Il richiamo al Codice dei beni culturali non salva dall’incostituzionalità la legge regionale della Lombardia

La Lombardia nel 2012 ha varato una legge per la valorizzazione e per la tutela dei reperti e dei cimeli storici, non risalenti alla I guerra mondiale, sancendo che la denuncia del reperimento o del possesso di collezioni andava fatta al sindaco che avrebbe avvertito la Sovrintendenza. È incostituzionale perché la materia è di competenza esclusiva dello Stato.

È quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 194 del 17 luglio 2013 accogliendo il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il caso. La Regione Lombardia il 31/7/12 varava la LR n. 16 Valorizzazione dei reperti mobili e dei cimeli appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale . Agli artt. 1, comma 2, 2 e 4, commi 1, 2, 3, sanciva che è demandata alla Regione le attività di ricerca, raccolta e conservazione dei reperti e cimeli storici che si trovano sul territorio regionale, e stabiliscono che del rinvenimento venga data comunicazione al sindaco territorialmente competente, il quale, a sua volta, trasmette le comunicazioni ricevute alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia per gli atti di sua competenza . È palese l’eccesso di competenza, perché la materia rientra tra quelle che l’articolo 117 Cost. e degli artt. 10 e 88 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 CBC riconducono alla legislazione esclusiva dello Stato. È irrilevante che la legge impugnata dia atto di ciò. Quadro normativo. Il Codice si autoqualifica come attuazione dell’articolo 9 Cost. e fissa regole precise sulla tutela, sulla valorizzazione, sulla conservazione e restauro sino all’alienazione del patrimonio culturale italiano, comprensivo dei beni in oggetto. Elabora ed impone criteri standard , che possono esser considerati parametri interposti” a quelli fissati dalla Costituzione, chiarendo le modalità e le forme di finanziamento di queste attività. I richiamati articoli stabiliscono che le opere per il ritrovamento di tutte le cose che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico spettano allo Stato e sono riservate al Ministero per i beni e le attività culturali L’impianto normativo costruito, con tale particolare compattezza, sull’articolo 10 del codice, prevede, come è noto, una serie di rigorose e dettagliate misure di tutela da quelle concernenti i diversi divieti o le autorizzazioni o gli obblighi conservativi dei beni, a quelle relative alla loro circolazione, al regime delle eventuali loro alienazioni o di altre forme di trasmissione in ambito nazionale o anche internazionale o alla uscita dal o all’ingresso nel territorio nazionale, alle espropriazioni e, finalmente, per quello che qui più interessa, alle ricerche e ai ritrovamenti . I privati possono detenere collezioni d’arte e di detti reperti od i cimeli rinvenuti casualmente, purchè si attengano ai dettami del Ministero che, in quest’ultimo caso è obbligato a rimborsare allo scopritore le spese per il ritrovamento. La LR 16 completa la L.78/01 e LR 28/08 sulla tutela del Patrimonio risalente alla Prima guerra mondiale. La Consulta, però, richiamando alcuni suoi precedenti, rileva come queste norme prevalgano anche su quelle di salvaguardia delle minoranze culturali e linguistiche C.Cost. 170/10 e 159/09 . Ripartizione delle competenze con la Regione. All’interno di questo sistema appare, perciò, indubbio, che se tutela” e valorizzazione” esprimono – per dettato costituzionale e per espressa disposizione del codice dei beni culturali artt. 3 e 6 secondo anche quanto riconosciuto da questa Corte sin dalle sentenze n. 26 e n. 9 del 2004 – aree di intervento diversificate, è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini della tutela, la disciplina e l’esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonché alla loro protezione e conservazione e, invece, anche alle Regioni, ai fini della valorizzazione, la disciplina e l’esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza e utilizzazione e fruizione di quel patrimonio e, perciò – secondo i princìpi di cui agli articoli 111 e seguenti del codice –, la costituzione e l’organizzazione stabile di risorse o la messa a disposizione di competenze . Anche un bene non rientrante tra quelli ex articolo 10 CBC può essere interessante! È difficile definire con chiarezza i confini con i vari interessi stabiliti dal CBC, ma non si può negare a priori l’interesse culturale di un bene che non rientri tra quelli dell’articolo 10 e ne abbia uno residuale. Infatti esso è ancorato, in ipotesi, a un patrimonio identitario inalienabile, di idealità e di esperienze e perfino di simboli, di quella singola e specifica comunità . Solo questi ultimi sono soggetti all’ambito legislativo regionale. Conclusioni. Rinviando alla lineare sentenza per ogni approfondimento, è chiaro che la nostra fattispecie è esclusa da questo campo e, perciò, è stata dichiarata incostituzionale.

Corte Costituzionale, sentenza 3 – 17 luglio 2013, n. 194 Presidente Gallo - Redattore Grossi Sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 2, 2, 4, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 16 Valorizzazione dei reperti mobili e dei cimeli appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale , promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito il 2 ottobre 2012, notificato il 3 ottobre 2012 e depositato in cancelleria il 9 ottobre 2012 ed iscritto al n. 134 del registro ricorsi 2012. Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia udito nell’udienza pubblica del 4 giugno 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi uditi l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Piera Pujatti per la Regione Lombardia. Ritenuto in fatto 1.− Con ricorso spedito per la notificazione il 2 ottobre 2012 e depositato il successivo 9 ottobre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli articoli 1, comma 2, 2 e 4, commi 1, 2, 3, della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 16 Valorizzazione dei reperti mobili e dei cimeli appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale , per contrasto con l’articolo 117, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera s , della Costituzione. Le disposizioni impugnate – sottolinea il ricorrente – demandano alla Regione le attività di ricerca, raccolta e conservazione dei reperti e cimeli storici che si trovano sul territorio regionale, e stabiliscono che del rinvenimento venga data comunicazione al sindaco territorialmente competente, il quale, a sua volta, trasmette le comunicazioni ricevute alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia per gli atti di sua competenza. Tali disposizioni eccederebbero la competenza concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali, attribuita alle Regioni dall’articolo 117, terzo comma, Cost., invadendo la competenza statale esclusiva in materia di tutela dei beni culturali, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera s , della stessa Carta si rievocano, al riguardo, le sentenze n. 9 del 2004 e n. 94 del 2003 della Corte costituzionale . Si sottolinea, infatti, come i compiti di tutela dei beni culturali siano stati tradizionalmente riservati allo Stato e come la disciplina di questa funzione sia attualmente contenuta nel codice dei beni culturali, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 il quale, agli articoli 10 e 88, attribuisce al Ministero per i beni e le attività culturali le opere per il ritrovamento di tutte le cose che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico , stabilendo, all’articolo 90, procedure connesse alla denuncia di scoperte diverse da quelle previste dall’articolo 4, commi 2 e 3, della legge impugnata. Né varrebbe in contrario la disposizione dell’articolo 2, comma 2, della medesima legge impugnata, secondo la quale restano esclusi dalla relativa disciplina i beni culturali di cui al citato articolo 10, dal momento che tutte le cose mobili rinvenute nel territorio regionale sono suscettibili di ricadere nella disciplina dei beni culturali e devono pertanto essere valutate dalla amministrazione statale, unica dotata di competenza in materia, per accertarne la riconducibilità o meno entro quella categoria di beni. 2.− Nel giudizio si è costituita la Regione Lombardia, depositando memoria nella quale ha chiesto dichiararsi inammissibile e comunque infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dal Governo. Il ricorso sarebbe inammissibile, in quanto sarebbe stato indicato il parametro costituzionale ma non le ragioni della sua violazione. Nel merito, la questione sarebbe infondata, in quanto la normativa impugnata si porrebbe al di fuori del perimetro applicativo del codice dei beni culturali, mirando a completare e anticipare una forma di tutela che non viene, per il resto, minimamente scalfita . L’articolo 2 della legge regionale, infatti, sarebbe chiaro nell’escludere dal proprio ambito applicativo tutti i cimeli e reperti mobili di cui all’articolo 10 del codice dei beni culturali. D’altra parte, alle Regioni competerebbero le funzioni amministrative di tutela dei beni culturali, da esercitare secondo il principio di leale collaborazione con lo Stato. Se è, pertanto, necessario che vi siano degli standard di tutela minimi su tutto il territorio regionale , ciò non escluderebbe che le Regioni possano prevedere ulteriori forme di tutela . Nella specie, la legge impugnata si sarebbe posta al di fuori degli standard di tutela minimi , dichiarando di voler valorizzare reperti diversi da quelli che rientrano nell’ambito dell’articolo 10 del codice dei beni culturali in tale prospettiva si collocherebbero le disposizioni in tema di ricognizione, catalogazione, studio e ricerca, che valorizzano i beni che potranno anche successivamente essere sottoposti al regime di cui al d.lgs. n. 42 del 2004. Lo stesso dovrebbe dirsi per le attività di manutenzione, restauro, conservazione, raccolta e pubblicazione dei relativi dati attività, in sé, del tutto legittime, anche se riguardanti una categoria di beni residuali . La Regione interverrebbe, dunque, in una prospettiva di valorizzazione dei beni culturali, con un rafforzamento di tutela , senza che ciò impedisca allo Stato di esercitare il successivo assoggettamento dei beni in questione al regime di tutela individuato dal codice dei beni culturali. Si sottolinea, d’altra parte, che la normativa in questione si inserirebbe in un contesto di disposizioni già vigenti, quale la legge 7 marzo 2001, n. 78 Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale , che riconosce il valore storico e culturale delle vestigia della Prima guerra mondiale, attribuendo alla potestà legislativa regionale la disciplina della attività di raccolta dei reperti non assoggettati al regime del codice possibilità che la Regione Lombardia ha sfruttato adottando la legge regionale 14 dicembre 2008, n. 28, recante Promozione e valorizzazione del patrimonio storico della Prima guerra mondiale in Lombardia , rispetto alla quale la legge ora impugnata si porrebbe quale disciplina di completamento . 3.− Con successiva memoria, depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Lombardia, nel ribadire le conclusioni già rassegnate, ha sottolineato che il carattere culturale” di un bene sarebbe non un requisito intrinseco dello stesso , ma piuttosto il frutto di un procedimento diversificato a seconda del bene per quelli di cui all’articolo 10, commi 1 e 2, del codice, il carattere culturale sarebbe presunto, salvo il diverso esito della verifica di cui all’articolo 12 per i beni di cui all’articolo 10, comma 3, detta connotazione sarebbe conferita dalla dichiarazione di cui all’articolo 13. Nell’escludere dalla disciplina regionale i beni di cui all’articolo 10 del codice, la normativa censurata circoscriverebbe l’oggetto dell’intervento regionale, nel senso che questo potrebbe riguardare soltanto i reperti o cimeli per i quali la verifica di interesse culturale abbia dato esito negativo, ovvero quelli per i quali difetta una dichiarazione ex articolo 13 del codice. Da qui la legittimità della disciplina impugnata, la quale non si sovrapporrebbe a quella statale, ma la integrerebbe nel rispetto e in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione. D’altra parte, l’intervento legislativo della Regione si proporrebbe finalità di mera valorizzazione, e non di tutela, dei beni in questione, come risulterebbe evidente dalle attività indicate nell’articolo 1, comma 2, che la legge mirerebbe non a promuovere, ma solo a favorire. Lo stesso sarebbe a dirsi per le disposizioni dettate dall’articolo 4, commi 1, 2 e 3. 4.– In prossimità dell’udienza, ha depositato memoria anche la difesa erariale, la quale, nel contestare la fondatezza delle deduzioni regionali, ha richiamato le disposizioni dettate dal codice dei beni culturali – attuative dell’articolo 9 Cost. – ove trovano definizione le nozioni di tutela e valorizzazione di quei beni, sottolineando come la tutela passi, essenzialmente, attraverso la individuazione ossia la qualificazione di una cosa come bene culturale , la protezione e la conservazione e come queste attività vengano dal codice riservate allo Stato in particolare, agli artt. 88, 89 e 90 . La legge regionale impugnata si porrebbe, dunque, in contrasto con la richiamata disciplina statale, in quanto viene di fatto a liberalizzare la ricerca nel territorio della Regione Lombardia di qualsiasi reperto mobile avente valore storico-culturale e/o cimelio storico, sottraendo o comunque ostacolando l’esercizio da parte del Ministero per i beni e le attività culturali della propria competenza esclusiva in materia di individuazione dei beni culturali . Considerato in diritto 1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli articoli 1, comma 2, 2 e 4, commi 1, 2, 3, della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 16 Valorizzazione dei reperti mobili e dei cimeli appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale , per contrasto con l’articolo 117, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera s , della Costituzione. A parere del ricorrente, le disposizioni impugnate – nella parte in cui attribuiscono alla Regione Lombardia le attività e gli interventi di ricerca, raccolta, conservazione e valorizzazione dei reperti mobili e dei cimeli storici che si trovano sul territorio regionale, prevedendo altresì che del rinvenimento del bene sia data comunicazione scritta al sindaco del comune competente per territorio entro quindici giorni dal ritrovamento e che il sindaco trasmetta le comunicazioni ricevute alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia per gli atti di sua competenza, entro sessanta giorni dal ricevimento – contrasterebbero con l’articolo 117, secondo comma, lettera s , e terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 10 e 88 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 i quali stabiliscono che le opere per il ritrovamento di tutte le cose che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico spettano allo Stato e sono riservate al Ministero per i beni e le attività culturali nonché in riferimento all’articolo 90 dello stesso codice il quale, relativamente alla denuncia della scoperta dei beni d’interesse culturale, stabilisce una procedura e dei termini diversi da quelli stabiliti dall’articolo 4, commi 2 e 3, della legge impugnata . Lo Stato lamenta, in definitiva, che, con le disposizioni impugnate, la Regione abbia ecceduto dalle proprie competenze in una materia, come quella della tutela dei beni culturali, riservata in via esclusiva allo Stato medesimo. 2. − La Regione eccepisce che, sulla base di quanto disposto all’articolo 2 impugnato, i beni interessati dalle disposizioni in esame sono diversi” sia da quelli di cui all’articolo 10 del codice dei beni culturali e del paesaggio, sia da quelli oggetto della legge della Regione Lombardia 14 novembre 2008, n. 28 Promozione e valorizzazione del patrimonio storico della Prima guerra mondiale in Lombardia . Nell’opinione della Regione, il provvedimento in esame costituirebbe, del resto, appena un completamento” di quest’ultima, alla quale sarebbe dunque strettamente correlato , pur apparendo evidentemente e programmaticamente dotato di una destinazione molto più ampia e indeterminata oggetti mobili appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale che si trovino sul territorio regionale . 3.− La disciplina impugnata è diretta, secondo le finalità indicate all’articolo 1, comma 2, a favorire, in riferimento ai reperti mobili e ai cimeli storici di cui al successivo articolo 2, a la ricognizione, la catalogazione, gli studi e le ricerche b il monitoraggio, la manutenzione, il restauro, la conservazione e la raccolta c la pubblicazione in rete dei dati relativi alle attività di cui alle lettere a e b . Nel definire, all’articolo 2, il proprio ambito di intervento , la legge prevede che le attività e gli interventi di ricerca, raccolta, conservazione e valorizzazione di cui alla presente legge sono rivolti ai reperti mobili e ai cimeli storici che si trovano sul territorio regionale, ad esclusione dei beni indicati dall’articolo 2 della legge regionale 14 novembre 2008, n. 28 Promozione e valorizzazione del patrimonio storico della Prima guerra mondiale in Lombardia , e dei beni culturali di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 . Dettando norme per la ricerca, la raccolta e la conservazione dei reperti mobili e dei cimeli storici , l’articolo 4 precisa, al comma 1, che le predette attività sono consentite nei limiti e nel rispetto di quanto previsto dal medesimo articolo 4 e impone, al comma 2, obblighi di comunicazione per chiunque, sul territorio della Regione, rinvenga o individui reperti mobili o cimeli nonché, al comma 3, per i sindaci destinatari delle comunicazioni medesime o di ogni altra notizia di cui siano a conoscenza riguardo i reperti mobili e i cimeli storici di cui all’articolo 2 presenti sul territorio di competenza . 4.− La questione è fondata. 5.− Va preliminarmente osservato che la richiamata legge regionale n. 28 del 2008, sul patrimonio storico della prima guerra mondiale – della quale, come già detto, la legge qui in discorso costituirebbe, a giudizio della Regione, appena un completamento – è stata espressamente adottata articolo 1 in attuazione della legge dello Stato 7 marzo 2001, n. 78 Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale la quale, nello stabilire, sin dall’esordio, che la Repubblica riconosce il valore storico e culturale delle vestigia della Prima guerra mondiale , ha, per l’appunto, poi chiamato lo Stato e le Regioni a promuovere la ricognizione, la catalogazione, la manutenzione, il restauro, la gestione e la valorizzazione delle vestigia relative a entrambe le parti in conflitto , ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze . Nell’individuare, del resto, le competenze delle regioni , la stessa legge statale ha specificato, all’articolo 7, comma 1, che le Regioni a statuto ordinario potessero, a loro volta – nelle materie di loro competenza ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione e in quelle loro delegate dalla legislazione vigente – disciplinare, tra l’altro lettera c , con legge l’attività della raccolta di reperti mobili, fermo restando quanto previsto dagli articoli 9 e 10 fermi restando, cioè, da un lato, gli obblighi di comunicazione da parte di chiunque possieda o rinvenga reperti mobili o cimeli relativi al fronte terrestre della prima guerra mondiale di notevole valore storico o documentario ovvero possieda collezioni o raccolte dei citati reperti o cimeli e, dall’altro, le sanzioni per chiunque esegua interventi di modifica, di restauro o di manutenzione su alcune di queste cose senza rispettare i previsti obblighi di comunicazione. È dunque pacifico che l’intervento regolativo delle Regioni resti qui espressamente resecato – senza possibilità di indebite estensioni o di improbabili completamenti” – non solo all’interno del perimetro di una disciplina adottata in relazione alla specifica natura dei beni che ne formano oggetto, ma anche, naturalmente, nei limiti del sistema ordinario del riparto delle competenze legislative in materia di beni culturali. 6.− Sul versante delle competenze, del resto, non appare superfluo sottolineare la circostanza che il codice dei beni culturali e del paesaggio si autoqualifichi” articolo 1, comma 1 come normativa di attuazione dell’articolo 9 della Costituzione , assumendo le connotazioni tipiche del parametro interposto”, alla stregua del quale misurare la compatibilità costituzionale delle disposizioni con esso eventualmente in contrasto non diversamente da quanto questa Corte ebbe modo di osservare a proposito della legge 15 dicembre 1999, n. 482 Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche , attuativa dell’articolo 6 della Costituzione sentenze n. 170 del 2010 e n. 159 del 2009 . Lo stesso articolo 1 del codice, in particolare, nel dettare i princìpi della relativa disciplina, significativamente sancisce – al comma 2 – che la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura implicando, per un verso, il riferimento a un patrimonio” intrinsecamente comune, non suscettibile di arbitrarie o improponibili frantumazioni ma, nello stesso tempo, naturalmente esposto alla molteplicità e al mutamento e, perciò stesso, affidato, senza specificazioni, alle cure della Repubblica” e, per altro verso, una sorta di ideale contiguità, nei limiti consentiti, fra le distinte funzioni di tutela” e di valorizzazione” di questo patrimonio” medesimo, ciascuna identificata nel proprio ambito. All’interno di questo sistema appare, perciò, indubbio, che se tutela” e valorizzazione” esprimono – per dettato costituzionale e per espressa disposizione del codice dei beni culturali artt. 3 e 6 secondo anche quanto riconosciuto da questa Corte sin dalle sentenze n. 26 e n. 9 del 2004 – aree di intervento diversificate, è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini della tutela, la disciplina e l’esercizio unitario delle funzioni destinate alla individuazione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonché alla loro protezione e conservazione e, invece, anche alle Regioni, ai fini della valorizzazione, la disciplina e l’esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza e utilizzazione e fruizione di quel patrimonio e, perciò – secondo i princìpi di cui agli articoli 111 e seguenti del codice –, la costituzione e l’organizzazione stabile di risorse o la messa a disposizione di competenze. L’impianto normativo costruito, con tale particolare compattezza, sull’articolo 10 del codice, prevede, come è noto, una serie di rigorose e dettagliate misure di tutela da quelle concernenti i diversi divieti o le autorizzazioni o gli obblighi conservativi dei beni, a quelle relative alla loro circolazione, al regime delle eventuali loro alienazioni o di altre forme di trasmissione in ambito nazionale o anche internazionale o alla uscita dal o all’ingresso nel territorio nazionale, alle espropriazioni e, finalmente, per quello che qui più interessa, alle ricerche e ai ritrovamenti. È opportuno ribadire, infatti, a questo riguardo, che, a norma dell’articolo 88 del codice, le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose indicate all’articolo 10 in qualunque parte del territorio nazionale sono riservate al Ministero il quale può, tuttavia articolo 89 , concederne a soggetti pubblici o privati l’esecuzione, fermo per il concessionario l’obbligo di attenersi alle prescrizioni del Ministero medesimo e con la possibilità comma 6 che questo possa consentire, a richiesta, che le cose rinvenute rimangano, in tutto o in parte, presso la Regione od altro ente pubblico territoriale per fini espositivi, sempre che l’ente disponga di una sede idonea e possa garantire la conservazione e la custodia delle cose medesime . Né di minore rilievo appaiono le regole articolo 90 concernenti le scoperte fortuite, che impongono comma 1 all’occasionale scopritore di cose immobili o mobili indicate nell’articolo 10 di farne denuncia entro ventiquattro ore al soprintendente o al sindaco ovvero all’autorità di pubblica sicurezza e di provvedere alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute , con l’ulteriore onere, per il soprintendente, di informare anche i carabinieri preposti alla tutela del patrimonio culturale e con la specificazione comma 2 che Ove si tratti di cose mobili delle quali non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo scopritore ha facoltà di rimuoverle per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione sino alla visita dell’autorità competente e, ove occorra, di chiedere l’ausilio della forza pubblica , fermo – oltre che l’obbligo di conservazione e custodia per ogni detentore di cose scoperte fortuitamente comma 3 – il rimborso delle spese da parte del Ministero. Appare, dunque, del tutto evidente che eventuali normative regionali non potrebbero intervenire su questi stessi oggetti – tanto più se con discipline modificative di quelle statali – senza eccedere dall’ambito di competenza e senza, perciò, risultare, come nel caso, incompatibili con il sistema costituzionale del relativo riparto, anche al di là della specifica materia dei beni culturali ove, infatti, in ipotesi, dette normative regionali prevedessero vincoli o privilegi incidenti nella sfera dei diritti e degli interessi dei privati, potrebbero finire per interessare anche altre materie riservate alla competenza dello Stato come, ad esempio, quelle riconducibili alla materia dell’ ordinamento civile” , risultando, perciò, costituzionalmente illegittime sotto ulteriori profili. 7.− Su queste basi, appare non persuasivo l’argomento, prospettato dalla Regione resistente a sostegno della propria scelta legislativa, secondo cui i reperti mobili e i cimeli storici che si trovano sul territorio regionale – interessati dalle attività di ricerca, raccolta, conservazione e valorizzazione , di cui alla legge impugnata – riguarderebbero – come già ricordato – soltanto beni diversi sia da quelli indicati nella richiamata legge regionale sul patrimonio storico della Prima guerra mondiale in Lombardia, sia anche dai beni culturali di cui all’articolo 10 del codice dei beni culturali. La portata regolativa di quest’ultima disposizione appare, tuttavia, con ogni evidenza, talmente estesa da risultare programmaticamente destinata a riguardare la totalità delle cose che presentino un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico , impedendo di ritenere che alcune di queste cose possano risultare, per se stesse, preventivamente sottratte a quella disciplina e perciò – come l’articolo 2 impugnato vorrebbe – oggetto di un’altra. Ciò che, piuttosto, assume particolare e decisivo rilievo – sul piano logico oltre che su quello pratico – è il profilo concernente l’accertamento o la verifica della effettiva sussistenza dell’interesse culturale che queste cose possono presentare e, dunque, di quel carattere dal quale consegua la loro sicura appartenenza al patrimonio culturale . Ora, è indubitabile che soltanto la disciplina statale – specialmente nel codice dei beni culturali – possa assicurare, in funzione di tutela e, in considerazione della unitarietà del patrimonio culturale , le misure più adeguate rispetto a questo scopo anzitutto per la previsione di specifici procedimenti e di dettagliate procedure di ricognizione e di riscontro delle caratteristiche dei beni e poi per l’attribuzione a competenti apparati di compiti che richiedono conoscenze altamente specializzate e l’impiego di criteri omogenei, da adottare, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero , al fine di assicurare uniformità di valutazione articolo 12, comma 2 . Ove, perciò, la legge regionale in discorso avesse effettivamente inteso evitare di sovrapporsi alla disciplina dello Stato, avrebbe dovuto prevederlo in maniera inequivoca non già solo, cioè, genericamente escludendo di riferirsi – con una formula destinata a risultare quasi di stile – ai beni di cui all’articolo 10 del codice dei beni culturali, ma piuttosto direttamente prevedendo di rivolgersi soltanto a quelle cose che, in quanto non riconosciute o non dichiarate di interesse culturale”, all’esito dei previsti procedimenti, risultassero, perciò, escluse, come previsto, dall’applicazione delle disposizioni del codice articolo 12, comma 4, e artt. 13 e seguenti del codice dei beni culturali , in quanto non ricomprensibili nel novero dei beni culturali di cui al predetto articolo 10. La circostanza, infatti, che una specifica cosa non venga classificata” dallo Stato come di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico , e dunque non venga considerata come bene culturale , non equivale ad escludere che essa possa, invece, presentare, sia pure residualmente, un qualche interesse culturale” per una determinata comunità territoriale restando questo interesse ancorato, in ipotesi, a un patrimonio identitario inalienabile, di idealità e di esperienze e perfino di simboli, di quella singola e specifica comunità. In tale contesto e solo entro tali limiti, la potestà legislativa delle Regioni può dunque legittimamente esercitarsi – al di fuori dello schema tutela/valorizzazione – non già in posizione antagonistica rispetto allo Stato, ma in funzione di una salvaguardia diversa ed aggiuntiva volta a far sì che, nella predisposizione degli strumenti normativi, ci si possa rivolgere – come questa Corte ha avuto modo di sottolineare sentenza n. 232 del 2005 – oltre che ai beni culturali identificati secondo la disciplina statale, e rilevanti sul piano della memoria dell’intera comunità nazionale, eventualmente e residualmente anche ad altre espressioni di una memoria particolare”, coltivata in quelle terre da parte di quelle persone, con le proprie peculiarità e le proprie storie. 8. – Dagli esposti rilievi deriva la fondatezza delle censure di cui al ricorso e la conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative impugnate. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, comma 2, 2 e 4, commi 1, 2, 3, della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 16 Valorizzazione dei reperti mobili e dei cimeli appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale .