Sussiste un’incompatibilità piena tra reddito minimo di inserimento ed assegno di mantenimento la variabilità dell’assegno, infatti, mal si concilia con una situazione che deve rimanere potenzialmente durevole nel tempo, in relazione alle previsioni di spesa della pubblica amministrazione deputata all’erogazione del sussidio per il reddito minimo di inserimento.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza numero 12196, depositata il 30 maggio 2014. Quanto costano i figli Quattro madri, separate o divorziate, beneficiarie di assegni di mantenimento per i rispettivi figli, con esse conviventi, godevano altresì del sussidio per reddito minimo di cui al D.lgs. 237/1998. Il sussidio era erogato dal loro Comune di residenza ed era calcolato senza tenere conto dell’assegno di mantenimento versato alle madri, in favore dei figli. Esauriti i primi due gradi di giudizio che assegnavano alle madri sia l’assegno di mantenimento per i figli versato dai padri sia il sussidio per reddito minimo erogato dal Comune di residenza , l’Assessorato al Lavoro regionale ricorreva in Cassazione adducendo l’incompatibilità tra i due sostegni economici o, quantomeno, la necessità che l’assegno di mantenimento fosse considerato ai fini del calcolo della soglia di povertà. Alcuni punti fermi. Ai sensi del D.lgs. 237/1998, l’istituto del reddito minimo di inserimento rappresenta una misura di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, attraverso il sostegno economico alle persone impossibilitate al mantenimento proprio e dei propri figli, per cause psichiche, fisiche e sociali. I soggetti destinatari devono essere privi di reddito o comunque con un reddito non superiore alla soglia di povertà, tenuto conto di qualsiasi emolumento a qualunque titolo percepito e da chiunque erogato. O assegno di mantenimento o sussidio per reddito minimo. Avvalorando il dato letterale dell’articolo 6 D.lgs 237/1998, la Corte di Cassazione determina un’incompatibilità piena ed ontologica tra reddito minimo di inserimento ed assegno di mantenimento. La Corte fa ruotare il proprio ragionamento intorno a due concetti la ratio dell’assegno di mantenimento ed il legame tra il sussidio per il reddito minimo e il bilancio della pubblica amministrazione deputata alla sua erogazione. Da un lato, l’assegno di mantenimento serve ad assicurare al nucleo familiare lo stesso tenore di vita goduto quando il coniuge onerato dal pagamento era inserito stabilmente nel nucleo familiare stesso. In ragione del suo scopo, l’assegno di mantenimento deve essere considerato ai fini del calcolo della soglia di povertà, poiché esso concorre a determinare le disponibilità economiche del nucleo familiare, a seguito della separazione o del divorzio dei coniugi. Dall’altro lato, la variabilità dell’assegno di mantenimento mal si concilia con la stabilità del sussidio per reddito minimo. L’ammontare di quest’ultimo, infatti, è subordinato alle previsioni di spesa della pubblica amministrazione che lo dovrà erogare, previsioni che, a loro volta, sono giustificate dalle esigenze di bilancio ex articolo 81 Cost. In altri termini, la variabilità dell’assegno di mantenimento si contrappone alla potenziale stabilità del sussidio per reddito minimo. Se al mutare delle condizioni economiche della famiglia, l’assegno di mantenimento può variare, una variazione del sussidio per reddito minimo è più difficile da realizzare, poiché il suo ammontare è strettamente legato alle previsioni di spesa della pubblica amministrazione deputata alla sua erogazione. Pertanto, al genitore separato o divorziato, che convive con i propri figli, non resta che scegliere o godere dell’assegno di mantenimento, versato dal coniuge in favore dei figli, o godere del sussidio per reddito minimo di inserimento, erogato dall’ente territoriale competente sempre che sia tra gli aventi diritto . In ogni caso, l’assegno di mantenimento è considerato una voce reddituale necessaria ai fini del calcolo della soglia di povertà e, più in generale, delle condizioni economiche del nucleo familiare.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 30 gennaio - 30 maggio 2014, numero 12196 Presidente Vidiri – Relatore Berrino Svolgimento del processo C.C. , B.G. , D.M.G. e S.C. , in qualità di beneficiane di assegni per il mantenimento dei rispettivi figli con esse conviventi, essendo divorziate le prime tre e legalmente separata la quarta, si erano viste accogliere dal Tribunale di Nicosia la domanda volta all'integrale corresponsione, da parte del Comune di Nicosia, del sussidio loro spettante a titolo di reddito minimo, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo numero 237 del 1998, senza la decurtazione conseguente alla percezione del predetto assegno di mantenimento. Tale sentenza venne impugnata in via principale dall'Assessorato al lavoro della Regione Sicilia ed in via incidentale dalle predette ricorrenti. L'Assessorato dedusse l'incompatibilità tra la corresponsione del reddito minimo e la percezione di qualsiasi emolumento a qualsiasi titolo ricevuto e da chiunque erogato, mentre le beneficiane del reddito minimo chiesero, a parziale riforma della decisione, l'affermazione del loro diritto alla restituzione delle somme ad esse detratte illegittimamente dalla pubblica amministrazione regionale. Con sentenza del 10/6 - 17/7/2009 la Corte d'appello di Caltanisetta ha rigettato l'impugnazione principale ed, in accoglimento di quella incidentale, ha condannato in solido il Comune di Nicosia e l'Assessorato Regionale al Lavoro alla restituzione degli importi, in precedenza recuperati, a decorrere dal gennaio del 2007 e fino alla corresponsione delle differenze dovute alle medesime appellate. Ha osservato la Corte di merito che dalla lettura congiunta della norma del Testo unico delle imposte sui redditi di cui all'articolo 3, comma 3, lett. d del D.P.R. 22.12.1986 numero 917 e della nota numero 1392 del 17.3.2002 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali indirizzata ai Comuni che dovevano corrispondere il reddito minimo d'inserimento si evinceva che tra i redditi che concorrevano alla base imponibile non rientravano gli assegni periodici di mantenimento destinati ai figli, assegni che spettavano dopo il divorzio o la separazione al coniuge col quale convivevano i figli medesimi. Per la cassazione della sentenza propone ricorso l'Assessorato al Lavoro della Regione siciliana con due motivi. Rimangono solo intimati il Comune di Nicosia e le originarie ricorrenti. Motivi della decisione 1. Col primo motivo l'Assessorato al Lavoro siciliano deduce la violazione dell'articolo 1 del R.D. 16.3.1942, numero 262 e dell'articolo 6, comma 2, del D.lgs. 18.6.1998, numero 237 imputando alla Corte d'appello di Caltanisetta di aver dato rilievo, nel pervenire al convincimento della fondatezza della domanda delle controparti, al contenuto della circolare numero 1392 del 17.3.2002 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali avente carattere solo esemplificativo e non dotata di forza di legge. La difesa del ricorrente evidenzia al riguardo che attraverso la suddetta circolare si invitavano i Comuni deputati all'erogazione del reddito minimo di inserimento a tener conto, al momento della verifica della ricorrenza dei requisiti per la corresponsione di tale beneficio, del parere espresso dall'Ufficio legislativo e legale che richiamava, a sua volta, l'attenzione sul fatto di considerare quale parametro di riferimento il reddito ai fini fiscali, con conseguente esclusione dalla base imponibile degli assegni familiari e di maternità che non costituivano redditi ai fini fiscali. 2. Col secondo motivo il ricorrente si duole della violazione dell'articolo 6, comma 2, del D.lgs 18.6.1998, numero 237 assumendo che la decisione impugnata è illegittima per aver applicato al caso concreto la diversa ed inesistente regola per la quale in forza di una circolare dell'amministrazione può essere erogato il reddito minimo d'inserimento non computando nel reddito del percettore l'assegno di mantenimento dei figli a seguito di separazione legale e di divorzio. In definitiva, secondo la tesi dell'Assessorato ricorrente, la Corte d'appello avrebbe dovuto attenersi esclusivamente all'applicazione dell'articolo 6, comma 2, del D.lgs. 18.6.1998 numero 237 in forza del quale, ai fini dell'accesso al reddito minimo di inserimento, l'assegno di mantenimento erogato a causa di separazione legale e divorzio si conta, ai fini della soglia di povertà, tra i redditi percepiti dal soggetto che intende ottenere l'integrazione al reddito minimo. Osserva la Corte che i due motivi possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione essendo unitaria la questione ad essi sottesa. Entrambi i motivi sono fondati. Invero, non può non evidenziarsi che la Corte di merito ha dato rilievo decisivo alla circolare ministeriale che di per sé non assume alcun valore aggiuntivo rispetto a quello che risulta essere oggettivamente rilevante ai fini dell'interpretazione della norma, in quanto la circolare si traduce in una lettura data da un soggetto che rimane estraneo e terzo alle parti in causa e la cui condivisione è condizionata unicamente alla sua fondatezza a livello normativo, posto che la circolare è doverosamente rivolta, per l'organo da cui proviene, all'esercizio di una funzione politico-amministrativa costituzionalmente distinta da quella giudiziaria. Infatti, nel caso di specie la Corte territoriale ha dato rilievo alla circolare per quanto attiene alla regolamentazione fiscale del diritto al conseguimento del reddito minimo di inserimento in una materia in cui la legge che disciplina tale diritto non richiama affatto nel suo contenuto in nessun modo la normativa fiscale. Ebbene, l'articolo 6 del decreto legislativo 18.6.1998, numero 237, dopo aver previsto al primo comma che il reddito minimo di inserimento è destinato alle persone in situazione di difficoltà ed esposte al rischio della marginalità sociale, stabilisce al secondo comma che ai fini dell'accesso allo stesso beneficio i soggetti destinatari debbono essere privi di reddito ovvero con un reddito che, tenuto conto di qualsiasi emolumento a qualunque titolo percepito e da chiunque erogato, non sia superiore alla soglia di povertà stabilita in L. 500.000 mensili per una persona che vive sola. È, altresì, stabilito che in presenza di un nucleo familiare composto da due o più persone tale soglia di reddito è determinata sulla base della scala di equivalenza allegata al presente decreto legislativo. Quindi, com'è dato ben vedere, la norma in esame parla di esclusione di qualsiasi emolumento a qualunque titolo percepito e da chiunque erogato, senza ulteriori previsioni o deroghe, fissando una soglia minima per chi vive da solo ed una anche per chi vive con un nucleo familiare composto di più soggetti. Proprio a quest'ultimo riguardo è significativo il fatto che in presenza di un nucleo familiare composto di più persone sia previsto che la soglia di reddito venga determinata sulla base della scala di equivalenza allegata allo stesso decreto, la qual cosa implica che il legislatore ha, comunque, voluto tener conto dei redditi riconducibili agli altri soggetti del medesimo nucleo familiare nella valutazione del limite massimo oltre il quale il beneficio in esame non è concedibile. Inoltre, l'interpretazione rigida della norma, e quindi non estensiva, viene imposta dalla ratio che anima lo stesso decreto legislativo numero 237 del 1998 che all'articolo 1, nello stabilire l'istituto del reddito minimo di inserimento e dopo aver qualificato come sperimentale la sua introduzione, sancisce che lo stesso rappresenta una misura di contrasto della povertà e dell'esclusione sociale attraverso il sostegno delle condizioni economiche e sociali delle persone esposte al rischio della marginalità sociale ed impossibilitate a provvedere per cause psichiche, fisiche e sociali al mantenimento proprio e dei figli. Ciò induce a ritenere che sussiste una incompatibilità piena ed ontologica tra reddito minimo di inserimento ed assegno di mantenimento, la cui quantificazione comporta che nell'ottica di tutela dei figli si tenga conto della situazione pure della madre al fine di assicurare al nucleo familiare lo stesso tenore di vita in precedenza goduto allorquando nel medesimo nucleo familiare era inserito il coniuge divorziato o legalmente separato. Inoltre, la variabilità dell'assegno di mantenimento mal si concilia con una situazione che deve rimanere potenzialmente durevole nel tempo in relazione alle previsioni di spesa della pubblica amministrazione deputata all'erogazione del reddito minimo di inserimento, previsioni a loro volta giustificate dalle esigenze di bilancio di cui all'articolo 81 della Costituzione. Pertanto, il ricorso va accolto, con conseguente rigetto dell'originaria domanda a suo tempo proposta dalle odierne intimate. Un tale tipo di decisione può essere adottato da questa Corte non essendo necessari, nella fattispecie, ulteriori accertamenti di fatto ai sensi dell'articolo 384, comma 2, c.p.c Motivi di equità dovuti alla particolarità del caso contraddistinto dalla sovrapposizione di una circolare ministeriale emessa nella stessa materia regolata dalla norma in esame inducono questa Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese dell'intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.