Rissa negli spogliatoi, è trance agonistica? No, semplice violenza: legittimo il ‘Daspo’ per il calciatore

Secondo pronunziamento su una singolare vicenda la rissa con gli avversari, a fine partita, pagata con lo stop forzato da un calciatore. Anche in questo caso il provvedimento del Gip, sulla stessa linea del Questore, viene confermato come legittimo evidente il tenore di pericolosità emerso dalle condotte tenute dall’atleta.

Eccessiva trance agonistica? È una scusa che può reggere nelle discussioni del lunedì tra tifosi al bar, o, volendo essere buoni, in un dibattito televisivo post partita, ma certo non in un’aula di giustizia. Perché i comportamenti poco ortodossi – per usare un eufemismo – tenuti da un calciatore, una volta chiusi i 90 minuti di gioco, e caratterizzati da una evidente aggressività, legittimano l’applicazione del cosiddetto ‘Daspo’, e quindi il ‘blocco’ della carriera, seppur per un periodo di tempo limitato Cassazione, sent. numero 43826/2012, Quarta Sezione Penale, depositata oggi . Linea dura. A esser passate ai ‘raggi X’ sono le gesta ‘non sportive’ di un difensore di una squadra di calcio siciliana a chiusura di un match abbastanza teso, e ritenute tanto gravi da legittimare addirittura il ricorso – deciso dal Questore e convalidato dal Giudice delle indagini preliminari – all’«obbligo di presentazione negli uffici di polizia in tempi adeguati per evitare la consumazione di reati contro l’ordine pubblico in occasione di determinati eventi sportivi». Linea durissima, quindi, ma messa in discussione, una prima volta, dai giudici della Cassazione. Eppure, posto nuovamente di fronte alla vicenda, il Gip conferma la legittimità del provvedimento del Questore, proprio tenendo presente i fatti contestati, ossia, più precisamente, un diverbio tra i giocatori delle due formazioni al rientro negli spogliatoi, con il difensore, ora sotto accusa, protagonista di uno ‘sfortunato’ lancio di un parastinco, capace di centrare in pieno un poliziotto. Troppa aggressività. E ora, per la seconda volta, ai giudici della Cassazione viene riproposta la stessa questione a proporre ricorso è sempre il calciatore, contestando, come ovvio, la legittimità e la fondatezza del provvedimento adottato nei suoi confronti, facendo riferimento ai nodi della «pericolosità del soggetto», delle «proporzionalità e congruità della misura di prevenzione» e del requisito della «urgenza». Senza dimenticare, poi, il fatto che tale stop forzato impedisce all’atleta di «giocare per la sua squadra e conseguire i guadagni derivati dal gioco» che ne costituiscono l’«unica fonte di reddito». Ma nessuno degli appunti mossi trova accoglimento in Cassazione. Per i giudici, difatti, nessun dubbio è possibile, alla luce della vicenda così come ricostruita dal Gip, sulla «pericolosità» del calciatore, capace di tenere condotte per nulla «casuali» ma, piuttosto, «volute e connotate da specifica aggressività che si propone e si reitera in scenari collettivi, abbiano essi come comprimari dei poliziotti o dei presunti accompagnatori della squadra avversaria». Questo il fil rouge che tiene insieme le azioni compiute dall’atleta, partendo dalla partecipazione alla «rissa» scoppiata a partita conclusa, e che permette di ritenerlo «pericoloso» e, quindi, da tenere lontano dalle manifestazioni sportive, a cominciare dagli appuntamenti agonistici della propria squadra.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 1° febbraio – 12 novembre 2012, numero 43826 Presidente Marzano – Relatore Zecca Ritenuto in fatto La Corte di cassazione con sua sentenza deliberata all’udienza camerale del 5/5/2009 ha annullato, con rinvio al Tribunale di Catania, l’ordinanza rese dal Gip di Catania a convalida del decreto emesso dal Questore della città ai sensi dell’articolo 6 co. 2 l. 401/1989 nei confronti di S.P. per imporre a costui, giocatore di calcio tesserato per la squadra dell’Adrano, l’obbligo di presentazione negli uffici di polizia in tempi adeguati ad evitare la consumazione di reati contro l’ordine pubblico in occasione di determinati eventi sportivi. L’annullamento è stato motivato con l’avere, l’ordinanza impugnata limitato le sue valutazioni al tema della pericolosità del soggetto senza avere speso alcuna considerazione in ordine alle ragioni di necessità e urgenza dell’adozione del provvedimento, alla attribuibilità al proposto delle condotte addebitate e alla riconducibilità d’esse alle ipotesi previste dall’articolo 65 l. 401/89 , nonché alla congruità della durata della applicazione della misura. Il provvedimento impugnato non avrebbe neppure motivato in ordine al carattere intenzionale della condotta addebitata lancio di un parastinco contro un poliziotto negli spogliatoi e sulla possibilità di turbativa dell’ordine pubblico. Il Gip di Catania, pronunziando in sede di rinvio, ha nuovamente convalidato il provvedimento reso dal Questore di Catania in data 19/9/2008. Il S. ha proposto ricorso per cassazione contro il provvedimento reso in sede di rinvio e ha denunziato 1 violazione dell’articolo 606 co. 1 lett. b cpp., in relazione all’articolo 6 L. 401/89 e succ. mod. insussistenza dei presupposti legali oggettivi stabiliti dall’articolo 6 L. 401/89 inosservanza dei principi affermati nella sentenza di annullamento con rinvio 2 violazione dell’articolo 606 co. 1 lett. b cpp., in relazione all’articolo 6 L. 401/89 e succ. mod. per carenza di motivazione in ordine alla pericolosità del soggetto 3 violazione dell’articolo 606 co. 1 lett. b cpp., in relazione all’articolo 6 L. 401/89 e succ. mod. per carenza di motivazione in ordine alla proporzionalità e alla congruità della misura di prevenzione 4 violazione dell’articolo 606 co. 1 lett. b cpp., in relazione all’articolo 6 L. 401/89 e succ. mod., per carenza di motivazione in ordine al requisito della urgenza e della necessità violazione che finisce con l’impedire al giocatore di giocare per la sua squadra e di conseguire i guadagni derivati dal gioco che costituiscono l’unica fonte di reddito dei giovane S. All’udienza camerale del giorno 1/2/2012 il ricorso è stato deciso dopo il compèimento degli incombenti stabiliti dal codice di rito. Considerato in diritto I quattro motivi di ricorso addebitano al provvedimento impugnato di non aver dato osservanza alcuna alle precise indicazioni fornite dalla sentenza di annullamento. Tuttavia, per motivare le censure proposte, il ricorso si avvale di una complessa premessa in fatto, secondo la quale al rientro delle squadre negli spogliatoi ebbe a sorgere tra i giocatori delle due formazioni un diverbio alla fine del quale accadde che un parastinco colpì accidentalmente uno degli intervenuti, il quale, in seguito, fu identificato come poliziotto. Il poliziotto non era in divisa, vestiva una maglia del colore che caratterizzava la divisa degli accompagnatori della squadra ospite, si trovava negli spazi riservati agli accompagnatori della squadra ospite, aveva spintonato un compagno di squadra del S. Il ricorso prosegue col ricordare che nella specie era stato ritenuto che il S. fosse il soggetto che aveva effettuato il malcapitato lancio del parastinco così nel testo del ricorso La misura dei vizi denunziati deve essere correttamente operata con riguardo alle indicazioni della sentenza di annullamento e alla denunzia di scostamento da quelle indicazioni come corretto parametro di applicazione della legge e di descrizione dei contenuti necessari della motivazione applicativa della legge. E’ invece certamente da escludere che la misura di correttezza della decisione impugnata possa derivare da una prospettazione in fatto diversa da quella logicamente e compiutamente fatta propria dalla ordinanza del Gip o che possa derivare dalle congetture formulate in crescendo dalla premessa del ricorso. Diversamente da quanto afferma il ricorso pg. 5 il provvedimento impugnato non ha affatto ritenuto che il ricorrente abbia tenuto condotte violente innanzi alle forze di polizia ma ha espressamente sottolineato che il ricorrente ebbe a tenere condotte qualificabili come reato contro gli agenti presenti resistenza e lesioni personali prendendo parte attiva all’episodio di violenza che aveva richiesto l’intervento della polizia. I quattro motivi di ricorso sono infondati e devono essere rigettati. La ordinanza impugnata correttamente elenca in apertura di motivazione tutte le indicazioni fornite dal giudice di legittimità così dimostrando di avere preso buona cognizione di esse. Il provvedimento motiva in ordine alla pericolosità del S. evidenziando una successione di condotte che proprio per la loro sequenza e per la loro qualità così come ricostruite dal Gip non sono affatto casuali come invece vorrebbe l’irragionevole accumulo di casualità prospettato dal ricorso ma precisamente volute e connotate da specifica aggressività che si propone e si reitera in scenari collettivi abbiano essi come comprimari dei poliziotti o dei presunti accompagnatori della squadra antagonista. La reiterazione delle condotte manifestiate nella rissa scoppiata all’esito di una manifestazione sportiva, nel lancio di oggetto contundente, nel ferimento di un soggetto che è estraneo alle dinamiche di ingiusto antagonismo fra le compagini di gioco, nella irriducibilità dell’aggressione che non si arrestava se non in forza del suo pieno compimento, sono tutte volutamente catalogate e rappresentate dal provvedimento impugnato nella precisa ottica di offrire motivazione in ordine alla riconducibilità delle condotte al S. come loro autore certo, e in ordine alla piena inscrivibilità ha significativo riscontro nel testo della norma l’espressione “prendeva parte attiva all’episodio di violenza” utilizzata dall’ordinanza impugnata delle condotte addebitate nella previsione dell’articolo 6 L. 13/12/1989 numero 401. Le ragioni di necessità e urgenza sono esplicitamente motivate con riferimento alla necessità di inibire al S. tesserato della squadra dell’Adrano, ma ritenuto pericoloso la partecipazione alle manifestazioni sportive di prossima sopravvenienza. Infine si rinviene nel provvedimento impugnato, diversamente da quanto asserisce il ricorso, anche la motivata affermazione congruità della entità della misura valutata in relazione “alle condotte violente accertate”. Il ricorso è totalmente infondato e deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.