In caso di evasione IVA, non può essere disposta la confisca per equivalente, a meno che l'Amministrazione finanziaria non sia in grado di dimostrare che il reato è stato commesso dal legale rappresentante per il tramite di una società fittizia.
Con la sentenza n. 22980 del 28 maggio 2013, la Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, ribadisce un principio già espresso con recenti sentenze precedenti Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 19, comma 2, D.Lgs. 231/2001, nei confronti delle persone giuridiche, non può essere disposto sui beni di qualsiasi natura appartenenti alla persona giuridica nel caso si proceda per le violazioni finanziare commesse dal legale rappresentante della società, sulla base dell’art. 1, comma 143, Legge 244/07, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato D.Lgs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, salva sempre l’ipotesi ove la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, in quanto in tal caso l’illecito non risulta commesso nell’interesse o a vantaggio di una persona giuridica, ma del reo medesimo attraverso lo schermo dell’ente Cass. n. 1256/2013 n. 33371/2012 n. 25774/2012 . Il caso. Il Gip del Tribunale di Brindisi, con decreto del 15 novembre 2012, aveva disposto il sequestro preventivo dei beni disponibili in capo al legale rappresentante e alla società, in seguito ad evasione fiscale IVA. Successivamente, su richiesta di revoca del sequestro, l’istanza era stata rigettata dal Gip e dallo stesso Tribunale di Brindisi con ordinanza del 12 dicembre 2012. La difesa dell’indagato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, in particolare motivandolo sulla base della violazione dell’art. 322 ter del c.p., circa la non applicabilità del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente sui beni di proprietà del legale rappresentante richiamando recenti sentenze della Suprema Corte. Confisca ad ostacoli per la società a r.l La Cassazione accoglie il ricorso rilevando che la società non possa ritenersi terza estranea, in quanto diretta beneficiaria del reato fiscale imputato al suo legale rappresentante. Infatti, nel caso di reati fiscali come quello in esame, il sequestro preventivo a danno del legale rappresentante, può esser disposto esclusivamente nel caso in cui venga dimostrato che il medesimo abbia compiuto l’illecito servendosi di un soggetto economico fittizio, ovvero beneficiando direttamente dei frutti del reato. Pertanto, l’ordinanza viene annullata in attesa che il giudice ad quem verifichi gli atti e fornisca adeguate motivazioni circa la fittizietà della realtà societaria.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 - 28 maggio 2013, n. 22980 Presidente Squassoni Relatore Gazzara Ritenuto in fatto Con decreto del 15/11/2012, il Gip presso il Tribunale di Brindisi disponeva il sequestro dei beni immobili, dei mobili registrati e delle somme di denaro depositate nei conti correnti e/o postali, depositi a risparmio, dossier titoli ed eventuali cassette di sicurezza presso tutti i soggetti operanti su tutto il territorio nazionale nel settore della raccolta, gestione del risparmio e intermediazione finanziaria, nella disponibilità di C.A. e della CO.LMEC. s.r.l., con sede in , contrada omissis e fino alla concorrenza della somma di Euro 508.530,00, in relazione al reato di cui all'art. 10 ter, d.Lvo 74/2000. In data 29/11/2012 il Gip rigettava la richiesta di revoca del sequestro preventivo, avanzata dalla difesa dell'indagato. Il Tribunale di Brindisi, chiamato a pronunciarsi sulla istanza di riesame, proposta dal C. , quale rappresentante legale della CO.LMEC., con ordinanza del 12/12/2012, ha confermato il mantenimento della misura cautelare reale. Ricorre per cassazione avverso detto provvedimento la difesa del C. , con i seguenti motivi - il provvedimento impugnato è da ritenersi inesistente o nullo, in quanto mancante del sigillo dello Stato e recante una attestazione di deposito irrituale - violazione dell'art. 322 ter cod.pen. e non applicabilità del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente sui beni in proprietà alla società CO.LMEC., come affermato dalla più recente e maggioritaria giurisprudenza di legittimità - violazione dell'art. 321 cod.proc.pen. per mancanza del fumus commissi delicti e del periculum in mora, come comprovato dalla documentazione inoltrata in atti, da cui è dato evincersi che l'omesso versamento dell'iva, contestato, non è assolutamente dipeso da una scelta volontaria del legale rappresentante della società, vista la transazione fiscale intercorsa tra l'indagato e l'Agenzia delle Entrate, da cui è scaturito un piano di ammortamento del debito erariale. Considerato in diritto Il ricorso è fondato per quanto di ragione. Osservasi che con un recente ma univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità, è stato affermato il principio secondo il quale il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall'art. 19, co. 2, d.Lvo 231/01, nei confronti delle persone giuridiche, non può essere disposto sui beni di qualsiasi natura appartenenti alla persona giuridica nel caso in cui si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, sulla base dell'art. 1, co. 143, L. 244/07, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato d.Lvo non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l'adozione del provvedimento, salva sempre l'ipotesi ove la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, in quanto in tal caso l'illecito non risulta commesso nell'interesse o a vantaggio di una persona giuridica, ma del reo medesimo attraverso lo schermo dell'ente Cass. n. 1256/2013 Cass. 29/8/2012, n. 33371 Cass. 14/6/2012, n. 25774 . Orbene il Tribunale di Brindisi ha ritenuto che la società non possa considerarsi terza estranea al reato, in quanto, pur non essendo indagata, partecipa alla utilizzazione degli incrementi economici derivati dall'illecito, commesso dal suo legale rappresentante ed il sequestro è finalizzato proprio a rendere possibile il pagamento delle imposte evase con la condotta dell'indagato. È evidente che l'argomentazione, così adottata, si pone in contrasto con il principio, ut supra richiamato, in difetto di un puntuale accertamento circa la fittizietà o meno della struttura societaria, posta dal prevenuto a copertura della violazione tributaria in contestazione. La lacuna rilevata nel discorso giustificativo sviluppato dal decidente, va eliminata, necessitando che il giudicante fornisca esaustivo riscontro sul punto. Conseguentemente, questo Collegio ritiene di dovere annullare l'impugnata ordinanza con rinvio, affinché il giudice ad quem, a seguito di compiuto riesame degli atti, fornisca la dovuta chiarificazione in ordine alla predetta fittizietà della realtà societaria, in difetto della quale non può mantenersi il vincolo imposto sul patrimonio dell'ente. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brindisi.