Denuncia il furto di assegni in realtà usati per acquistare gioielli: è calunnia

La denuncia di furto di assegni pur non corrispondendo al vero e quindi assumendo i connotati di condotta fraudolenta è conseguente al conseguimento del profitto, dunque non integra il reato di furto solo quello di calunnia.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12604 del 18 marzo 2013. Il caso. Pagava i gioielli con tre assegni bancari postdatati salvo poi denunciare il furto dei titoli bancari. Così una donna veniva condannata per truffa, perché si era procurata un ingiusto profitto tramite previo artificio e per calunnia, perché denunciando falsamente il furto degli assegni bancari sostanzialmente incolpava i prenditori di furto e ricettazione, pur sapendoli innocenti, in quanto lei stessa aveva utilizzato gli assegni come sistema di pagamento della merce acquistata. Niente truffa. La sentenza va però annullata quanto alla contestazione e alla condanna per truffa perché gli artifici e raggiri richiesti dalla norma incriminatrice devono essere compiuti al fine di trarre in errore e così conseguire l’ingiusto profitto. Così non era nel caso in esame dove l’artificio consistente nell’inveridica denuncia di furto era seguito temporalmente all’acquisto che, in sé, no aveva nulla di artificioso o truffaldino. In nessun errore era incorsa la vittima che non si era dunque determinata alla compravendita per una condotta artificiosa dell’autore del reato. Venendo a mancare un elemento costitutivo della norma, il reato non è integrato. Solo calunnia. L’altra incriminazione invece sopravvive perché con la denuncia la donna aveva di fatto incolpato i detentori degli assegni, a nulla rilevando che la stessa non avesse fatto alcuno specifico riferimento a soggetti determinati perché gli innocenti accusati falsamente erano comunque desumibili facilmente dal contenuto del narrato della denuncia sporta dalla donna.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 dicembre 2012 - 18 marzo 2013, n. 12604 Presidente Di Virginio – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. D.T. ricorre per cassazione, tramite il difensore, avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia in data 17-12-10, con la quale è stata confermata,in punto di responsabilità, la sentenza di primo grado emessa, in data 25-2-2010, dal Tribunale di Bergamo, in ordine ai seguenti delitti 1 art. 640 cp perché, quale cliente della srl S.E. 6, con sede in Bergamo, con artifici e raggiri consistiti nel consegnare, in pagamento dell'acquisto di gioielli dalla società anzidetta per un valore di Euro 1450, tre assegni bancari postdatati che venivano dalla stessa, in data 27-7-2008, successivamente alla consegna dei titoli al venditore, denunciati quali oggetto di furto,induceva in errore l'addetto alla vendita, M M. , facendosi consegnare la mercé e procurandosi in tal modo ingiusto profitto, con altrui danno. In Bergamo agli inizi di luglio 2008. 2 Art. 368 cp perché, presentando presso la Stazione Carabinieri di Rovato, una inveridica denuncia di furto degli assegni di cui al capo 1, incolpava i successivi prenditori dei titoli di credito del reato di ricettazione o di furto, pur sapendoli innocenti. In omissis . 2. Il ricorrente deduce, con unico motivo, violazione di legge poiché la condotta di proposizione di denuncia di smarrimento inveridica integra gli estremi del reato di calunnia e non anche del reato di truffa. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato, limitatamente alla doglianza inerente alla configurazione, nel caso in disamina, del reato di truffa. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, l'inveridica denuncia di furto di assegni bancari, in precedenza negoziati, integra il reato di calunnia poiché si attribuisce in tal modo al legittimo portatore l'impossessamento o la ricezione illecita del titolo e dunque il reato di furto o di ricettazione, dovendosi ritenere irrilevante, ai fini della consumazione del reato, la circostanza che, nella denuncia, non sia stato accusato alcun soggetto determinato, allorché il destinatario dell'incolpazione sia implicitamente ma agevolmente individuabile sulla base degli elementi enucleabili dalla denuncia stessa Sez VI, 27-5-2003, n. 37017, rv n. 226793 Sez VI 3-6-2003 n 31758, rv. n. 226305 Sez VI 19-6-2009 n. 35923 n. 245194 . Non è invece ravvisarle il reato di truffa. Nell'ottica del reato di cui all'art. 640 cp, infatti, l'attività fraudolenta deve generare come risultato l'errore della vittima. L'errore, in questa prospettiva, è dunque una falsa rappresentazione di circostanze di fatto capaci di incidere sul processo di formazione della volontà, a cui il soggetto passivo è stato indotto dagli artifici e raggiri posti in essere dall'agente. Ciò che contraddistingue l'errore, nella truffa, è quindi la peculiarità di essere, ad un tempo, causa dell'atto di disposizione patrimoniale della vittima ed effetto degli artifici e raggiri. Questi ultimi devono pertanto necessariamente precedere l'induzione in errore e il conseguimento del'ingiusto profitto mentre, qualora questo sia già stato ottenuto senza induzione in errore della vittima, non valgono ad integrare gli estremi del reato gli artifici posti in essere successivamente Cass. 20-1-1951, Bosis, Rep. Foro it. 1951, voce Truffa, n. 14 . Orbene, risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che gli assegni in disamina vennero consegnati, post-datati, dall'imputata, in pagamento di lavorazioni su alcuni gioielli, ai primi di luglio del 2008, mentre la denuncia di furto venne presentata il 27 luglio del 2008. Dunque la condotta fraudolenta, sostanziatasi nella presentazione della denuncia di furto, è successiva al conseguimento del profitto consistente nella fruizione del servizio di lavorazione dei gioielli e,conseguentemente, non rileva ai fini dell'integrazione degli estremi del reato di truffa. 4. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste, nella parte in cui ha dichiarato la penale responsabilità dell'imputata in ordine al reato di truffa, con eliminazione del relativo aumento di pena, ex art. 81 cpv cp, che,dalla sentenza d'appello, risulta essere stato quantificato in mesi tre di reclusione . Il ricorso è invece infondato laddove viene richiesto un annullamento tout court della sentenza impugnata, la quale, viceversa, è esente da censure nella parte in cui ravvisa, nella fattispecie concreta in disamina, il reato di calunnia. P.Q.M. La Corte annulla senza rinvio, limitatamente al reato di cui all'art. 640 c.p., la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione. rigetta il ricorso nel resto.