Ribaltata completamente l’ottica adottata dal Giudice di pace. Assolutamente privo di rilevanza il matrimonio celebrato secondo il rito ‘rom’. Viene meno così la causa di esclusione dell’espulsione ipotizzata dallo straniero.
Matrimonio, convivenza e, soprattutto, figlio in arrivo questi gli appigli utilizzati dall’uomo – un cittadino bosniaco – per evitare l’espulsione dall’Italia. Tutto regolare, quindi. A meno che l’unione celebrata tra uomo e donna non sia assolutamente ‘sconosciuta’ all’ordinamento statuale, come, ad esempio, il matrimonio rom Cassazione, ord. numero 22305/2013, Sezione Sesta Civile, depositata oggi Nessun vincolo. A dir la verità, il quadro tracciato dall’uomo, ossia l’«essere convivente con una connazionale» e l’«essere» con questa coniugato, secondo «rito rom» – senza trascurare, poi, lo «stato di gravidanza» della donna –, viene ritenuto plausibile dal Giudice di pace, e tale da legittimare l’annullamento dell’«espulsione» decretata dal Prefetto. Ma tale ottica ‘buonista’ viene fatta a pezzi dai giudici della Cassazione, i quali, in premessa, ricordano che «la causa di esclusione della espulsione», ossia «sussistenza di un rapporto di coniugio, e di convivenza, dell’espellendo con una donna in stato di gravidanza», può operare solo a patto che «tale rapporto trovi riconoscimento nell’ordinamento giuridico». Ebbene, è evidente, secondo i giudici della Cassazione, l’«errore» commesso nell’attribuire «rilevanza giuridica nello Stato italiano al matrimonio rom», rilevanza che, invece, non è ipotizzabile in alcun «ordinamento statuale», né «come matrimonio» né «come unione di fatto». Assolutamente nullo, quindi, il valore attribuibile al matrimonio celebrato secondo il rito ‘rom’. Per questo motivo, i giudici della Cassazione, chiudendo definitivamente la questione, confermano la legittimità del provvedimento di espulsione emesso dal Prefetto nei confronti del cittadino bosniaco.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 2 luglio – 27 settembre 2013, numero 22305 Presidente Di Palma – Relatore Macioce Rileva Il Collegio che il relatore designato nella relazione depositata ex articolo 380 bis c.p.comma ha ricostruito la vicenda nel senso di cui appresso. li cittadino della Bosnia Erzegovina R.S. venne espulso dal Prefetto di Milano con decreto 6.4.2012 adottato ex articolo 13 comma 2 lett. 5 del d.lgs. 286/1998 perché inottemperante ad intimazione di allontanamento adottata il 23.3.2006. L’espulso si oppose innanzi al Giudice di Pace di Milano deducendo di essere convivente dal 2006 con una connazionale, di essere con la stessa coniugato secondo rito ROM, di vertere nella condizione di cui all’articolo 19 comma 2 lett. D del d.lgs. 286/1998 posto che la medesima era in stato di gravidanza. Il Giudice di Pace di Milano, con decreto 19.6.2012 ha annullato l’espulsione sul rilievo della applicazione anche alla specie del detto articolo 19 comma 2 lett. C, essendo la convivenza more uxorio equiparabile a coniugio e pertanto conferente al padre del nascituro una protezione assimilata a quella della madre in forza della sentenza della Corte Costituzionale 376/2000. Avverso tale decreto ha proposto ricorso l’Amministrazione con atto regolarmente notificato il 29.10.2012 nella quale si denunzia la violazione di legge commessa. Nessuna difesa è stata svolta dall’intimato. Il relatore ha proposto accogliersi il ricorso. Osserva Il ricorso, in piena condivisione di quanto opinato nella relazione, devesi ritenere certamente fondato, avendo il decreto impugnato 1 da un canto mostrato nessuna comprensione della sentenza della Corte Costituzionale 376/2000 che ha esteso la protezione de qua dalla madre al marito convivente e nessuna cognizione della successiva pronunzia 192/2006 che ha respinto ogni dubbio di illegittimità sulla mancata estensione di detta protezione al mero convivente della donna in gravidanza o della puerpera 2 dall’altro canto affatto ignorato che questa Corte ha affermato Cass. 5220/2006 ed antea Cass. 3622/2004 vd quindi Cass. 6441/2009 , in accordo con la ricordata sentenza di reiezione di dubbi di legittimità costituzionale 192/2006 della C.C., che la causa di esclusione della espulsione prevista dall’articolo 19, secondo comma, lett. d , del d.lgs. numero 286 del 1998, nella formulazione risultante dalla predetta sentenza della Corte costituzionale, consistente nella sussistenza di un rapporto di coniugio, e di convivenza, dell’espellendo con una donna in stato di gravidanza, opera a condizione che tale rapporto trovi riconoscimento nell’ordinamento giuridico dello Stato di appartenenza dello straniero, ponendosi una diversa interpretazione, irragionevolmente estensiva della previsione, in contrasto con l’interesse nazionale al controllo dell’immigrazione. Di qui l’errore commesso nel riconnettere apodittica rilevanza giuridica nello Stato italiano al preteso matrimonio ROM, del quale, come rettamente notato dalla ricorrente Amministrazione, non è detto potersi predicare la rilevanza in questo o quell’ordinamento statuale né come matrimonio né tampoco come unione di fatto regolata dall’ordinamento di appartenenza comune o di celebrazione dello stesso. La piena sussistenza delle denunziate violazioni di legge impone quindi, accogliendosi il ricorso, di cassare il decreto impugnato e, non residuando più margini di valutazione o necessità di accertamenti, di pronunziare nel merito ai sensi dell’articolo 384 c.p.c. Si pronunzia pertanto il rigetto della opposizione del S. alla espulsione adottata a suo carico e si regolano secondo soccombenza le spese del grado. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo ex articolo 384 c.p.c., rigetta la opposizione di R.S. alla espulsione del 6-4-2012, condannando esso ricorrente alle spese in favore dell’Amministrazione ricorrente per € 1.300 di compensi e per le spese prenotate a debito.