Verifica fiscale valida anche oltre i termini di legge

La verifica fiscale può durare anche oltre il termine dei trenta giorni previsto per legge e il conseguente accertamento è valido.

La SC, con l’ordinanza 9 luglio 2013, n. 17010, ha ritenuto che il termine di cui all’art. 12, comma 5, dello Statuto dei lavoratori è ordinatorio e non perentorio per cui non comporta la sanzione di nullità. Il caso . Il contribuente impugnava l’accertamento relativo all’Irpef, Irap eccependo che il termine dei 30 giorni, da intendersi perentorio, non era stato rispettato e di conseguenza i dati raccolti non erano utilizzabili ai fini dell’accertamento. La CTR ha respinto l’appello e il contribuente ha proposto ricorso per cassazione. La SC non ha accolto il ricorso motivando che in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, atteso che nessuna norma di legge lo dichiara perentorio o sancisca la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso. La nullità non può ricavarsi nemmeno dalla ratio delle disposizioni, in quanto appare sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti incaricati. Lo statuto del contribuente. Infatti, l’art. 12, comma 5, legge n. 212/2000 Statuto del contribuente stabilisce che la permanenza dei verificatori civili o militari agenzia entrate o Guardia di finanza presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni, nei casi di particolare complessità dell’indagine. Pertanto nel computo del predetto termine, che decorre dalla data di accesso nei locali devono farsi rientrare solo le giornate lavorative effettivamente trascorse presso il contribuente e consecutive, non includendo quelle in cui, ad esempio, si sono verificati dei meri contatti tra i due soggetti ad esempio, notifica atti consegna o ricezione atti . I rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede, l’attività di controllo svolta dagli organi dell’Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di finanza si traduce nella verifica fiscale che è svolta per la tutela degli interessi dello Stato stabiliti dalle norme tributarie. La verifica inizia con l’accesso presso la sede di attività del soggetto da controllare che rappresenta senza dubbio un atto prodromico all’emissione dell’accertamento. La verifica fiscale indubbiamente determina la compressione di alcuni diritti del contribuente, ma tra questi vanno riconosciuti allo stesso quelli elencati al citato art. 12 ovvero il diritto di conoscere i motivi e l’oggetto della verifica stessa nonché il diritto di farsi assistere durante le operazioni da un professionista abilitato al giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie comma 2 , ovvero il soggetto abilitato alla assistenza tecnica le cui categorie sono espressamente indicate nell’ art. 12, d.lgs. n. 546/92. Pertanto la decisione in commento, confermativa di altre precedenti decisioni cfr. Cass. n. 17002/2012 19938/2011 , desta alcune perplessità atteso appunto il chiaro dettato normativo, che in tal modo risulterebbe non rispettato. Orientamenti difformi. Si segnala, tuttavia, un difforme orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui è illegittima la verifica fiscale protrattasi per oltre trenta giorni presso l’azienda poiché in contrasto con lo Statuto dei diritti del contribuente i trenta giorni vanno considerati come giorni lavorativi consecutivi e non di effettiva presenza presso il contribuente CTR di Napoli n. 463/12/12 CTP di Bari n. 293/17/2010 CTR Lombardia n. 12/2008 .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 27 giugno – 9 luglio 2013, n. 17010 Presidente Cicala – Relatore Bognanni Svolgimento del processo 1. C.A.O. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia n. 24/14/10, depositata il 26 febbraio 2010, con la quale, rigettato l'appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, l'opposizione inerente all'avviso di accertamento, relativo all'Irpef, Irap ed Iva per l'anno 2001, riguardanti l'impresa familiare per la confezione di giacchè e pantaloni, veniva respinta. In particolare il giudice di secondo grado osservava che l'atto impositivo era stato regolarmente notificato era adeguatamente motivato con i rilievi enunciati dalla Guardia di finanza in sede di verifica, la quale aveva riscontrato una contabilità non attendibile il termine per le relative operazioni non era stato superato, anche perchè i giorni supplementari erano serviti soltanto alla elaborazione dei dati, ed alla predisposizione degli allegati presso, lo studio di consulenza SAVMA inoltre alcuna sanzione di nullità del relativo avviso è prevista il maggior reddito era stato esattamente accertato, a prescindere dal tentativo inerente all'adesione, posto che il procedimento relativo non si era perfezionato esso andava attribuito al titolare dell'impresa per intero, e non in quota anche al marito, socio o collaboratore, poichè scaturiva non dalla dichiarazione, bensì dalla contestazione inerente all'accertamento stesso. L'agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre la ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 2. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione di norma di legge, in quanto il termine di gg. 30 per la verifica da parte della GdF. deve intendersi perentorio, e quindi i dati raccolti da essa non potevano essere utilizzati per l'avviso di accertamento, pena la nullità del medesimo. Il motivo è infondato. A parte che si tratta anche di questione di fatto, per la quale la CTR riteneva che il termine in argomento non fosse stato affatto superato, tuttavia va osservato che in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso. Nè la nullità di tali atti può ricavarsi dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga eventuale permanenza degli agenti dell'Amministrazione, come nella specie Cfr. anche Cass. Sentenze n. 17002 del 05/10/2012, n. 23595 del 11/11/2011 . Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto. 3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione di norme di legge, giacchè il giudice di appello non poteva ritenere legittimo l'avviso di accertamento, nonostante che con procedimento per adesione C.A. e l'agenzia avessero convenuto per un importo più ridotto. La censura non ha pregio, dal momento che in tema di accertamento con adesione, la presentazione dell'istanza di definizione, così come il protrarsi nel tempo della relativa procedura, non comportano l'inefficacia dell'avviso di accertamento, ma ne sospendono soltanto il termine di impugnazione per 90 giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, quest'ultimo, in assenza di tempestiva impugnazione, diviene definitivo, poichè, a norma del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, artt. 6 e 12, soltanto all'atto del perfezionamento della definizione l'avviso perde efficacia V. pure Cass. Ordinanza n. 3368 del 02/03/2012, n. 28051 del 2009 . Anche su tale punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto. 4. Col terzo motivo la ricorrente lamenta violazione di norma di legge, poichè il giudice di appello semmai doveva attribuire parte del maggior reddito al marito della contribuente, socio al 49% dell'impresa familiare, e quindi per tal verso l'atto impositivo non poteva essere ritenuto legittimo. La doglianza non va condivisa, atteso che in tema di imposte sui redditi, perchè possa essere applicato il regime fiscale dell'impresa familiare, previsto prima dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5, ed attualmente sostituito dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, non basta la mera cogestione da parte dei coniugi di un'azienda - eventualmente rilevante ex art. 177 c.c., per la ripartizione degli utili - ma è indispensabile che ricorrano le condizioni previste dal medesimo art. 5 cit., e cioè la indicazione nominativa dei familiari partecipanti all'attività di impresa quella relativa alle quote attribuite ai sìngoli familiari, nonchè l'attestazione nella dichiarazione annuale di ciascun partecipante di aver lavorato per l'impresa familiare, e ciò prima dell'accertamento stesso, mentre tali presupposti difettano nel caso in esame Cfr. anche Cass. Sentenze n. 23170 del 17/11/2010, n. 13390 del 1992 . D'altronde i familiari collaboratori non sono contitolari dell'impresa familiare, ed i redditi loro imputati sono reddito di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, tanto che - a prescindere dalla natura, subordinata, autonoma o comparata, del detto lavoro - essi sono esclusi dall'ILOR, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1, comma 2, lett. a , come emendato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 42 del 1980 V. pure Cass. Sentenza n. 4714 del 17/04/1992 . Pure su tale questione perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto. 5. Ne deriva che il ricorso va rigettato. 6. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida in Euro 3.000,00 tremila/00 per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.