La recensione negativa di un bar non costituisce reato

L’ironica recensione di un locale pubblico, pubblicata su Facebook dagli avventori insoddisfatti non integra gli estremi della diffamazione perché il gestore di un esercizio pubblico, operando sul mercato, accetta anche il rischio che i propri servizi non siano graditi e vengano, pertanto, criticati.

Lo ha affermato il Tribunale di Pistoia nella sentenza del 16 dicembre 2015. La ribellione degli avventori monta su Facebook. E’ ormai prassi comune affidare alla “rete” – cioè ad Internet – ogni genere di pensiero, considerazione, valutazione. Ognuno dice la sua praticamente su tutto, indipendentemente dal possesso di competenze specifiche ed anzi spesso a prescindere da qualunque competenza di qualsiasi genere esistono, per rispondere a questo irrefrenabile bisogno comunicativo, numerosi supporti informatici dedicati alla raccolta delle opinioni della clientela – oggi va di moda la parola “utenza” - di locali, ristoranti, degli acquirenti dei beni di consumo, eccetera. Su tutti svetta Facebook, il principe regnante dei “social”, che ospita pagine e “gruppi” virtuali di soggetti interessati a questo o quell’argomento. Vi è andata male la serata in discoteca? Non c’è problema quando metterete piede a casa, benché il buon senso suggerisca caldamente di andarsi finalmente a coricare, accenderete il vostro pc e, con dita rancorose, creerete febbrilmente un gruppo nel quale tutti i ballerini insoddisfatti si sbizzarriranno nello scrivere le proprie impressioni negative il dj sembrava prelevato coattivamente da un oratorio di periferia, la musica non era “giusta”, e via di questo passo. In quel locale si mangia una schifezza? Il conto era salato ma le pietanze scipite? State sicuri che in men che non si dica, come un fungo dopo un temporale, spunterà un “gruppo” di avventori indiavolati, che non lesineranno critiche e giudizi trancianti. E’ un po’ quello che è successo nel processo chiuso con la sentenza in commento i titolari di un locale pubblico querelavano l’“amministratore” di un gruppo Facebook, sorto con il precipuo scopo – a quanto si capisce dalla sentenza – di bacchettarne i servizi offerti troppi uomini nel locale evviva la sincerità! , lo spazio è stretto, i drink non piacciono. Sarà diffamazione? Il diritto di critica spetta a tutti. No, dice il Tribunale, non c’è alcun reato nell’esprimere considerazioni ironicamente critiche sulla qualità dei servizi offerti da un locale. Interessantissima la motivazione, su cui vale davvero la pena di soffermarci. Scrive il Giudice che il diritto di critica, costituzionalmente tutelato, «allorchè si eserciti nei confronti di un locale pubblico dilata i suoi confini». Quindi si espande. E ciò perché colui che intraprende un’attività commerciale accetta implicitamente il rischio che la clientela non sia soddisfatta dei suoi servizi e che su di essa esprima, quindi, giudizi poco lusinghieri. Dunque il perno centrale del ragionamento del Tribunale è il riconoscimento di una sorta di ineluttabile affievolimento del diritto a non veder criticate le proprie azioni, o la propria attività, giacchè queste ultime si collocano in un contesto di mercato, del quale il gradimento o il non gradimento è il metro di valutazione, per così dire, obbligatorio del successo commerciale. Proviamo ad andare oltre le parole del Tribunale il bilanciamento del diritto a non veder denigrata la propria attività va operato con il correlativo diritto dei fruitori ad esprimere un giudizio – non intenzionalmente o immotivatamente offensivo – su di essa. La giurisprudenza di legittimità ha sempre “difeso” il diritto di critica. Lo ha storicamente fatto nel contesto dei processi per diffamazione a mezzo stampa, che hanno occasionato frequentemente il sorgere di problematiche del genere. I criteri che consentono di ritenere legittima la critica – dal punto di vista penalistico, una vera e propria scriminante, figlia dell’esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero – sono ormai ben consolidati. Oggettiva esistenza del fatto criticato che non può essere artatamente inventato allo scopo di legittimare l’uso di espressioni offensive , e continenza verbale utilizzo di una forma espositiva non inutilmente aggressiva o infamante legittimano anche giudizi aspri o polemici. Insomma, occorre tenere sempre presente che l’espressione di una critica non deve costituire un’occasione – o un pretesto – per aggredire il prossimo.

Tribunale di Pistoia, sentenza del 16 dicembre 2015 Motivazione contestuale Con decreto di citazione diretta ritualmente notificato in data 5\2\2015 è stato ti-atto a giudizio di questo Tribunale in composizione monocratica in epigrafe generalizzato per rispondere dei reato di cui in epigrafe. All'udienza del 13\5\2015, costituite le parti, queste formulavano le richieste di prova cui venivano ammesse all'odierna udienza venivano esaminate quali testi le persone offese ed il P.M. produceva documentazione consistente negli allegati alla querela presentata dalle persone offese ed in particolare nella stampa relativa al gruppo formatosi sul social network Facebook denominato aboliamo il no bar!!! di cui risulta amministratore l'imputato , si procedeva quindi all'esame del consulente tecnico della Difesa Ing. L.A., al cui esito la difesa produceva la relazione da costui redatta veniva poi dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili tutti gli atti del fascicolo dibattimentale e, all'esito della discussione, le parti così concludevano P.M. dichiararsi la penale responsabilità dell'imputato e condannare lo stesso alla pena della multa di euro 10.000,00 La difesa assoluzione ex articolo 530 perché il fatto non sussiste, ovvero perché l'imputato non l'ha connesso All'esito ritiene il giudicante che le espressioni usate non configurino il reato di diffamazione come contestato, ma siano espressione del diritto di critica, potendosi al più ritenere che esse contengano espressioni ironiche, goliardiche o grottesche, ma non tali da ledere l'onore o il prestigio delle PP.00. Va infatti preliminarmente considerato che tali espressione si riferiscono ad attività svolte in un pubblico esercizio ed in particolare alla qualità scadente dei servizi offerti appare dei tutto evidente che la lamentata preponderante presenza maschile alcuna diffamazione può comportare, mentre la critica alla composizione dei drink e cocktail, riguarda il gusto di un cliente evidentemente insoddisfatto, come pure la ristrettezza del locale. Dunque di non altro si tratta che di una scherzosa ed ironica recensione di un locale pubblico da parte di clienti insoddisfatti espressa con ironia ed espressione del diritto di critica costituzionalmente tutelato, che allorché si eserciti nei confronti di un locale pubblico dilata i suoi confini dal momento che chi si mette sul mercato accetta rischio di critiche qualora i servizi offerti non soddisfino le aspettative di coloro che ne usufruiscono, tanto più quando tali servizi non sono gratuiti. Sul tenia della esimente del diritto di critica posso citarsi a titolo meramente Esemplificativo di una consolidata interpretazione giurisprudenziale i più recenti arresti della Suprema Corte di Cassazione che ha avuto modi di esprimere i seguenti principi Il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l'esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, poiché tali modalità espressive siano proporzionale e funzionali all'opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi. Sez. 1, Sentenza numero 36045 del 13/0612014 Ud. dep. 20/0812014 Rv. 261122 In tema di diffamazione, il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione rrra non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti. Sez. 5, Sentenza numero 31669 del 1410412015 Ud. dep 21107/2015 Rv. 264442 In tenga di delitti contro l'onore, il requisito della continenza non può essere evocato conce strumento oggettivo di selezione degli argomenti sui quali fondare la comunicazione dell'opinione alfine di costituire legittimo esercizio del diritto di critica, selezione che, invece, spetta esclusivamente al titolare di tale diritto, giacché altrimenti il suo contenuto ne risulterebbe svuotato, in spregio del diritto costituzionale di cui all'articolo 21 Cost. Il rispetto del canone della continenza esige, invece, che le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell'informazione, e non si traducano, pertanto, in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticalo. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato. Sez. 5, Sentenza numero 18170 del 09/03/2015 Ud. dep. 3010412015 Rv. 263460 Applicando i suddetti principi alla fattispecie in esame l'imputato va assolto perché il fatto non sussiste. Restano ovviamente assorbite tutte le altre questioni proposte dalla difesa anche a mezzo consulenza tecnica circa la attribuibilità del fatto all'imputato P.Q.M. Visto l'articolo 530 c.p.p. assolve dal reato a lui ascritto perché il facto non sussiste.