Esemplare il caso di un cittadino senegalese nel Paese di provenienza gli atti sessuali sono sanzionati con la reclusione. Per i giudici, che ribaltano la prospettiva delineata in Appello, è evidente la persecuzione subita, che evidenzia l’azzeramento del diritto a vivere liberamente la propria vita sessuale ed affettiva.
Omosessualità vietata, Codice Penale alla mano, in patria? Allora è assolutamente legittima la richiesta, avanzata in Italia dal cittadino straniero, per ottenere lo status di rifugiato. Perché la sanzione, prevista normativamente, per gli atti omosessuali costituisce una palese violazione di un diritto fondamentale, quello a vivere liberamente la propria vita sessuale ed affettiva Cassazione, ordinanza numero 15981, sezione sesta civile, depositata oggi . Situazione individuale Completamente diversa, praticamente opposta, invece, l’ottica di ragionamento adottata dai giudici, sia in primo che in secondo grado, ottica che aveva, in entrambi i casi, portato a rigettare la richiesta presentata dall’immigrato – un cittadino senegalese –, richiesta fondata sulla rivendicazione della propria omosessualità e sull’affermazione della impossibilità di «vivere liberamente tale condizione nel proprio Paese di origine – che punisce come reato l’omosessualità – anche a causa dell’ostilità dell’ambiente familiare e sociale». Ma la circostanza per cui l’omosessualità «è considerata un reato, dall’ordinamento giuridico del Senegal», secondo i giudici, è «irrilevante» per il «riconoscimento della protezione» è più giusto parlare di «situazione individuale di perseguitato». Difatti, viene ritenuto, piuttosto, che l’uomo «sia stato maltrattato dai propri familiari, i quali non accettavano che egli fosse omosessuale». problema collettivo. Durissima, però, è l’opposizione mossa dall’uomo alla pronuncia emessa in Appello. Tranchant le critiche proposte nel ricorso in Cassazione, e che evidenziano alcune tare nelle valutazioni compiute in secondo grado. Più precisamente, viene puntato l’indice sul mancato approfondimento della «situazione legislativa e sociale» del Paese di provenienza dell’immigrato, e, soprattutto, sulla mancata considerazione che la repressione penale della omosessualità «comporta necessariamente l’impedimento, a tutti i cittadini omosessuali, di vivere liberamente la propria vita», dando così vita all’azzeramento di un diritto fondamentale. Ebbene, proprio l’ultimo appunto, mosso dall’uomo, quello relativo alla violazione di un diritto fondamentale, viene accolto in toto dai giudici della Cassazione, i quali smentiscono, in maniera netta, la linea di pensiero delle pronunce di primo e di secondo grado. Nessun dubbio, in premessa, sul fatto che il Codice Penale del Senegal punisca – con la prigione! – gli atti omosessuali. Alla luce di questo dato di fatto, è evidente, per i giudici, una «condizione generale di privazione del diritto fondamentale di vivere liberamente la propria vita sessuale ed affettiva», soprattutto tenendo presente che una «lotta radicale contro una minoranza» può essere attuata «anche sul piano giuridico, con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione». Di conseguenza, è lapalissiana la «grave ingerenza» compiuta «nella vita privata dei cittadini senegalesi omosessuali», ingerenza che «compromette la loro libertà personale». Da questo quadro è logico dedurre la «violazione di un diritto fondamentale» e la difficile «condizione» delle persone omosessuali in Senegal oggettiva, per i giudici, la «persecuzione», tanto da «giustificare la concessione della protezione». Ecco perché, quindi, il ricorso dell’uomo viene accolto, e la questione viene riaffidata alla Corte d’Appello i giudici di secondo grado, però, dovranno tenere conto delle indicazioni date dalla Cassazione, non solo acclarando la «condizione di omosessualità» dell’immigrato ma anche, anzi soprattutto, accertando «quale sia l’attuale situazione legislativa e la condizione degli omosessuali nella società senegalese».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 29 maggio – 20 settembre 2012, numero 15981 Presidente Salmè – Relatore Bisogni Rilevato che 1. Con ricorso del 15 aprile 2010 T.C.T., cittadino senegalese, ha chiesto al Tribunale di Trieste il riconoscimento dello status di rifugiato politico o, in subordine, la, concessione della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno. Ha affermato di essere omosessuale e di non poter vivere liberamente tale condizione nel proprio paese di origine - che punisce come reato l’omosessualità - anche a causa dell’ostilità dell’ambiente familiare e sociale 2. Il Tribunale di Trieste con sentenza del 25 ottobre 2010 - 9 febbraio 2011 ha respinto il ricorso e la Corte di appello di Trieste ha respinto il reclamo avverso la sentenza di primo grado. 3. Nella motivazione della sentenza la Corte di appello ha affermato che la circostanza per cui l’omosessualità è considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Senegal è irrilevante ai fini del riconoscimento della protezione perché non è possibile “inferire la situazione individuale di perseguitato da quella generale di un paese Cass. civ. 26822/2007 ”. Ha affermato inoltre la Corte territoriale che quand’anche risultasse provata l’omosessualità del ricorrente non potrebbe comunque ritenersi, sulla base delle circostanze riferite nel ricorso, che egli sia stato oggetto di specifici e concreti atti di violenza e minacce ad opera delle autorità della Stato del Senegal tali da costringerlo ad allontanarsi dal suo paese. Né potrebbe ritenersi - secondo la sentenza impugnata che simili atti persecutori siano stati perpetrati da gruppi di potere che trovino legittimazione da parte dello Stato o siano comunque in grado di influenzarne la condotta sul piano dell’ordine pubblico e della sicurezza. Secondo la Corte, quello che, in base alle deduzioni del ricorrente, può ritenersi è “che lo stesso sia stato maltrattato dai propri familiari i quali non accettavano che egli fosse omosessuale” ma ciò non è sicuramente sufficiente, a giudizio della Corte di appello, per la concessione della protezione richiesta 4. Ricorre per cassazione T.C.T. con due motivi di impugnazione con i quali deduce violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 3 del decreto legislativo numero 251 del 19 novembre 2007 e dell’articolo 8 del decreto legislativo numero 25 del 28 gennaio 2008 articolo 360, numero 3 c.p.c. e omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa fatti e/o questioni controverse e decisive ai fini del giudizio articolo 360, numero 5 c.p.c. . Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver valutato adeguatamente le prove richieste che avrebbero condotto a confermare gli assunti del ricorrente e per non aver attivato i poteri officiosi necessari a una adeguata conoscenza della situazione legislativa e sociale del paese di provenienza del ricorrente, con ciò violando il criterio direttivo della legislazione comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale. Con il secondo motivo il ricorrente rileva che la Corte di appello ha errato nel ritenere, con un argomento palesemente e insanabilmente illogico, non desumibile la condizione individuale di perseguitato dalla condizione generale del paese di provenienza, dato che la repressione penale della omosessualità comporta necessariamente l’impedimento a tutti i cittadini omosessuali di vivere liberamente la propria vita sessuale e affettiva e quindi integra la privazione di un diritto fondamentale Ritenuto che 5. Entrambi i motivi di ricorso sano fondati. Quanto al secondo, che appare logicamente pregiudiziale all’esame del primo, va riconosciuto, contrariamente a quanto ha fatto la Corte di appello, che la sanzione penale degli atti omosessuali di cui all’articolo 319 del codice penale senegalese costituisce di per sé una condizione generale di privazione del diritto fondamentale di vivere liberamente la propria vita sessuale ed affettiva. Sul punto questa Corte si è già espressa con la sentenza numero 16417/2007, pronunciata su analoga richiesta di protezione internazionale di un cittadino senegalese, laddove si è chiarita che per persecuzione deve intendersi una forma di lotta radicale contro una minoranza che può anche essere attuata sul piano giuridico e specificamente con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione. Dispone la citata disposizione del codice penale senegalese che “Sans préjudice des peines plus graves prévues par les a1inéas qui précédent ou par les articles 320 et 321 du présent Code, sera puni d’un emprisonnement d’un à cinq ans et d’une amende de 100.000 a 1.500.000 francs, quiconque aura commis un acte impudique ou contre nature avec un individu de son sexe. Si l’acte a été commis avec un mineur de 21 ans, le maximum de la peine sera toujours prononcé”. Per conseguenza le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del Senegal e a esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità. Ciò costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini senegalesi omosessuali che compromette grandemente la loro libertà personale. Tale violazione di un diritto fondamentale, sancito dalla nostra Costituzione, dalla C.E.D.U. e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, vincolante in questa materia, si riflette, automaticamente, sulla condizione individuale delle persone omosessuali ponendole in una situazione oggettiva di persecuzione tale da giustificare la concessione della protezione richiesta 6. Quanto al secondo motivo deve rilevarsi che la Corte di appello ha espresso un convincimento sulla reale condizione di omosessualità del ricorrente non basato su un compiuto svolgimento della istruttoria, dato che questi aveva chiesto di provare, attraverso la deposizione del suo compagno, di essere omosessuale, al fine di escludere qualsiasi strumentalità o abusività della sua richiesta di protezione internazionale. La Corte di appello ha però ritenuto irrilevante tale prova in conseguenza dell’erronea valutazione delle conseguenze della sanzione penale contenuta nel codice senegalese. Inoltre la Corte di appello ha ignorato completamente la situazione sociale del paese, per ciò che concerne l’omofobia e i gravi atti discriminatori e persecutori contro gli omosessuali denunciati dai mezzi di informazione e da siti istituzionali e di organizzazioni non governative 7. Il ricorso va pertanto accolto e la causa rimessa alla Corte di appello di Trieste perché acquisisca le prove necessarie al fine di acclarare o meno la condizione di omosessualità del ricorrente e di accertare quale sia l’attuale situazione legislativa e la condizione degli omosessuali nella società senegalese, nel rispetto del criterio direttivo della legislazione comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale Cass. civ. S.U. numero 27310 del 17 novembre 2008 P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione.