Confermato il provvedimento adottato dall’azienda. Evidente la gravità del comportamento tenuto dal dipendente e certificato anche da una agenzia investigativa. Irrilevante il fatto che egli avesse l’abitudine di anticipare l’orario di ingresso in ufficio.
È una pessima abitudine quella di abbandonare momentaneamente l’ufficio, senza registrare la propria uscita, e può costare anche il posto di lavoro. A sperimentarlo sulla propria pelle è stato un dipendente – oramai ex – di Rete Ferroviaria Italiana, inchiodato dai resoconti forniti all’azienda da un’agenzia investigativa. Assolutamente irrilevante, chiariscono i giudici, il fatto che il lavoratore entri solitamente in anticipo in ufficio Cassazione, ordinanza numero 6174/19, sez. VI Civile - L, depositata il 1° marzo . Indagini. Decisivi i risultati della «indagine investigativa» disposta dall’azienda «all’esterno del luogo di lavoro». Così viene appurato che «il dipendente si è ripetutamente allontanato dal posto di lavoro durante l’orario di servizio» in tredici giornate su un periodo di quaranta giorni, «rimanendo assente per diverso tempo – da quindici minuti a più di un’ora – senza timbrare il badge in uscita e facendo così risultare la propria regolare presenza in servizio». Pronta la reazione di ‘Rete Ferroviaria Italiana’, che, a pochi mesi dai fatti contestati, comunica «il licenziamento» al dipendente. Il provvedimento, ovviamente contestato dal lavoratore, è però ritenuto legittimo dai giudici, sia in Tribunale che in Corte d’Appello. In sostanza, vengono respinte le contestazioni sulla correttezza delle «indagini investigative», e, soprattutto, viene evidenziata la gravità del comportamento tenuto dal lavoratore. Su quest’ultimo fronte, in particolare, sottolineano «l’elemento intenzionale legato all’inadempimento dell’attività lavorativa la sistematicità e la circostanza che la condotta è stata riscontrata nel 100 per cento delle occasioni in cui il dipendente era stato sottoposto a controllo». E per chiudere il cerchio viene anche chiarito che «l’illecito si risolveva nell’avere dolosamente creato una situazione apparente» per «indurre in errore il datore di lavoro sulla presenza sul luogo di lavoro». Licenziamento. Identica prospettiva, sempre sfavorevole al lavoratore, adottano anche i giudici della Cassazione, rendendo così definitivo il «licenziamento» deciso dall’azienda. In premessa, viene confermata «la tempestività della contestazione e del licenziamento» – datati rispettivamente 10 e 28 marzo –, soprattutto alla luce del momento in cui – 25 febbraio – il datore di lavoro è venuto a conoscenza dei fatti addebitati al dipendente, a seguito della «trasmissione della relazione della agenzia investigativa». Respinte poi le obiezioni difensive su una presunta sproporzionalità del licenziamento. E a questo proposito viene anche ritenuto irrilevante il richiamo del lavoratore alla «abitudine di anticipare l’orario di ingresso» in ufficio. Tale elemento non può essere decisivo, osservano i Giudici del Palazzaccio, poiché «la disciplina dell’orario di lavoro è rimessa alle determinazioni del datore di lavoro e non alla libera iniziativa del dipendente».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile L, ordinanza 20 novembre 2018 – 1 marzo 2019, numero 6174 Presidente Curzio – Relatore Spena Rilevato che con sentenza del 26 gennaio 30 marzo 2017 numero 184 la Corte d'Appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede e per l'effetto respingeva la domanda proposta da SE. SC. nei confronti di RETE FERROVIARIA ITALIANA in prosieguo RFI s.p.a. per la impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli in data 28.3.2008 che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che all'esito di indagine investigativa disposta da RFI all'esterno del luogo di lavoro veniva contestato al lavoratore di essersi ripetutamente allontanato dal posto di lavoro durante l'orario di servizio in tredici giornate comprese tra il 17 settembre 2007 il 26 ottobre 2007 , rimanendo assente per diverso tempo da 15 minuti a più di un'ora senza timbrare il badge in uscita e facendo così risultare la regolare presenza in servizio. Era infondato il motivo di gravame relativo all'illegittimità delle indagini investigative, in quanto gli articoli 2,3 e 4 della legge 300/1970 riguardavano il controllo sull'adempimento dell'obbligazione lavorativa e non anche sui comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale non erano vietati i cosiddetti «controlli difensivi», intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa, eseguibili anche mediante agenzie investigative private. Sussisteva il requisito dell'immediatezza della azione disciplinare. Nella fattispecie di causa, a fronte della relazione investigativa ricevuta dalla società in data 25 febbraio 2008, effettuato il riscontro con i dati dei fogli e tabulati di presenza, la contestazione era stata formulata in data 7 marzo 2008 e comunicata al lavoratore in data 10 marzo 2008. Tale intervallo, oltre a rispettare i termini previsti dal contratto collettivo, era proporzionato al tempo occorrente per il raffronto tra gli esiti investigativi ed i sistemi meccanizzati di rilevazione delle presenze. Nella condotta di RFI non poteva ravvisarsi alcuna violazione dell'articolo 1375 cod.civ., attesa la complessità della struttura organizzativa dell'impresa ed il fatto che il monitoraggio era stato effettuato a campione nel complessivo periodo settembre 2007 gennaio 2008 sicché RFI non era conoscenza nell'ottobre 2007 dei fatti relativi al lavoratore SC Quanto alla proporzionalità del licenziamento, andavano condivise le valutazioni del primo giudice. La condotta integrava la nozione di giusta causa di recesso, considerato l'elemento intenzionale legato all'inadempimento dell'attività lavorativa, la sistematicità e la circostanza che la condotta fosse stata riscontrata nel 100% delle occasioni in cui lo SC. era stato sottoposto a controllo. L' illecito si risolveva nell'avere dolosamente creato una situazione apparente al fine di indurre in errore il datore di lavoro sulla presenza sul luogo di lavoro. che avverso la sentenza ha proposto ricorso SE. SC., articolato in quattro motivi, cui ha resistito con controricorso RFI S.p.A. che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'udienza ai sensi dell'articolo 380 bis cod.proc.civ. che le parti hanno depositato memorie Considerato che la parte ricorrente ha dedotto con il primo motivo ai sensi dell'articolo 360 numero 3 codice di procedura civile violazione e falsa applicazione dell'articolo 2119 codice civile, dell'articolo 7 della legge 300/1970, dell'articolo 132, comma due, numero 4 codice di procedura civile e dell'articolo 118 disp. att. cod.proc.civ., dell'articolo 111 Costituzione, censurando la statuizione di tempestività della azione disciplinare. Ha dedotto che la sentenza aveva formulato tale giudizio sulla base di parametri diversi da quelli indicati da questa Corte, consistenti nella complessità della struttura organizzativa dell'impresa ovvero nella complessità dell'indagine. Nella fattispecie di causa le indagini erano semplici e si erano concluse alla data del 26 ottobre 2007, ultimo giorno di pedinamento la stessa Corte territoriale accertava che tra il deposito della relazione degli investigatori, il 25 febbraio 2008, e la contestazione disciplinare, del 10 marzo successivo, era intercorso un breve periodo di tempo, circostanza che escludeva qualsiasi incidenza della complessità dell'organizzazione dell'impresa. La motivazione era dunque illogica trattandosi di infrazioni di immediata conoscibilità, non poteva essere giustificato un ritardo nella contestazione oscillante tra i 4 ed i 6 mesi rispetto ai singoli episodi contestati. con il secondo motivo-ai sensi dell'articolo 360 numero 3 codice di procedura civile violazione e falsa applicazione dell'articolo 1375 codice civile, sempre in merito al profilo della ritenuta tempestività della contestazione disciplinare con il terzo motivo ai sensi dell'articolo 360 numero 3 codice di procedura civile violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 cod.proc.civ., in relazione alla pronuncia di proporzionalità tra l'addebito ed il licenziamento. Il ricorrente ha assunto l'omesso esame del fatto decisivo, emesso dall'istruttoria svolta, che egli, pur essendosi allontanato dal posto di lavoro nelle tredici giornate oggetto di addebito per periodi di tempo oscillanti da 10 minuti ed un'ora, giungeva in ufficio almeno 15 20 minuti prima dei colleghi, avendo le chiavi e ben prima di registrare l'orario di ingresso con il badge, attivo solo dalle ore 7.45 con il quarto motivo ai sensi dell'articolo 360 numero 3 codice di procedura civile violazione e falsa applicazione degli articoli 2,3,4 della legge 300/1970 degli articoli 132, comma due, codice di procedura civile e 118 disp. att.codice di procedura civile, per avere la corte territoriale affermato la legittimità dei controlli investigativi richiamando pronunce di questa Corte che vertevano su fattispecie totalmente differenti da quella in contestazione. Ha esposto di essere stato pedinato dopo l'uscita dal luogo di lavoro dall'ufficio fino all'abitazione e viceversa o fino al bar laddove la indagine avrebbe dovuto limitarsi a registrare i suoi movimenti di entrata e di uscita dall'ufficio. Non vi era la prova che egli si fosse reso responsabile di fatti illeciti nell'esercizio delle mansioni fuori dei locali aziendali o che avesse prestato la sua opera in favore di aziende concorrenti o che avesse svolto alcuna attività illecita. L'unico illecito era costituito dall'abbandono del posto di lavoro e soltanto questo era il comportamento da verificare nella specie era mancato l'unico controllo possibile, quello dei dirigenti, che non si sarebbero accorti delle sue assenze. che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso che invero i primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la stretta connessione, relativi alla statuizione di tempestività della contestazione disciplinare, sono infondati. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte qui condivisa la tempestività della contestazione deve essere valutata partendo dal momento dell'avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dell'astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi Cassazione civile, sez. lav., 19/05/2016, numero 10356 numero 26304/14 nr. 25070/2013 20823/2013 numero 23739/2008, numero 21546/2007 . La tempestività della contestazione e del licenziamento poi, la cui «ratio» riflette l'esigenza di osservanza della regola di buona fede e correttezza nell'attuazione dei rapporto di lavoro, devono essere intesi in senso relativo, potendo essere compatibili, in relazione al caso concreto e alla complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, con un intervallo di tempo necessario per l'accertamento e la valutazione dei fatti contestati, così come per la valutazione delle giustificazioni fornite dal dipendente ex plurimis Cass. Sez. lav. 14.5.2015 nr. 9903 4.2.2015 nr. 20121 23.1.2015 nr. 1247 11.9.2013 nr. 20823 10.9.2013 nr. 20719 . In sostanza, il datore di lavoro deve procedere alla formale contestazione dei fatti addebitabili al lavoratore dipendente non appena ne venga a conoscenza e appaiano ragionevolmente sussistenti. La Corte di merito non si è discostata da tali principi, poiché ha affermato che il datore di lavoro era venuto a conoscenza dei fatti addebitati al lavoratore soltanto in data 25 febbraio 2008, a seguito della trasmissione della relazione della agenzia investigativa incaricata. In relazione a tale accertamento di fatto, ha correttamente ritenuto tempestiva la contestazione del 10 marzo 2008 giacché lo spazio temprale così delimitato appare congruo a contemperare, da un lato, la esigenza di una adeguata ponderazione dei fatti, nell'interesse dello stesso lavoratore, dall'altro quella di consentire al lavoratore una adeguata difesa. L'accertamento da parte del giudice del merito del momento storico in cui il datore di lavoro acquisisce la conoscenza del fatto disciplinare è invece un accertamento di fatto, sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio della motivazione. il terzo motivo, con cui si assume la mancanza di proporzionalità del licenziamento, benché qualificato in termini di errore di diritto allega, nella sostanza, l'omesso esame di un fatto storico la sua abitudine di anticipare l'orario di ingresso che appare ictu oculi non decisivo giacché la disciplina dell'orario di lavoro è rimessa alle determinazioni datoriali e non alla libera iniziativa del dipendente. Peraltro la deducibilità del vizio della motivazione, dovendo in tali termini qualificarsi la censura, nella fattispecie di causa è in radice preclusa dalla disposizione dell'articolo 348 ter, commi 4 e 5 cod.proc.civ., per il giudizio conforme reso nei due gradi di merito in punto di proporzionalità del licenziamento in ordine al quarto motivo, la sentenza ha correttamente applicato il principio , reiteratamente enunciato da questa Corte ex aliis, Cass civ sez. lav. 4 aprile 2018 nr. 8373 10.11.2017 nr. 26682 02.05.2017 nr. 10636 , che va ulteriormente ribadito, secondo cui i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l'adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli articolo 2 e 3 st.lav. Nella fattispecie di causa il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa bensì la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge .Neppure sussiste la lamentata violazione della privacy del dipendente, seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause dell'allontanamento . che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio, ex articolo 375 cod.proc.civ. che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi dell'articolo 1 co 17 L. 228/2012 che ha aggiunto il comma 1 quater all'articolo 13 D.P.R. 115/2002 della sussistenza dell'obbligo di versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 co. 1 quater del D.P.R. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.