La tormentata storia delle tabelle per il risarcimento del danno alla persona: finalmente verso l’epilogo?

La complessa questione della misurazione in termini risarcitori del danno non patrimoniale alla persona rappresenta uno dei più dibattuti capitoli della responsabilità civile. E non certo da oggi. Se ne parla in realtà da più di trent’anni, ovvero da quando è stato intrapreso il lungo percorso verso la meta di una piena tutela risarcitoria della persona. Un persona ‘nuova’, a tutto tondo.

La tabella «guastafeste». Dopo un periodo di relativa ‘bonaccia’, la maldestra sortita del nostro legislatore estivo ci riferiamo alla tabella per il risarcimento dei danni rca di non lieve entità compresi tra 10 e 100%, pubblicata lo scorso 3 agosto è riuscita a ripotare lo spettro del caos nel già accalorato dibattito sul risarcimento del danno alla persona. Conosciamo le reazioni anatemi della dottrina, indignate mozioni parlamentari, bocciature del Consiglio di Stato etc. Davvero non se ne sentiva il bisogno. La buriana scoppiata con le celebri decisioni della Cassazione a Sezioni Unite del novembre 2008 nnumero 26972/3/4/5 sembrava tutto sommato ormai vicina a placarsi. Rimaneva ancora - è vero - un discreto strascico di distinguo dottrinali e scaramucce applicative danno esistenziale sì/danno esistenziale no-danno morale sì/danno morale no e così via questioni sul tappeto ce n’erano e ce ne sono insomma ancora tante. Sennonché, bizantinismi a parte, le tabelle milanesi sembravano essere riuscite nel miracolo di mettere d’accordo un po’ tutti, quanto meno sul versante dei parametri monetari ‘base’. E in effetti l’autorevolezza del lavoro delle toghe ambrosiane, adottato in via spontanea da molti tribunali della penisola, conquistava alla fine anche la Suprema Corte che, con un noto arresto del giugno di quest’anno numero 12408/11 , consacrava le tabelle lombarde a criterio nazionale uniforme. Sembrava dunque a portata di mano il miraggio di quell’uniformità liquidativa inseguita per tanti anni. Ed è invece a questo punto che, come una nota stonata, arriva l’impresentabile tabella di agosto. E’ ancora troppo presto per azzardare previsioni e domandarsi se, archiviata senza molti rimpianti la vituperata tabella ministeriale, quelle milanesi verranno una buona volta promosse a standard nazionale. La vicenda è ancora aperta a ogni possibile sviluppo. L’impressione è però che, la soluzione possa essere a portata di mano e che un parte della lunga storia del risarcimento del danno alla persona sia ormai prossima a un primo punto di arrivo. La strada è stata molto lunga e poiché, come recita il noto adagio, conoscere il passato aiuta a capire meglio il presente, vediamo brevemente come si è arrivati fin qui. Un po’ di storia. La complessa questione della misurazione in termini risarcitori del danno non patrimoniale alla persona, vale a dire di un pregiudizio che sfugge per l’appunto ad una logica di carattere economico/patrimoniale, è uno dei più dibattuti capitoli della responsabilità civile. E non certo da oggi. Se ne parla in realtà da più di trent’anni, ovvero da quando è stato intrapreso il lungo percorso verso la meta di una piena tutela risarcitoria della persona. Un persona ‘nuova’, a tutto tondo, finalmente affrancata dall’asfittica prospettiva economicistica tradizionale, appiattita sulla sola dimensione reddituale. Tutto è partito dall’autonomo riconoscimento di un diritto alla salute e dal quesito di come rendere in termini economici equivalenti il risarcimento di un bene - come appunto la salute – che economico non è. Analogo travaglio si è poi proposto anche per le ulteriori componenti di danno non patrimoniale danno esistenziale, danno alla vita di relazione etc. connesse alla lesione di ulteriori aspetti della sfera personale, e quindi non patrimoniale, dell’individuo, via via scoperti dalla successiva rielaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Dal criterio equitativo alle tabelle. Le soluzioni adottate hanno fatto riferimento in una prima fase a criteri meramente equitativi, per poi approdare a soluzioni organizzate intorno a schemi monetari unitari e precostituiti di riferimento i progenitori delle nostre ‘tabelle’. La censura mossa al primo metodo è stata quella di dare la stura ad una miriade di soluzioni differenziate, schiudendo uno scenario di assoluta disparità ed incertezza. Per lo stesso identico danno ed anche in presenza delle medesime condizioni di contorno, due giudici diversi potevano risarcire somme macroscopicamente difformi, ponendo le basi di un’intollerabile anarchia liquidativa e, soprattutto di una sostanziale ingiustizia. Si è dunque poco per volta abbandonato il sistema equitativo puro, assumendo invece parametri fissi preesistenti il reddito nazionale, secondo il c.d. metodo ‘genovese’ , poi temperati da correttivi che ne consentissero una maggiore flessibilità ed aderenza al caso concreto il c.d. metodo ‘pisano’ del calcolo a punto di danno biologico, di seguito integrato da ulteriori correzioni equitative . E’ stato infine quest’ultimo criterio a prevalere nel corso dei primi anni ‘90, sponsorizzato anche da successivi interventi della Consulta e della Cassazione. Lo stesso sistema non è stato però adottato - come ci si sarebbe attesi - a livello nazionale, ma è stato recepito localmente, a macchia di leopardo, con sfumature, presupposti metodologici e anche contenuti economici talora sensibilmente diversi, da un ampio numero di corti italiane, ciascuna dotata della propria ‘tabella del danno biologico’ la ‘tabella milanese’, la tabella ‘romana’ etc. . In sostanza riproducendo nuovamente - questa volta su base geografica - le sperequazioni dell’era equitativa e inducendo degenerazioni quali il fenomeno del c.d. forum shopping promuovo la causa nella sede giudiziaria con le tabelle più favorevoli . Il progressivo affermarsi delle «tabelle milanesi». L’esigenza di una maggiore uniformità, se pur non definitivamente risolta tranne che con riguardo a ‘mercati’ liquidativi di settore ove è intervenuto il Legislatore con una regolamentazione uniforme , sembrava peraltro negli anni essersi in parte attenuata grazie all’imporsi di taluni criteri locali maggiormente conosciuti e perfezionati. In questo solco il ruolo di punta poco per volta assunto dalla tabella milanese si è ulteriormente accentuato a seguito del profondo ripensamento del danno non patrimoniale seguito ai già citati arresti a Sezioni Unite del 2008. Il Tribunale di Milano, perfezionando il proprio modello, ha infatti adottato a metà del 2009 una nuova tabella che, a fronte di un valore a punto, variabile in funzione dell’età del leso e della gravità della lesione, lascia ampio spazio, pur mediante un metodo prestabilito, a correttivi personalizzanti di individualizzazione. Salvando cioè, ad un tempo, contrapposte esigenze di individualizzazione e controspinte all’unitarietà del danno. Restano, come abbiamo accennato, ancora aperte numerose querelle applicative, ma l’edificio nel complesso regge. E anche piuttosto bene. Non è del resto un caso che il lavoro dei giudici meneghini, siamo ormai ai giorni nostri, sia stato premiato dalla Cassazione che ha, nella sostanza, legalizzato le tabelle milanesi, consegnando alle corti di merito di tutt’Italia uno strumento realmente equo e efficace. Il traguardo, forse, di quella agognata uniformità liquidativa che, si auspica, venga presto messo al riparo mediante conversione in DPR? da nuove, improvvide uscite del legislatore.