Qual è il tuo stile?

Giurisprudenza e altre scienze umane si contendono – più di un Pamphlet lo propone – il primato nell’insegnare a parlare, scrivere, argomentare. Piaccia o no, nel diritto si va verso una cura dello stile che diventa epicentro del fare diritto, non solo a livello legislativo.

Topoi. Siamo abituati a leggere di cura stilistica in ambito letterario, prevalentemente poetico, ma forse non è che un luogo comune. Di certo l’attenzione per quello che si dice e si scrive ha a che fare con l’esprimersi ed il comunicare nella società, e la società vive di tante dimensioni il come sopravanza spesso il cosa, nel bene e nel male. Arte e tecnica, secondo un binomio ricorrente e collaudato, mettono in tensione lo stesso tema, con le sue criticità, a volte distinte, a volte comuni. Nel campo giuridico, lo stile non è solo una questione di retorica gli argomenti vanno porti in modo ordinato e rigoroso, enfasi o no. Non meraviglia, pertanto, che si giunga persino alla regolazione del modo di scrivere diritto regole come norme, prassi, consuetudini . Le gerarchie, in definitiva, contano poco certo, se l’indicazione sul da farsi e il buon esempio nel farlo venissero dal legislatore sarebbe cosa ottima, ma il bene vale spesso più del meglio. Messi da parte gli slanci dell’arte – quando si scrive di arte del diritto Carnelutti docet , in fin dei conti, si avvia un’utile diversione – lo stile permea anche la storia umana più “tecnica”, quella che non ha a che fare semplicemente con l’esprimersi ed il comunicare. La funzione di una corretta tecnica linguistica è incontestabile le regole scritte nel tempo, ne cives ad arma ruant, non si possono affrancare – non dovrebbero – da connotati essenziali chiarezza, intesa come formulazione limpida ma anche come intellegibilità diffusa, plasticamente adattabile a contesti e società in perenne evoluzione sinteticità, etichetta di messaggi concisi e compatibili con letture non dispendiose anzitutto in termini di tempo correttezza formale, dulcis in fundo, per una buona qualità che giova sempre, tanto alla comprensione possibile, quanto alla comprensione rapida. V’è che non si può dare sintesi senza un’adeguata analisi, e questo lo sa bene l’operatore del diritto prima di scrivere un buon paragrafo di un atto non diversamente da una sentenza o da uno scritto di dottrina occorre andare a fondo, perché è necessario che ogni parola viva di una sintesi attenta, spesso difficoltosa, quanto meno per il lungo percorso da compiere. Tutto deve procedere con sincronia, scoprire e ricoprire, svelare e nascondere, per arrivare ad esprimere l’essenziale. Qualità, non quantità. L’alternativa è davvero misera penso poco, leggo poco, scrivo poco con explicit inevitabile scrivo male. Qualità, non quantità. Il processo civile – i grandi penalisti insegnano di avviarsi alla professione cimentandosi con gli atti civili – misura lo stile. Lo fa in modo sempre più esplicito, impiegando norme efficaci, al meno utili, come quelle sulla correttezza sostanziale e processuale. Al bando la confusione sul piano sostanziale, in forza degli articolo 1175, 1337 e 1375 c.c. e non solo , chi pasticcia in giudizio ne paga le conseguenze ex articolo 96 c.p.c Storie di parti, avvocati e giudici. La contrattualistica non può fare a meno del candore di un linguaggio accessibile in ogni sua sfumatura, a pena di un difetto di trasparenza che talvolta sfocia in contestazioni totalizzanti. Si può chiedere la caducazione di un atto scritto in modo incomprensibile senza nemmeno scomodare l’articolo 1418 c.c. . Salendo sul ring del processo, il predicato della temerarietà, che è disprezzo delle regole, nelle sue letture aggiornate eleva lo stile a “regola del gioco”. Come si diceva, del resto, approcciare un testo senza impedimenti alla lettura, evitare una faticosa esegesi testuale, avvantaggiarsi su tempi di comprensione contenuti, sono obiettivi accessibili come dire, il minimo sindacale. Se poi volessimo guardare più in alto, anche senza puntare al cielo stellato di Kant, potremmo fare della nostra identità di giuristi una “questione di stile”. Il percorso applicativo dell’articolo 96 c.p.c. dimostra che la nobiltà della professione forense è esigibile, che le conseguenze del suo tradimento sono concrete. Al cliente resta la facoltà di scegliere un professionista “di stile” all’avvocato impegnarsi ad esserlo, al meno perché, ormai, di lite temeraria risponde anche chi siede dall’altra parte della scrivania.