Non si negano a nessuno. Nondimeno, un saluto e un gesto di ospitalità al bar, gesti di cortesia, sono copie sbiadite di un impegno indeclinabile a consegnare qualcosa di dovuto, che non discende da norme di buon comportamento, o quanto meno non solo da esse i documenti bancari. Dura lex, sed lex.
Il paradigma normativo. Ricorre la consuetudine di avanzare richieste di documenti alle banche, soprattutto oggi, a seguito dell’inasprirsi di rapporti spesso datati. Prima faccia della medaglia clienti feriti da bug del sistema cercano giustizia, talvolta vendetta. Le acque si fanno decisamente torbide ogni qualvolta si strumentalizzano posizioni di diritto o di potere e si punta alle banche come diligenze di facile assalto di cecchini spregiudicati ce ne sono sempre più. Al contempo, il cliché dell’arroganza del ceto bancario non è immotivato. Tutto comincia, spesso, con un’istanza all’istituto gli si chiedono contratti, estratti, atti di varia natura che consentano l’esame approfondito di rapporti in essere, talvolta anche conclusi. Lo prevede il Testo Unico Bancario articolo 119 d.lgs. numero 385/1993 , con chiarezza pari alla normativa in materia di privacy articolo 7 d.lgs. numero 196/2003 – c.d. codice della Privacy . Le differenze in ordine alla tempistica della consegna non hanno rilievo in punto di metodo ciò che conta è che spesso la consegna non avviene. Indipendentemente da valutazioni in termini di causa-effetto, le banche/bersaglio aprono spesso il fuoco, al pari dei cecchini che le tengono sotto tiro. Seconda faccia della medaglia l’ostensione dei documenti è un dovere serio, importante, e le “normine” – si sa – sono fatte anche per regolare i fenomeni riportandoli a una logica di sistema i paradigmi assiologici sono di immediata percezione trasparenza e correttezza invero le categorie della buona fede, della diligenza, etc., non sono meno pregnanti . Vero è che – il gioco del domino è metafora di tante dinamiche – parlare di trasparenza e correttezza ratione materiae non può significare omettere la lettura di altre non meno importanti indicazioni del diritto positivo, che seguono quelle già indicate, e stanno con esse “cadono” come le tessere del domino . La materia è quella contrattuale. Mi limito a indicare riferimenti più immediati ed agevoli, appunto, in tema di correttezza gli articolo 1175, 1337, 1375, tutti del codice civile. Nessun’eccezione possono dunque opporre una banca e un intermediario finanziario richiesti di documenti relativi ai rapporti con il proprio cliente. Il diritto all’ostensione non può patire limitazioni quel che non entra dalla porta entra di certo dalla finestra, sempre che di porta si possa parlare con riferimento a norme di settore normativa bancaria e sulla privacy che non hanno priorità alcuna su regole generali. Il paradigma costituzionale. Del resto, l’articolo 2 della Carta Fondamentale – aggiungo a mia responsabilità – è in buona compagnia l’articolo 3 e l’articolo 24 della Costituzione non “stanno a guardare”. La banca, soggetto forte in rapporti giuridici diffusissimi, non può venir meno al dovere di solidarietà imposto dall’articolo 2 Cost. ed essa incombe un’attenzione specifica a non onerare il cliente di impegni e prestazioni irragionevolmente sproporzionati rispetto a quello che essa banca fornisce. Ne va del rispetto che ognuno deve avere per l’altro e del rispetto che deve meritare dall’altro. Tutto in chiarezza. Nessuno strumento di difesa ma anche di attacco è efficace quanto la trasparenza qualcuno giungerebbe a parlare di verità. Così come la parità e la piena legittimazione all’esercizio dei propri diritti secondo il combinato degli articolo 3 e 24 Cost. si alimentano dal pieno confronto e dall’apertura alla dialettica. Di più sarebbe interessantissimo, ma è incompatibile con questi brevi spunti. Contendere l’ovvio. La fenomenologia disattende gli aulici auspici tracciati, per celebrare l’ennesimo tradimento del diritto. Sulla baita di Heidi, accanto al nonno e alle pecorelle, c’è uno stuolo di banchieri desiderosi di dimostrare la propria professionalità a partire dalla chiarezza adamantina del proprio operato. In realtà, fornire alla clientela tutto il necessario per continuare a fidarsi, o per iniziare a farlo, è anche un’operazione di marketing, oserei dire, minimale. Se il medico prescrive una cura occultando l’esame che lo ha determinato all’indicazione terapeutica non rende facile l’assunzione delle medicine la volta successiva, probabilmente, la scelta cadrà su un professionista che si comporti in modo più limpido. Parimenti, l’occultamento di documenti, il diniego a richieste sulla propria situazione, anche se talvolta più “intrusive” del mero estratto conto, può insinuare sospetto e diffidenza. Non vale l’exceptio inadimpleti contractus – funziona pressappoco così se non ti comporti bene non ti consegno i documenti – nemmeno qualora il cliente percorra sinistre dinamiche elusive dei propri doveri. Certo, l’ordine nei documenti – il paradosso non può mistificare la realtà – è spesso traguardo più lontano dell’ordine nei conti, e non credo vi possa essere dubbio che in questa logica il secondo sia bene primario, senza il quale la documentazione non avrebbe utilità alcuna, ammesso che possa esservi un ordine documentale senza un ordine contabile. Per altro verso, però, la trasparenza e la correttezza non hanno un ruolo servente di altri beni giuridici, e si pongono sempre più come regole indeclinabili di una convivenza pacifica, beni finali. Ad ogni modo, se le liti tra i clienti e le banche vertessero su problemi di altro tipo saremmo in condizioni di ritenere più elevato il tasso di civiltà del nostro sistema economico/bancario, che ha di certo bisogno di riaccreditarsi presso la collettività dopo essere stato vittima e/o carnefice in episodi di perdurante attualità. Una bella gita alla baita di Heidi resta la soluzione più efficace, ma non la più praticabile.