Condannato il contribuente che dichiarava al Fisco una falsa identità per ottenere un rimborso indebito

La configurabilità del delitto di truffa non dipende dall’identicità del soggetto passivo del raggiro con il soggetto passivo del danno. Inoltre il reato sussiste anche in difetto di contatti diretti tra il truffatore e il truffato sempre che vi sia «un nesso di causalità tra raggiri o artifizi posti in esse per indurre in errore il terzo, il profitto tratto dal truffatore e il danno patrimoniale patito dal truffato».

Lo ha ribadito la Suprema Corte con sentenza numero 39958/18, depositata il 5 settembre. La vicenda. Nella sentenza in commento la Cassazione si è espressa sul ricorso promosso dall’imputato avverso la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello in relazione ad una pluralità di reato unificati sotto il vincolo della continuazione. Nel merito i reati contestati derivano dalla condotta posta in essere dall’imputato il quale aveva tentato una truffa mediante l’esibizione di documenti falsi a personale dell’Agenzia delle Entrate attribuendosi una falsa identità al fine di ottenere il rimborso indebito perché spettante ad un altro soggetto. In particolare nel ricorso per cassazione il ricorrente sostiene davanti al Supremo Collegio la carenza della condizione di procedibilità per il delitto di truffa articolo 640 c.p. , evidenziando che la persona offesa avrebbe dovuto essere individuata non nell’ente pubblico in questione ma nel reale destinatario del rimborso e, da qui, la procedibilità della truffa semplice a querela di parte, nella specie mai presentata. Truffa anche in difetto di contatti diretti tra truffatore e truffato. La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, sul presupposto che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, «il delitto di truffa è configurabile anche quando il soggetto passivo del raggiro è diverso dal soggetto passivo del danno ed in difetto di contatti diretti tra il truffatore e il truffato, sempre che sussista un nesso di causalità tra i raggiri o artifizi posti in essere per indurre in errore il terzo, il profitto tratto dal truffatore ed il danno patrimoniale patito dal truffato». Tanto premesso nella specie non vi è dubbio sul fatto che con il pagamento del rimborso in favore del soggetto apparentemente titolare del diritto di credito, l’Agenzia delle Entrate non si sarebbe liberata dell’obbligo di rimborso nel confronti del reale legittimato creditore, conseguentemente l’ente pubblico, anche se in astratto, ha subito un danno dalla condotta posta in essere dall’agente. In conclusione il ricorso è rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 luglio – 5 settembre 2018, numero 39958 Presidente Diotallevi – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza in data 09/02/2017, la Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia resa in primo grado dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Livorno in data 21/04/2016 che aveva condannato F.V. alla pena di anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 600,00 di multa per i reati di cui agli articolo 497 bis, commi 1 e 2, 61 numero 2 cod. penumero capo A , 477, 482, 61 numero 2 cod. penumero capo B , 648 cod. penumero capo C , 56, 640, commi 1 e 2 numero 1 cod. penumero capo D unificati sotto il vincolo della continuazione. 2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di F.V. , viene proposto ricorso per cassazione per lamentare, quale motivo unico, mancanza di motivazione in ordine al motivo nuovo di appello presentato dalla difesa concernente la carenza della condizione di procedibilità del delitto di cui al capo D di imputazione. Si evidenzia al riguardo che, essendo stato il tentativo perpetrato mediante l’esibizione di documenti falsi a personale dell’Agenzia delle Entrate ed essendosi attribuito il F. una falsa identità al fine di conseguire un rimborso indebito in quanto spettante ad altro soggetto, la persona offesa doveva essere individuata nel reale destinatario del rimborso e non nell’ente pubblico in questione da qui la procedibilità del delitto truffa semplice a querela di parte, nella specie mai presentata. 3. Il ricorso è infondato e, come tale, inaccoglibile. 4. Per prevalente giurisprudenza di legittimità cfr., Sez. 2, numero 43143 del 17/07/2013, Saracino, Rv. 257495 , il delitto di truffa è configurabile anche quando il soggetto passivo del raggiro è diverso dal soggetto passivo del danno ed in difetto di contatti diretti tra il truffatore e il truffato, sempre che sussista un nesso di causalità tra i raggiri o artifizi posti in essere per indurre in errore il terzo, il profitto tratto dal truffatore ed il danno patrimoniale patito dal truffato. Ciò premesso, non vi può essere dubbio sull’evidenza del fatto che, con il pagamento da parte dell’ufficio postale a favore del soggetto presentatosi come apparente titolare del diritto di credito, l’Agenzia delle Entrate non si sarebbe certo liberata dal proprio obbligo di rimborso a favore del suo vero creditore V.C. ne consegue che l’ente pubblico è indubitabilmente soggetto che, in astratto, ha subito il danno dalla condotta posta in essere dall’agente, con conseguente corretta configurabilità dell’aggravante ritenuta. 5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Sentenza a motivazione semplificata.