprestazione, in qualsiasi misura e sotto qualsiasi forma. Da ciò discende, in particolare, che a fronte della domanda volta all'accertamento di un rapporto locativo, al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento del canone, oppure volta all'accertamento di un'occupazione senza titolo, al fine di ottenere la condanna del convenuto al pagamento dell'indennità di occupazione, compete esclusivamente al convenuto provare il possesso di un titolo, come il comodato, che ne assicuri non solo il legittimo godimento del bene, ma anche il carattere essenzialmente gratuito. Disponibilità del bene e concessione in comodato come e perché. Secondo la giurisprudenza prevalente, richiamata anche dalla Cassazione, chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in locazione, comodato o costituirvi altro rapporto obbligatorio ed è in conseguenza legittimato a richiederne la restituzione, allorché il rapporto venga a cessare. Sulla base di tale principio, il comodante nella vicenda per cui è causa è stato riconosciuto legittimato alla stipula del contratto di comodato e alla conseguente azione di rilascio. Cessazione del comodato ed azione di restituzione. Il comodante può avvalersi, per conseguire il rilascio del bene dato in comodato, sia dell'azione di rivendica, che dell'azione contrattuale, ma, non essendo facoltà del giudice mutare ex officio il titolo della pretesa, la controversia va decisa con esclusivo riferimento al titolo dedotto dall'interessato in caso di azione contrattuale, l'attore ha l'onere di provare non la proprietà del bene, ma l'esistenza del contratto di comodato, anche se il convenuto abbia sollevato un'eccezione di usucapione in proprio favore, non essendo idonea tale pretesa a trasformare in reale l'azione personale esercitata. Gli immobili IACP fanno parte del patrimonio indisponibile? Uno dei motivi di ricorso, che la Cassazione ha ritenuto di non accogliere, riguardava la sostanziale indisponibilità degli alloggi IACP per contratti tra privati, essendo invece destinati a svolgere funzioni pubbliche ed assistenziali. Sul punto, la S.C. chiarisce dapprima che gli alloggi IACP non fanno parte del patrimonio indisponibile e, successivamente, comunque, che la declassificazione dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile, la cui destinazione all'uso pubblico deriva da una determinazione legislativa, deve avvenire in virtù di atto di pari rango, e non può, dunque, trarsi da una condotta concludente dell'ente proprietario, postulando la cessazione tacita della patrimonialità indisponibile, così come della demanialità, che il bene abbia subito un'immutazione irreversibile, tale da non essere più idoneo all'uso della collettività, senza che a tal fine sia sufficiente la semplice circostanza obiettiva che detto uso sia stato sospeso per lunghissimo tempo. Da ciò discende, in particolare, che gli alloggi costruiti a carico dello Stato per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite da eventi sismici non possono essere destinati ad altra finalità per effetto dell'attività concludente posta in essere dall'ente proprietario, nonché la possibilità che questa abbia anche soltanto innescato la sospensione dell'uso pubblico. Natura dei beni e rapporti tra privati e P.A. Pur escludendo, quindi, che gli alloggi IACP possano essere ricondotti nell’ambito del patrimonio indisponibile, è però possibile, a partire da tale nozione, chiarire il diverso rapporto che intercorre tra i privati e la P.A. relativamente ad un bene pubblico in senso lato . Sul punto, deve osservarsi che il rapporto che intercorre tra privati deve essere distinto da quello che intercorre tra la P.A. ed il privato, essendo il primo disciplinato dalle sole norme civilistiche che regolano il tipo di rapporto che le parti medesime abbiano inteso porre in essere avuto riguardo alla concreta disponibilità, ed il secondo regolato, invece, dalle norme pubblicistiche, oltre che da quelle civilistiche che l'autorità amministrativa intenda utilizzare a tutela del demanio stesso. A partire da tale principio, secondo la giurisprudenza di legittimità, nella controversia tra privati per la risoluzione di un contratto di comodato gratuito di un immobile e la condanna del comodatario alla sua restituzione, l'eccezione di demanialità del bene da parte del comodatario incorre nel divieto, posto dall'articolo 81 c.p.c., di far valere in nome proprio un diritto altrui, giacché appartenente soltanto alla P.A., salvo che il comodatario non alleghi la sussistenza di un proprio autonomo diritto alla disponibilità del bene demaniale, a titolo originario di uso civico ovvero a titolo derivativo dall'ente pubblico titolare del diritto stesso. Diritto a godere dell’immobile e risarcimento del danno. La sentenza, infine, stabilisce un ulteriore principio per il quale la mancanza di ogni diritto a godere dell’immobile de quo da parte del comodante – se non, appunto, la mera disponibilità di fatto - esclude che nei confronti dello stesso possa ravvisarvi una ingiusta sottrazione del bene e, di conseguenza, il risarcimento in suo favore a titolo di occupazione abusiva come rilevato nella sentenza, infatti, alla scadenza del contratto di comodato, solo l’IACP avrebbe potuto azionare una richiesta risarcitoria derivante dall’illegittima occupazione dell’immobile in questione.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 aprile – 19 giugno 2014, numero 13975 Presidente Ceccherini – Relatore Forte Svolgimento del processo Con la sentenza numero 544/06 del 28 febbraio 2006, la Corte di appello di Roma ha rigettato il gravame di T.R. e A.E. contro la sentenza del Tribunale di Velletri del 26 novembre 2004, che, in accoglimento della domanda di Te.Fe. , aveva dichiarato scaduto il contratto di comodato verbale da lei concluso con i convenuti per il periodo dal 31 dicembre 1999 al 31 dicembre 2000 e condannato in solido i convenuti a pagare all'attrice Euro 250,00 mensili dal 1^ gennaio 2000 fino alla data del rilascio a titolo di risarcimento del danno, quantificato nella indennità di occupazione del bene sopra indicato, con gli interessi di legge e le spese del grado. I due occupanti convenuti in primo grado avevano ammesso di avere ricevuto in comodato gratuito l'appartamento dalla Te. per il solo periodo indicato e, per il tribunale, era irrilevante l'eventuale natura abusiva del rapporto di fatto con l'appartamento della comodante che comunque aveva diritto alla restituzione dell'alloggio già in suo possesso e al pagamento del risarcimento del danno per la occupazione del bene quantificato come già detto, accogliendo quindi la domanda di risarcimento del danno nei confronti della T. e dell'A. . L'appello dei convenuti T. e A. affermava che essi erano aventi causa della originaria assegnataria dell'appartamento S.L. loro madre che lo aveva abitato fino alla morte avvenuta il OMISSIS , data dopo la quale del bene era stato fatto un uso saltuario fino al 1997 da loro, che dichiaravano di avere poi concesso l'alloggio in comodato a Te.Fe. finché l'I.A.C.P., con atto del 25 ottobre 2001, aveva concesso loro l'appartamento in godimento, riconoscendo il possesso dei requisiti di legge per essere assegnatari dello stesso. Era dedotto, con il gravame della T. e dell'A. , anche il difetto di legittimazione attiva della Te. nell'azione, perché la stessa era priva d'ogni rapporto di fatto e di diritto con l'immobile oggetto di causa e che il contratto di comodato era comunque nullo, perché privo della forma scritta ad substantiam la T. e l'A. affermavano inoltre l'incapacità giuridica a contrarre della Te. , in quanto non succeduta legittimamente nell'assegnazione dell'alloggio dall'I.A.C.P. alla S. . Si lamentava pure la illiceità della causa del contratto che aveva sottratto l'abitazione alla sua destinazione d'uso di edilizia economica e popolare in favore della T. e dell'A. , in violazione di norme imperative, essendo vietata la cessione non autorizzata di tali tipi di alloggi. Nulla era comunque dovuto dagli appellanti per la detenzione dell'appartamento mai occupato dalla Te. , che viveva in altra città, essendo in ogni caso eccessiva la somma di Euro 250,00 mensili liquidata a carico dei detti occupanti dal Tribunale per l'indicato omesso pagamento del corrispettivo della loro detenzione del bene. L'appellata Te. si costituiva e negava vi fosse stato un provvedimento di assegnazione dell'alloggio in favore degli appellanti il cui gravame è stato quindi rigettato dalla Corte d'appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, che ha ritenuto essere oggetto della causa il comodato d'un bene di proprietà di ente pubblico, passato nella materiale disponibilità della comodante Te. , che aveva concluso, per tale rapporto di fatto con il bene, il comodato con la T. e l'A. . La Te. , avendo la disponibilità di mero fatto dell'alloggio in precedenza assegnato alla madre S.L. , si è ritenuta dalla Corte di merito comunque legittimata a concludere il comodato, potendo disporre dell'uso dell'immobile e concederlo in locazione o in uso gratuito e chiederne quindi la restituzione la sentenza cita nello stesso senso Cass. 13 luglio 1999 numero 7422 e 26 ottobre 1998 numero 10627 , per cui era da ritenere valido ed efficace il comodato stipulato il 6 gennaio 1999 dalla donna fino alla data in cui l'alloggio fu assegnato alla T. e all'A. dall'ente che ne era proprietario. Tale assegnazione, oggetto della delibera del 3 novembre 2005 del Comune di Anzio - Ufficio Patrimonio, data da cui era cessata ogni occupazione abusiva dell'appartamento, era il titolo del godimento dell'immobile per i ricorrenti ed evidenziava il difetto di legittimazione della Te. a detenere ulteriormente il bene e di darlo in comodato a terzi, quale figlia della originaria assegnataria del godimento di esso. Secondo la Corte d'appello, poiché il rapporto di comodato si era protratto contro la volontà della comodante dal 6 gennaio 1999 al 3 novembre 2005, per tale ultimo periodo, i comodatari T. e A. dovevano corrispondere alla Te. il risarcimento del danno, liquidato in misura pari alla indennità che si sarebbe dovuta pagare per il godimento dell'alloggio cioè ad Euro 250,00 mensili, per il periodo in cui era stato da loro detenuto, con le spese di causa. Per la cassazione di tale sentenza della Corte di appello di Roma del 28 febbraio 2006, il T. e l'A. propongono ricorso notificato il 22 - 23 gennaio 2007 e illustrato da memoria, ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., cui non replica la Te. , che non si difende in questa sede. Motivi della decisione 1.1. Il primo motivo di ricorso della T. e dell'A. deduce violazione o falsa applicazione degli articolo 826, comma 3, 828, comma 2, 830, comma 2, 1140 e 1803 c.c. e degli articolo 99, 100 e 116 c.p.c., anche ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c Affermano i ricorrenti che oggetto del giudizio è l'alloggio dell'I.A.C.P., destinato ad edilizia popolare ed economica e da qualificare bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato che, per la qualità indicata di bene pubblico , non poteva essere oggetto di atti dispositivi dei privati ma poteva solo essere concesso o assegnato dalla P.A. che aveva il potere di disporne, per attuare la destinazione che la legge attribuiva ad esso. Un bene del tipo di quello oggetto di causa non poteva essere destinato a uso diverso da quello vincolato per cui era stato realizzato, cioè quello della edilizia residenziale pubblica, per la quale di tale alloggio potevano fruire i soli soggetti dotati dei requisiti di legge per la assegnazione in locazione ovvero in proprietà. Pertanto, in quanto l'alloggio apparteneva al patrimonio indisponibile dello Stato, correttamente la Te. era stata diffidata al rilascio dell'immobile dall'A.T.E.R., divenuta poi I.A.C.P., per averlo la stessa dato in comodato a terzi. Doveva negarsi ogni rilievo alla disponibilità materiale dell'immobile dalla Te. che non aveva titolo a detenerlo o a possederlo, con conseguente difetto di legittimazione di questa nell'azione di rilascio, quale figlia dell'originaria assegnataria non convivente con questa e priva di un diritto proprio a occupare l'appartamento dell'I.A.C.P Il quesito di diritto che chiude il primo motivo del ricorso chiede alla Corte di riconoscere che un bene del patrimonio indisponibile dello Stato, non può essere oggetto di rapporti negoziali tra privati o di successione mortis causa, potendo di esso disporsi solo previa emissione di atti amministrativi concessori o autorizzatori della P.A 1.2. In secondo luogo si censura la sentenza per violazione degli articolo 1345, 1346, 1418 e 1460 c.c., in relazione agli articolo 18 del D.P.R. 30 dicembre 1972 numero 1035, 32 della L.Reg. del Lazio 20 giugno 1987 numero 3, e 12 della legge della stessa Regione numero 12 del 6 agosto 1999, oltre che dell'articolo 828, comma 2, c.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c., negandosi ogni legittimazione della Te. a disporre dell'appartamento per cui è causa, non avendo ella titolo, ai sensi delle norme indicate, per disporre dell'immobile e darlo in comodato, non avendo di esso la disponibilità giuridica, che spettava solo all'I.A.C.P. che aveva anche diffidato la donna al rilascio dell'immobile sin dal 1997. La Corte d'appello ha affermato invece che la Te. , pur avendo soltanto la disponibilità materiale dell'immobile, era legittimata a darlo in comodato, senza tener conto delle diffide al rilascio dell'immobile da parte dell'I.A.C.P La Te. , per l'uso dell'alloggio assegnato alla madre e da lei dato in comodato alla T. e all'A. , non poteva pretendere un canone da questi ultimi neanche a titolo risarcitorio, non potendo ritenersi titolare di alcun diritto sull'alloggio il cui godimento le era stato sottratto, in quanto a lei none spettante ad alcun titolo, per cui a lei nulla doveva pagarsi dagli appellanti, per la fruizione di un bene che non le apparteneva, come erroneamente affermato invece dal Tribunale di Velletri e confermato dalla Corte d'appello di Roma. 1.3. Si lamenta quindi, con il terzo motivo di ricorso, la contraddittorietà tra motivazione e dispositivo della sentenza di appello che condanna i ricorrenti a pagare il canone per la detenzione dall'alloggio alla Te. , dopo aver rilevato che questa, quale figlia dell'assegnataria dell'alloggio, aveva dell'immobile una disponibilità di mero fatto che non la legittimava a darlo in comodato fino al provvedimento dell'I.A.C.P. che le aveva imposto il rilascio dello stesso per essere illegittima la detenzione dell'alloggio a decorrere dal febbraio 1997. Nessuna legittimazione aveva la Te. a percepire un canone per l'uso dell'alloggio dalla T. e dall'A. di Euro 250,00 al mese, da aggiungere a quello di Euro 40 mensili dovuto all'Istituto, che ne era il proprietario la Corte d'appello di Roma, dopo avere affermato il valore solo simbolico dell'ordine di rilascio dopo l'assegnazione dell'alloggio alla T. e all'A. , ha contraddittoriamente confermato la condanna di questi ultimi, contenuta nella sentenza del tribunale, a risarcire il danno e a restituire l'appartamento all'attrice, per cui la sentenza di primo grado non doveva essere confermata, con condanna alle spese dei gradi di merito dei soccombenti in favore della Te. . 2. Il ricorso è fondato per quanto di ragione ed entro tali limiti deve essere accolto. 2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, per la parte in cui non deve qualificarsi inammissibile per la prospettazione di un quesito di diritto plurimo, che non consente una risposta certa, positiva o negativa, di questa Corte, per il suo riferimento ad atti amministrativi, non meglio precisati, di cui il giudice di merito non avrebbe tenuto conto nel decidere la causa. In ogni caso la denuncia di violazione degli articolo 826 – 828 c.c. per avere la Corte di merito riconosciuto validità ad atti negoziali tra privati di disposizione del patrimonio indisponibile dello Stato non ha fondamento, perché l'immobile oggetto della causa appartiene all'I.A.C.P. e non allo Stato, e l'Istituto, che ha autonoma personalità, non ha un suo patrimonio indisponibile, con inapplicabilità ad esso delle norme che il ricorso assume essersi violate nella fattispecie. Alle questioni proposte con il primo motivo e al quesito finale sulla legittimazione del privato a disporre del godimento del bene senza autorizzazione o concessione della P.A. deve essere data una risposta positiva da questa Corte, con accoglimento solo per tale profilo, del primo motivo di ricorso, per cui va negato che la Te. fosse legittimata a pretendere la restituzione dell'alloggio per cui è causa ovvero che ella avesse il diritto di fruire di tale immobile, assegnato alla madre di lei S.L. , che aveva in esso abitato fino alla sua morte nell' omissis . La sentenza di merito nulla ha statuito, neppure per escluderne l'ammissibilità, ex articolo 447 bis, 3 comma, c.p.c., sulla produzione della documentazione dall'appellata Te. relativa ai provvedimenti adottati dall'Istituto prima della stipula del comodato, quale il decreto di rilascio dell'immobile del 12.11.1997 emesso nei confronti della Te. divenuta da tale data occupante abusiva , alla quale poi è stata riconosciuta dai giudici di merito il diritto a ricevere i pagamento di un'indennità di occupazione dagli odierni ricorrenti, per il preteso mancato godimento di un immobile rispetto al quale la donna non vantava alcun titolo e nessun corrispettivo poteva pretendere. La Te. aveva la mera disponibilità materiale dell'alloggio, da lei dato in comodato fino al 2000 alla T. e all'A. , in favore dei quali era stato riconosciuto successivamente nel 2005 l'esistenza dei requisiti di legge per divenire assegnatari, con ordinanza della G.M. del Comune di Anzio numero 295 del 3 novembre 2005. In conclusione, se è emerso incontrastato che l'IACP aveva diffidato la Te. al rilascio dell'alloggio di cui aveva goduto la madre, manifestando la sua volontà di riottenerne la disponibilità per destinarlo al fine per cui era stato costruito di edilizia residenziale pubblica sul regime di tali beni cfr. Cass. 27 febbraio 2012 numero 2962 , solo nel 2005 la donna era stata privata del rapporto di fatto con il bene e questo era stato assegnato alla T. e all'A. . È quindi fondato il secondo motivo di ricorso, che deduce che nulla spettava alla Te. per la detenzione dalle controparti dell'alloggio oggetto di causa. La detenzione della T. e dell'A. era divenuta illecita con il recesso dal comodato della Te. , rimanendo tale fino alla data in cui, con l'assegnazione dall'IACP, essi erano divenuti legittimi assegnatari dell'alloggio, che fino a quella data si è considerato abusivamente detenuto in fatto dalla parte intimata in questo giudizio, con illiceità conseguente della disponibilità del bene da parte degli odierni ricorrenti che dalla Te. lo avevano avuto in comodato e ai quali successivamente era stato assegnato. La Te. non aveva subito la lesione di alcuna situazione soggettiva ad essa non spettava il risarcimento del danno per la sottrazione del rapporto di fatto con l'alloggio già assegnato alla madre dal 1 gennaio 2000 sul quale intimata nulla poteva pretendere, potendo dell'immobile disporre solo l'I.A.C.P., che lo aveva assegnato nel 2005 ai ricorrenti. La mancanza di ogni diritto a godere dell'alloggio per la Te. , nei cui confronti nessuna illecita sottrazione dell'immobile vi era stata, avendo essa dato in comodato l'appartamento per il solo periodo dal 1999 e il 2000 senza averne titolo, esclude ogni ingiusta sottrazione del bene in danno di detta intimata ed ogni diritto di questa al risarcimento, erroneamente calcolato nella somma che alla donna sarebbe spettata per lo stesso periodo, non avendo ella titolo a godere o a dare in locazione l'immobile a terzi. È quindi fondato il secondo motivo di ricorso, che chiede sia negato alla Te. di pretendere alcunché per la mancata fruizione dell'alloggio a lei non spettante dal 2001 al 2005. 1.3. Il terzo motivo di ricorso che denuncia la contraddittorietà tra motivazione e dispositivo della sentenza impugnata, che ha ritenuto solo simbolica la condanna al rilascio dell'alloggio da parte del Tribunale per poi confermare su tale punto la sentenza di primo grado, è da rigettare perché fondato sull'erroneo presupposto dell'esistenza di tale condanna che in primo grado non vi è stata, secondo quanto emerge dallo stesso ricorso per cassazione. 3. In conclusione il ricorso deve accogliersi e la sentenza impugnata deve essere cassata la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., con il rigetto della domanda di pagamento dei canoni a titolo di risarcimento proposta dalla Te. , che, quale soccombente, deve essere condannata al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito e di quello di cassazione, in favore dei ricorrenti, nella misura che si liquida in dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012 numero 140, da applicare anche per le prestazioni professionali eseguite nel vigore delle previgenti tariffe non più applicabili, come affermato condivisibilmente da S.U. 12 ottobre 2012 numero 17405. P.Q.M. La Corte accoglie per quanto di ragione il ricorso e cassa la sentenza impugnata decidendo la causa nel merito, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., rigetta la domanda della Te. e la condanna a pagare in solido alla T. e all'A. le spese dell'intero giudizio, che liquida, per il primo grado, in Euro 1.200,00 per compensi ed Euro 300,00 per spese e diritti, per il giudizio di appello, in Euro 1.800,00 per compensi, ed Euro 200,00 per spese e diritti e, per il presente giudizio di cassazione in Euro 3.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.