Invalidità permanente, finito il rapporto di lavoro la liquidazione del capitale non è scontata

L’evento assicurato non è l’invalidità dell’assicurato in sé, ma solo quella che incide sulla prosecuzione del rapporto di lavoro. In assenza di tale nesso di causalità, l’assicurazione non è tenuta al pagamento.

Lo ha stabilito la Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza numero 17618/12. Il caso. Una dipendente della società Assitalia, colpita da un grave forma di depressione che le impediva di svolgere regolarmente il suo lavoro, diveniva beneficiaria dell’assegno di invalidità erogato dall’Inps. La donna, inoltre, risolveva consensualmente il rapporto di lavoro ottenendo una somma aggiuntiva rispetto al Tfr tuttavia, la sua richiesta rivolta alla cassa di previdenza di liquidazione del capitale per invalidità permanente non aveva esito positivo. La domanda proposta quindi in giudizio era finalizzata proprio all’accertamento del suo diritto all’indennizzo in parola, dovuto dall’ente previdenziale e dalla compagnia assicurativa. Il Tribunale e la Corte d’appello rigettavano entrambi la domanda, pur sulla base di ragioni diverse. La lavoratrice propone quindi ricorso per cassazione. Nesso di causalità La ricorrente lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata essa non avrebbe potuto logicamente ritenere che, in assenza di risoluzione consensuale del contratto, il rapporto di lavoro sarebbe proseguito, poiché la donna versava in una condizione di oggettiva incapacità lavorativa. La Suprema Corte, che respinge il ricorso, fa innanzi tutto riferimento alla giurisprudenza di legittimità per cui l’insufficiente o contraddittoria motivazione sia denunciabile in Cassazione solo quando «nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio». se manca, no alla liquidazione. La sentenza impugnata risulta, al contrario, aver affrontato correttamente e logicamente le questioni rilevanti ai fini del decidere. In particolare, essa espone la necessità di un nesso di causalità tra invalidità e risoluzione del rapporto una volta escluso in maniera logica e coerente che le condizioni di salute della ricorrente fossero la causa della risoluzione del rapporto – e appurato che casomai, sulla base di quanto emerso nel giudizio di merito, essere possono costituirne il motivo – la Corte territoriale non poteva pronunciarsi diversamente, come conferma la Cassazione con la sentenza in commento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 settembre – 15 ottobre 2012, numero 17618 Presidente De Luca – Relatore Bandini Svolgimento del processo S.R. , già dipendente della società Assitalia, premesso che - la Cassa di previdenza per il personale dell'Assitalia, a cui tutti i lavoratori erano iscritti, aveva stipulato con l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni una convenzione e delle polizze collettive, tra le quali quella per caso morte ed invalidità totale e permanente assicurava la liquidazione di un capitale nel caso in cui il dipendente fosse stato colpito da un'infermità fisica o mentale da rendere obiettivamente impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro per la perdita della capacità di espletamento delle proprie mansioni o di qualsiasi attività lavorativa - nel 1994 era stata colpita da un grave stato depressivo, aggravato da altre patologie, tanto che l'Inps il 15.2.1996 le aveva concesso l'assegno di invalidità - non essendo più in grado di svolgere la propria attività di impiegata, aveva risolto consensualmente il rapporto di lavoro, ottenendo una somma aggiuntiva rispetto al TFR - aveva quindi, vanamente, richiesto alla Cassa di previdenza la liquidazione del capitale per invalidità permanente ciò premesso, chiese che fosse accertato il suo diritto all'indennizzo in questione, con conseguente condanna dell'Ente previdenziale e della Compagnia assicurativa al relativo pagamento. Radicatosi in contraddittorio con il Fondo Pensione per il Personale dell'Assitalia spa già Cassa di previdenza ed assistenza per il personale dell'Assitalia - Le Assicurazioni d'Italia spa e con l'Assicurazioni Generali spa quale successore a titolo universale della INA spa , nonché, a seguito di intervento, con l'INA Vita spa quale successore a titolo particolare dell'INA spa , il Giudice adito respinse la domanda. La Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 12.5.2008 - 10.6.2009, rigettò, in forza di diversa motivazione, il gravame proposto dalla S. . A sostegno del decisum, per quanto qui ancora specificamente rileva, la Corte territoriale ritenne che - sulla base delle condizioni di assicurazione doveva esservi un nesso di causalità tra invalidità e risoluzione del rapporto, nel senso che l'evento assicurato non è la mera invalidità dell'assicurato ma solo quella che abbia avuto conseguenze sulla prosecuzione del rapporto di lavoro, che deve essere obiettivamente impossibile per la perduta capacità di espletamento delle proprie mansioni o addirittura di qualsivoglia attività lavorativa - sebbene potesse evincersi dagli atti di causa che l'Inps aveva riconosciuto alla S. l'assegno di invalidità con decorrenza dal 1.11.1994, non risultava che prima del 3.6.1996, data dell'accordo risolutorio del rapporto lavorativo, la lavoratrice avesse manifestato la sua impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro o, quanto meno, avesse chiesto di essere sottoposta a visita per fare verificare la propria inidoneità all'attività lavorativa - al contrario, poteva evincersi dalla lettera in data 13.3.1996, inviata alla S. e sottoscritta per accettazione, che la lavoratrice aveva espresso la volontà di risolvere anticipatamente il rapporto di lavoro con opportune agevolazioni da parte della società , sicché, come convenuto, il rapporto si era risolto con il versamento di una somma aggiuntiva - solo successivamente, con lettera dell'8.10.1996, la S. si era rivolta alla Cassa di previdenza e assistenza per poter fruire della copertura assicurativa per il rischio della invalidità permanente - pur essendo pacifico tra le parti che la risoluzione consensuale del rapporto non è incompatibile con la copertura assicurativa dell'evento, occorreva che vi fosse un diretto rapporto di causalità tra l'invalidità e la cessazione del rapporto, cessazione che, invece, si era verificata per avere la lavoratrice accettato la risoluzione previa dazione di una somma aggiuntiva, in difetto della quale, dunque, doveva ritenersi che il rapporto sarebbe proseguito - l'intervenuta trattativa aveva pertanto determinato il venire meno del nesso di causalità tra l'invalidità e la cessazione del rapporto, e quindi la stessa esistenza dell'evento assicurato, rendendo dunque privo di rilievo il fatto che i motivi che avevano indotto la S. ad accettare l'incentivo all'esodo riguardassero la sua condizione di salute. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, S.R. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo e illustrato con memoria. Gli intimati Fondo Pensione per il Personale dell'Assitalia spa, Assicurazioni Generali spa e INA Vita spa hanno resistito con distinti controricorsi, illustrati con memoria. Motivi della decisione 1. Con l'unico motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, assumendo che, sulla base delle premesse accolte, la Corte territoriale non avrebbe potuto logicamente ritenere che, in difetto di risoluzione consensuale, il rapporto di lavoro sarebbe proseguito, poiché tale conclusione era smentita dal dato oggettivo dell'incapacità al lavoro obiettivamente accertata a carico di essa ricorrente. 2. Osserva la Corte che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero 5, cpc, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione cfr, ex plurimis, Cass., nnumero 350/2002 584/2004 15489/2007 . La sentenza impugnata, nei termini diffusamente ricordati nello storico di lite, ha affrontato le questioni rilevanti ai fini del decidere e, partendo clall'accertata necessità, sulla base delle pattuizioni assicurative, di un nesso di causalità tra invalidità e risoluzione del rapporto, ha, con argomentazione esaustiva e priva di vizi logici, motivatamente escluso che le condizioni di salute della S. fossero state la causa della risoluzione del rapporto lavorativo, potendo le stesse, al più, aver costituito il motivo che l'aveva indotta a risolverlo consensualmente dietro erogazione di un incentivo evenienza, quest'ultima, che deve peraltro ritenersi irrilevante, posto che il motivo perseguito dal singolo contraente, quand'anche determinante della volontà negoziale, non si era esteriorizzato in una condizione o in una pattuizione contrattuale cfr, ex plurimis, Cass., numero 9840/1999 . Di ciò, del resto, fornisce conferma la circostanza, pure evidenziata dalla Corte territoriale, che prima della data dell'accordo risolutorio del rapporto lavorativo, benché l'assegno mensile le fosse già stato riconosciuto dall'Inps, la lavoratrice non aveva manifestato la sua impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro, né, quanto meno, aveva chiesto di essere sottoposta a visita per fare verificare la propria inidoneità all'attività lavorativa. Resta infine da rilevare, per completezza di motivazione, che tale inidoneità all'attività lavorativa è meramente affermata, non potendo di per sé essere desunta dal riconoscimento dell'assegno di invalidità, concedibile in caso di solo parziale incapacità lavorativa cfr articolo 1 legge numero 222/84 dal che discende altresì un profilo di inammissibilità del motivo per violazione del principio di autosufficienza. 3. In definitiva il motivo svolto non merita accoglimento, cosicché il ricorso, che su di esso si fonda, va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo anche alla luce della natura e complessità della controversia, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in Euro 40,00 quaranta , oltre ad Euro 3.000,00 tremila per compenso ed accessori come per legge.