Furto in uffici pubblici: sussiste l’aggravante anche per il fatto commesso al di fuori dell’orario di apertura

L’aggravante di aver commesso il furto su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici o su cose esposte alla pubblica fede trova la sua ratio nella necessità di tutelare più efficacemente il rispetto dovuto alla P.A., in considerazione della maggior fiducia che ispira la preservazione dei beni che si trovano nei suoi uffici’.

La Corte di Cassazione si è pronunciata ieri relativamente ad un ricorso per cassazione de libertate presentato dal difensore di un soggetto indagato per tentato furto pluriaggravato ex articolo 625 numero 7 e 61 numero 10 c.p., proposto avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame. Cosa è successo. Il prevenuto, introdottosi in una Cancelleria del Tribunale, ha tentato di rubare una borsa – di proprietà di una dipendente dell’ufficio – lasciata dalla stessa incustodita. Il GIP presso il Tribunale aveva qualificato il fatto come violazione dell’articolo 624 bis c.p., disponendo, quindi, la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla P.G A seguito di appello del P.M., il Tribunale della Libertà riqualificava l’accadimento come tentato furto aggravato nello specifico per l’essere il fatto stato commesso su cose esistenti in uffici pubblici o esposte per consuetudine alla pubblica fede e ai danni di un pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio a causa dell’adempimento delle proprie funzioni , applicando la più gravosa misura della custodia carceraria, tenuto conto dei precedenti dell’indagato, della gravità della vicenda nel suo complesso e della necessità di tutelare le esigenze cautelari con la massima misura, dato che il soggetto aveva già precedenti per evasione e per violazione della sorveglianza speciale. La difesa del ricorrente. Il difensore sostiene che la corretta qualificazione dei fatti sia quella effettuata dal Gip articolo 624 bis c.p. , considerato che il tentato furto sarebbe stato perpetrato in orario di chiusura al pubblico della cancelleria e che ha avuto quale oggetto materiale un bene personale della dipendente. Inoltre ritiene sproporzionata la massima misura applicata, giudicando, invece, idonea quella dell’obbligo di presentazione, originariamente disposta dal Gip. Il ricorso è infondato. Ad avviso della Suprema Corte il fatto è correttamente qualificato come tentato furto aggravato ex articolo 625 numero 7 e 61 numero 10 c.p Secondo l’orientamento espresso costantemente dalla stessa Corte, la prima delle due aggravanti in parola è stata introdotta dal legislatore con la precisa intenzione di offrire maggior tutela alle cose mobili lasciate incustodite, anche solo provvisoriamente, per necessità o consuetudine e che quindi possono essere sottratte con maggior facilità, nocnhé di cose esistenti in uffici/stabilimenti pubblici. Tali ipotesi sono state riscontrate nel caso che ci occupa la borsa infatti era stata depositata incustodita in un luogo pubblico – la cancelleria – ed era anche esposta per consuetudine alla pubblica fede, dal momento che ogni lavoratore porta con sé i propri effetti personali sul luogo di lavoro, lasciandoli incustoditi durante lo svolgimento delle mansioni. Aggravante pienamente integrata. Tale risulta sia sotto il profilo dell’esposizione alla pubblica fede intesa come senso di rispetto verso la proprietà altrui su cui, in una società civile, fa affidamento chi deve lasciare un proprio bene temporaneamente incustodito , sia sotto il profilo della cosa incustodita in stabilimenti o uffici pubblici. Per granitica giurisprudenza, risulta integrata tale ultimo profilo indipendentemente dalla circostanza che il bene concretamente sottratto appartenga all’ufficio o stabilimento o alla persona ivi addetta, non rilevando neppure che essa abbia o meno attinenza con le attività che vi sono svolte. Inoltre, in considerazione della personalità dell’indagato, caratterizzata da una evidente professionalità e inclinazione alla trasgressione delle regole, la Corte ha ritenuto che l’unica misura in grado di assicurare le esigenze cautelari sia proprio quella della custodia carceraria. Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso difensivo è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 24 maggio – 20 settembre 2012, numero 35980 Presidente Casucci – Relatore Verga Motivi della decisione Con ordinanza del 7 novembre 2011 il Tribunale del Riesame Milano accoglieva l'appello del pubblico ministero e,in riforma dell'impugnata ordinanza emessa dal Gip presso il Tribunale di Varese in data 14/10/2011, applicava a L.L. la misura cautelare della custodia in carcere. Riteneva la sussistenza della gravità indiziaria alla luce delle dichiarazioni rese dalla parte offesa e corretta la qualificazione originaria operata dal pubblico ministero di tentato furto aggravato ex articolo 625 numero 7 e 61 numero 10 codice penale. Riteneva altresì sussistenti le esigenze cautelari individuate dai precedenti penali, dalla gravità del fatto considerati tutti i profili della vicenda che denotavano una specifica professionalità, esigenze che potevano essere adeguatamente tutelate solo con la detenzione in carcere in quanto misure meno afflittive non erano idonee a fronteggiarle, l'indagato aveva precedenti per evasione continuata e per violazione della sorveglianza speciale. Ricorre per Cassazione l'indagato, a mezzo del suo difensore, deducendo che l'ordinanza impugnata è incorsa in 1. violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e con riguardo alla qualificazione del reato contestato. Ritiene che il fatto sia stato correttamente qualificato dal GIP come violazione dell'articolo 624 bis del codice penale considerato che il tentato furto sarebbe stato perpetrato quando l'ufficio di cancelleria non era ancora aperto ed ha avuto come oggetto un bene personale della dipendente che solo occasionalmente si trovava all'interno di un edificio pubblico 2. violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alle esigenze cautelari. Sottolinea l'adeguatezza della misura disposta dal Gip dell'obbligo della presentazione alla polizia giudiziaria. Il ricorso è infondato. Il fatto è stato correttamente qualificato dal Tribunale del Riesame come tentato furto aggravato ex articolo 56, 624, 625 numero 7 e 61 numero 10 c.p Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte con l'aggravante disciplinata dall'articolo 625 c.p., numero 7, il legislatore ha inteso apportare, attraverso la previsione di una pena più grave, una più efficace tutela alle cose mobili che il proprietario lasci, anche solo provvisoriamente, incustodite, per necessità o per consuetudine, e che possono, quindi, più facilmente essere sottratte al legittimo proprietario, nonché delle cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici. Situazioni che legittimamente i giudici del merito hanno ritenuto di riscontrare nel caso di specie. La borsa in questione era stata lasciata incustodita in un luogo pubblico, quale è una cancelleria del Tribunale, luogo abitualmente frequentato da numerose persone esterne all'ufficio stesso ed era anche esposto per consuetudine alla pubblica fede. Come già affermato da questa Corte nella sentenza numero 39096 del 2009 rv. 245120 rientra nella pratica quotidiana degli impiegati di un ufficio, pubblico o privato che sia, appoggiare sul tavolo di lavoro i propri effetti personali e di lasciarli incustoditi, confidando nel senso collettivo di rispetto della proprietà altrui. Effetti, quindi, esposti alla pubblica fede, intesa quale senso di rispetto verso la proprietà altrui sul quale fa affidamento chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente, incustodita. L'aggravante risulta però integrata anche sotto il profilo della cosa lasciata incustodita in stabilimenti o uffici pubblici, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte che la ritiene sussistere indipendentemente dal fatto che la cosa sottratta appartenga all'ufficio o stabilimento o a persona che vi sia addetta, ovvero che abbia più o meno attinenza con le attività che vi vengono svolte, posto che la ragion d'essere dell'aggravante consiste nella necessità di una più efficace tutela del rispetto dovuto alla P.A. e della maggior fiducia che ispira la conservazione dei beni che si trovano nei suoi uffici” cfr. Cass. numero 263 del 1966 Rv. 101357, numero 5042 del 1983 Rv. 159301, numero 2213 del 1984 Rv. 163088, numero 13099 del 2008 Rv. 239390 numero 39096 del 2009 Rv. 245120 . Il Tribunale ha correttamente motivato anche con riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla loro tutelabilità esclusivamente con la detenzione in carcere sottolineando, con motivazione logica e giuridicamente corrette, la non idoneità di misure meno afflittive in considerazione della personalità del prevenuto caratterizzata da una evidente professionalità delinquenziale. Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell'articolo 28 Reg. Esec. C.p.p.