Condanna definitiva per l’uomo, ritenuto colpevole di maltrattamenti, lesioni e minacce in danno della consorte. Respinta la tesi difensiva, secondo cui l’uomo ha agito nella convinzione di tenere un comportamento lecito. Confermato anche il suo obbligo di risarcire la donna.
Il basso livello culturale del marito non può certo giustificare le ferite fisiche e morali inferte alla moglie. Non discutibile, quindi, la condanna dell’uomo Cassazione, sentenza numero 9517/21, sez. Vi Penale, depositata il 10 marzo . Ricostruita la triste vicenda, i Giudici di merito condannano l’uomo, ritenendolo colpevole di « maltrattamenti, lesioni e minacce in danno della moglie», e lo obbligano anche provvedere al «risarcimento dei danni» in favore della donna, costituitasi parte civile. Secondo il difensore dell’uomo, però, va tenuto presente il «rapporto di accesa conflittualità e tensione» esistente tra i coniugi e dovuto, in sostanza, «alla continua presenza di congiunti della moglie» e «al rapporto teso tra lei e la madre del marito». Il legale sostiene poi non siano emersi «un comportamento di prevaricazione del marito e uno stato di soggezione della moglie», e aggiunge che va anche messo in discussione il dolo, poiché il suo cliente «si è dichiarato convinto di essere in regola e di non aver mai tenuto un comportamento antigiuridico». In sostanza, «l’uomo è incorso in errore scusabile, non avendo consapevolezza delle condotte tenute in buonafede», sostiene ancora il legale. Per i Giudici della Cassazione, però, sono decisive «le dichiarazioni della donna, riscontrate da quelle di una testimone e dalle annotazioni di servizio redatte dalle forze dell’ordine in occasione di alcuni interventi presso la casa della coppia e, infine, dal referto medico attestante le lesioni subite dalla donna durante l’ultima aggressione» che si colloca «al culmine di una serie di episodi di violenza, verbale e fisica, mortificanti ed avvilenti nonché di minacce gravi anche con uso di armi , rivoltele dal marito anche in presenza dei figli, traumatizzati dal clima di costante aggressività imperante» tra le mura domestiche. Inequivocabile, poi, lo stato di prostrazione della donna a fronte delle continue «ingiurie e minacce» da parte del marito. Impossibile, infine, spiegano i Giudici, accogliere la tesi difensiva mirata a vedere riconosciuto un errore scusabile alla base delle condotte tenute dall’uomo. Su questo fronte i magistrati sono netti non vi è alcuno spazio per ipotizzare «l’inconsapevolezza dell’uomo di ledere l’integrità fisica e morale della moglie e di ferirne la dignità di donna e di moglie con le continue umiliazioni, volgarità e minacce rivoltele». E a nulla può rilevare, aggiungono i magistrati, il modesto livello culturale dell’uomo o «la convivenza con sua madre» connesse tensioni con la moglie.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 gennaio – 10 marzo 2021, numero 9517 Presidente Costanzo – Relatore Criscuolo Ritenuto in fatto 1. Il difensore di Del Vi. Ma. propone ricorso avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Napoli ha confermato quella emessa dal Tribunale di Napoli Nord, che aveva dichiarato l'imputato colpevole dei reati riuniti di maltrattamenti, lesioni e minacce in danno della moglie e, con le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Ne chiede l'annullamento per i seguenti motivi 1.1 nullità dell'udienza preliminare del 28 giugno 2016 e nullità della relativa notificazione all'imputato nonché nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio, effettuata presso il domicilio presuntivamente eletto ovvero presso il difensore, benché in data 14 ottobre 2015 l'imputato avesse dichiarato domicilio presso la sua abitazione in omissis 1.2 mancanza e illogicità della motivazione per non avere la Corte di appello tenuto conto delle gravi contraddizioni in cui è incorsa la parte civile e del rapporto di accesa conflittualità e tensione esistente, dovuta alla continua presenza di congiunti della moglie e al rapporto teso tra suocera e nuora inoltre, la Corte non ha considerato che dall'istruttoria dibattimentale non è emerso un comportamento di prevaricazione dell'imputato e di soggezione della moglie. E' mancata un'indagine sul soggetto passivo e l'analisi sulla sussistenza del dolo alla luce di quanto dichiarato dall'imputato, convinto di essere in regola e di non aver mai tenuto un comportamento antigiuridico. Si sostiene che l'imputato era incorso in errore scusabile, non avendo consapevolezza delle condotte tenute in buona fede, frapponendosi in più occasioni tra la moglie e la madre per evitare il peggio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza dei motivi, meramente reiterativi di censure formulate in appello, disattese in sentenza con motivazione congrua ed esaustiva con la quale il ricorso non si confronta. 2. Destituita di fondamento è l'eccezione di nullità della notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, dell'udienza e della notificazione della citazione a giudizio perché non eseguite presso il domicilio eletto dall'imputato bensì presso il difensore. L'esame degli atti, cui questa Corte ha accesso in ragione della natura processuale dell'eccezione, conferma la correttezza della risposta fornita dal giudice di appello in base all'indicazione contenuta nel verbale della prima udienza dibattimentale del 22 settembre 2016, nel quale si attesta che il P.m. riferisce che l'imputato era presente all'udienza preliminare del 28 giugno 2016 , senza che il difensore obiettasse alcunché. Peraltro, a differenza di quanto dedotto nel ricorso, la notificazione presso il difensore di fiducia non fu eseguita per errore ovvero perché si ritenne erroneamente che l'imputato avesse eletto domicilio presso il difensore, bensì correttamente ai sensi dell'articolo 161, comma 4, cod. proc. penumero a seguito dell'impossibilità di eseguire la notificazione presso il domicilio dichiarato dall'imputato, accertata dall'ufficiale giudiziario il 27 luglio 2016 per trasferimento in altro luogo, come riferito dalla moglie. 3. Generico e manifestamente infondato è anche il secondo motivo con il quale si contesta in modo aspecifico l'attendibilità della persona offesa, il cui narrato si reputa contraddittorio, senza tuttavia, evidenziare specifiche incongruenze o incoerenze in grado di inficiare la conforme valutazione dei giudici di merito sulla linearità e precisione delle dichiarazioni della denunciante, riscontrate da quelle della testimone, dalle annotazioni di servizio redatte in occasione degli interventi presso l'abitazione della coppia e dal referto medico, attestante le lesioni subite dalla donna durante l'ultima aggressione, che si colloca al culmine di una serie di episodi di violenza, verbale e fisica, mortificanti ed avvilenti nonché di minacce gravi anche con uso di armi, effettivamente possedute , rivoltele anche in presenza dei figli, traumatizzati dal clima di costante aggressività imperante. A fronte della coerenza e dello stato di prostrazione della persona offesa, confermato dalla testimone e da quanto verificato dagli operanti anche in occasione dell'episodio del settembre 2015, quando l'imputato continuava ad ingiuriare e minacciare la moglie in loro presenza, risultano del tutto generiche le censure difensive circa la mancata valutazione dell'attendibilità della persona offesa e delle testimonianze a discarico, invece, analizzate dal primo giudice, che ne ha giustificato la scarsa rilevanza p. 9 sentenza di primo grado . Del tutto infondata è la tesi difensiva, già disattesa in sentenza, della sussistenza dell'errore scusabile, idoneo ad escludere il dolo, non essendovi spazio per ipotizzare l'inconsapevolezza dell'imputato di ledere l'integrità fisica e morale della moglie e di ferirne la dignità di donna e di moglie con le continue umiliazioni, volgarità e minacce rivoltele, a nulla rilevando il modesto livello culturale del ricorrente o la convivenza con la madre del ricorrente né potendo ascriversi alle tensioni tra le due donne la sua necessità di intervenire, trattandosi di una inconsistente prospettazione alternativa. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.