Il marito, responsabile penalmente per atti persecutori e minacce intimidatorie, non viola il domicilio privato della casa familiare, quando questa, benché assegnata in corso di separazione alla moglie, sia stata deliberatamente abbandonata dalla donna.
E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 24685, depositata l’11 giugno 2014. Il caso. La Corte d’appello di Torino, confermando la decisione di primo grado, condannava in ordine ai reati di minacce gravi, violazione di domicilio e atti persecutori nonché di ingiuria e molestie, violenza privata e violazione di ordine dell’autorità, l’ex marito per i fatti commessi nell’aprile 2010. Avverso tale sentenza proponeva ricorso in Cassazione il soccombente, deducendo il vizio di motivazione in ordine al reato di minaccia e di atti persecutori. Secondo la difesa, il giudice territoriale non aveva considerato che il comportamento in questione era stato scatenato dalla disperazione dell’imputato dovuta al fatto che la moglie gli impediva di vedere la figlia. Quelle poste in essere dall’uomo altro non erano che sceneggiate prive di capacità di intimidazione. In riferimento agli atti persecutori, invece, il soccombente sostiene l’inattendibilità della persona offesa, la quale aveva tenuto un atteggiamento assolutamente ambiguo rimettendo la querela per tutti i fatti precedenti l’aprile 2010 e raggiungendo poi un accordo con l’imputato per l’affidamento congiunto della figlia. La difesa, quindi, deduceva che, sino a tale data, non poteva aver avuto luogo alcun comportamento vessatorio o persecutorio. Tuttavia, tali motivi devono ritenersi inammissibili, poiché tali censure son diverse da quelle consentite dinanzi il giudice di legittimità, queste, infatti, consistono nella rappresentazione di un’alternativa ricostruzione della vicenda, rispetto a quelle motivatamente accreditate al giudice del merito. L’aver cosparso di benzina le scale che portavano all’abitazione familiare e l’avere contemporaneamente gridato frasi rappresentative di un esito infausto e addirittura letale per i protagonisti della vicenda sono state ritenute, razionalmente, dal giudice d’appello, idonee a sostanziare l’ipotesi criminosa di minacce contestata nella forma aggravata, per l’estrema capacità intimidatoria del comportamento. Si tratta infatti di un giudizio di fatto e di merito che, per la sua coerenza sul piano ricostruttivo e razionale, si sottrae all’ulteriore sindacato della Cassazione. Alle stesse conclusioni deve giungersi con riferimento alle censure che son state mosse in ordine al giudizio di responsabilità per il reato di atti persecutori. Da considerare l’abbandono volontario della casa familiare da parte della moglie. La Corte però accoglie l’altro motivo di doglianza, tramite il quale il soccombente lamentava il vizio della motivazione in riferimento alla contestazione del reato di violazione di domicilio. La difesa sosteneva che tale reato era stato ipotizzato in relazione al tentativo dell’imputato di rientrare nella casa familiare, nel periodo in cui la moglie e la figlia erano andate a vivere nell’appartamento sottostante. Agli occhi della Corte, la condotta dell’imputato era del tutto legittima, tanto più che la casa familiare era disabitata. La Suprema Corte riconosce l’insufficienza dell’affermazione della Corte d’appello secondo cui la separazione in corso bastava a far ritenere inibito il diritto di accesso dell’imputato nella propria casa familiare. Il Collegio, inoltre, ricorda che l’abbandono del domicilio da parte di uno dei coniugi nel corso della separazione, incide negativamente sul diritto di escludere l’altro dall’accedervi. Cass. numero 47500/2012 . Per i suddetti motivi, la sentenza viene annullata con rinvio in relazione a quest’ultimo motivo di doglianza.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 maggio - 11 giugno 2014, numero 24685 Presidente Dubolino – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propone ricorso per cassazione C. Liberato avverso la sentenza della Corte di appello di Torino in data 14 maggio 2013 con la quale, a parte la modifica del trattamento sanzionatorio anche mediante la conversione della pena in libertà controllata, è stata ribadita la affermazione di responsabilità, pronunciata in primo grado, in ordine ai reati di minacce gravi, violazione di domicilio e atti persecutori nonché ingiuria e molestie, violenza privata e violazione di ordine dell'autorità, fatti commessi a partire dal mese di aprile del 2010. La vicenda, come descritta in sentenza, aveva tratto origine dalla storia coniugale dell'imputato il quale, caduto in una situazione depressiva e di abuso di sostanze alcoliche, aveva cominciato a tenere comportamenti gravemente minacciosi nei confronti della moglie, G.F. che voleva controllare ossessivamente, anche barricandosi in casa. Dopo la sentenza di separazione, nel 2010, erano ripresi comportamenti persecutori e minacciosi. La madre della vittima, A.S., aveva reso deposizione testimoniale perfettamente corrispondente a quella della denunciante. Deduce 1 il vizio della motivazione in ordine alla circostanza aggravante ex articolo 612 comma due cp, contestata al capo A e la rilevanza della intervenuta remissione di querela. La Corte non aveva considerato che il comportamento in questione era stato scatenato dalla disperazione dell'imputato dovuta al fatto che la moglie gli impediva di vedere la figlia minore e, inoltre, che il gesto anche auto lesivo minacciato era impossibile perché la tanica di benzina in possesso dell'imputato non era dotata di innesco in sostanza, una sceneggiata napoletana priva di una vera e propria capacità di intimidazione. Anche le frasi ti ammazzo ovvero brucio tutto sono più una modalità espressiva dovuta alla provenienza dell'imputato dalla Campania, che una concreta manifestazione di male ingiusto, come dimostrato dal fatto che la persona offesa non cambiò le proprie abitudini di vita 2 il vizio della motivazione in riferimento alla contestazione del reato di violazione di domicilio. Tale reato era stato ipotizzato in relazione al tentativo dell'imputato di rientrare nella casa familiare. In un periodo nel quale la parte offesa e la figlia erano andate a vivere nell'appartamento sottostante, la condotta dell'imputato era del tutto legittima tanto più che la casa familiare era disabitata e, per accedervi, il C., in data 18 giugno 2011, aveva ricevuto direttamente dei Carabinieri una copia della chiave, dagli stessi richiesta ed ottenuta presso la querelante. Formalmente, poi, non era stata neppure emessa l'omologa della separazione e, fino alla data del 25 ottobre 2011, la casa in questione era anche nel possesso dell'imputato una situazione del tutto trascurata dalla Corte d'appello. Era dell' ottobre 2011 l'atto - versato nel processo all'udienza del 27 marzo 2012 - di assegnazione della casa alla G., con riconoscimento, in favore dell'imputato, del diritto di prelevare gli effetti personali. Ne conseguiva che il reato di violazione di domicilio del 18 giugno 2011, non sussisteva oggettivamente mentre quello contestato con la data del 25 ottobre 2011 era carente dell'elemento soggettivo 3 il vizio della motivazione in ordine al reato di atti persecutori. In particolare, la difesa sostiene esservi, in atti, le prove della inattendibilità della persona offesa la quale aveva tenuto un atteggiamento assolutamente ambiguo dapprima rimettendo la querela per tutti i fatti precedenti al 27 aprile 2010 e, alla successiva udienza civile dell'11 ottobre 2011, raggiungendo un accordo con l'imputato per l'affidamento congiunto della figlia se ne deduce che, fino a tale data, non può avere avuto luogo un comportamento vessatorio e persecutorio, altrimenti incompatibile con l'accordo raggiunto dalle parti. È ugualmente in controtendenza con lo stesso accordo, il fatto che la querelante, sia nel novembre che nel dicembre del 2011, reiterava le denunce per altri fatti. In conclusione, l'imputato si era sentito tradito dal comportamento della moglie, di fatto ostativi alla possibilità di intrattenere rapporti con la figlia e, inoltre, i messaggi che egli aveva scritto erano stati provocati dalla nuova relazione sentimentale della moglie. Ugualmente errata era l'analisi delle ripetute telefonate giunte sul cellulare della querelante nelle festività del 2011, essendo stato ignorato che quel telefonino era in possesso della figlia minore ed era lo strumento di cui il padre intendeva servirsi per farle gli auguri. L'impugnante segnala la deposizione del teste Fontana e la relazione del servizio sociale come dimostrativi della regolarità del comportamento del proprio nei confronti della figlia. E, d'altra parte, nessuno stato d'ansia e nessuna alterazione delle abitudini di vita erano state registrate con riferimento alla querelante la quale non aveva provato con attestati medici, le dichiarazioni in tal senso. Anche il cambio dell'appartamento risaliva al 2009, né può essere trascurato, come invece ha fatto la Corte, che l'imputato non ha mai usato violenza contro la moglie e la figlia 4 il vizio di motivazione con riferimento al reato di violenza privata, rimasta una mera dichiarazione senza alcuna prova a carico 5 l'erronea applicazione dell'articolo 53 legge numero 109 del 1981 era stata richiesta la sostituzione della pena detentiva soltanto con quella pecuniaria 6 l'erronea applicazione della legge penale essendo stato revocato il beneficio della sospensione condizionale in un caso nel quale tale decisione era solamente facoltativa e non è stata assistita dalla valutazione delle condizioni personali dell'imputato. Il ricorso è fondato nei limiti che si indicheranno. Di ufficio ritiene, preliminarmente, il Collegio, di dare applicazione al disposto dell'articolo 129 cpp ed affermare la insussistenza del reato ex articolo 650 cp, contestato al capo D . Considerato che tale reato è stato addebitato in relazione alla violazione di una misura cautelare personale, deve evidenziarsi la erroneità in punto di diritto della qualificazione di tale comportamento ai sensi della norma citata. Non è infatti configurabile la contravvenzione di cui all'articolo 650 cod. penumero in caso di violazione di prescrizioni inerenti all'esecuzione di misure cautelari personali, potendo dar luogo la detta violazione unicamente alla conseguenza di ordine processuale prevista dall'articolo 276 cod. proc. penumero Sez. 1, Sentenza numero 5548 del 25/10/1996 Cc. dep. 27/11/1996 Rv. 206069 Conformi numero 6682 del 1995 Rv. 201539, numero 10537 del 1995 Rv. 202540, numero 5965 del 1996 Rv. 205111 . Il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso sono invece inammissibili. Invero, le censure mosse sub 1 e 3 sono diverse da quelle consentite dinanzi al giudice della legittimità poiché consistono nella rappresentazione di un'alternativa ricostruzione della vicenda, rispetto a quella motivatamente accreditata dal giudice del merito, e nella conseguente sollecitazione, rivolta alla Cassazione, a effettuare una scelta in ordine a risultati di prova e alla relativa valutazione, evidentemente inibita data la sede. L'avere cosparso di benzina le scale che portavano all'abitazione familiare e l'avere contemporaneamente gridato frasi rappresentative di un esito infausto e addirittura letale per i protagonisti della vicenda sono circostanze che, del tutto razionalmente, il giudice dell'appello ha ritenuto idonee a sostanziare l'ipotesi criminosa di minacce contestata nella forma aggravata, per la estrema capacità intimidatoria del comportamento e delle espressioni profferite. Si tratta di un giudizio di fatto e di merito che, per la sua coerenza sul piano ricostruttivo e razionale, si sottrae all'ulteriore sindacato da parte della Cassazione. Alle stesse conclusioni deve giungersi con riferimento alle censure che sono state mosse in ordine al giudizio di responsabilità per il reato di atti persecutori. Nella sentenza impugnata è stato ampiamente valorizzato il dato della avvenuta remissione di querela in epoca prossima a quella della omologa della separazione consensuale fra i coniugi. Il giudice ha anche illustrato, però, in maniera esaustiva e non ulteriormente sindacabile il proprio convincimento, supportato dai successivi eventi, a proposito del fatto che la scelta della querelante, di addivenire alle menzionate decisioni, non era indicativa della ormai acquisita cessazione dei comportamenti vessatori e criminosi dell'imputato ma soltanto della volontà di comporre, attraverso una transazione, i rapporti estremamente tesi con il marito stesso. Ancora una volta, tutte le articolate osservazioni dell' impugnante risultano formulate non già per evidenziare un vizio di motivazione denunciabile ai sensi dell'articolo 606 lett. e , malungi dal far risaltare aporie su punti decisivi o manifeste illogicità del ragionamento - al solo scopo di prospettare un punto di vista diverso nell'osservazione della vicenda e quindi una possibile opinabilità della ricostruzione, che è tema tipico dell'impugnazione di merito e non anche del ricorso al giudice della legittimità. Infine il quarto motivo è stato enunciato in forma generica e senza tenere conto del fatto che le dichiarazioni della persona offesa sono state ritenute, più che motivatamente, idonee a sostenere l'accusa anche in assenza di elementi di riscontro. Deve ritenersi fondato il secondo motivo di ricorso. Sostiene l'impugnante di avere versato in atti, all'udienza del 27 marzo 2012, la documentazione concernente l'omologa della separazione consensuale dalla coniuge e il verbale di assegnazione della casa coniugale alla sola querelante a far data dal 25 ottobre 2011. Tale circostanza, corrispondente al vero, non risulta adeguatamente valutata dalla Corte d'appello ai fini di verificare la correttezza del giudizio di responsabilità in ordine alla duplice contestazione di violazione di domicilio. Detti reati sono stati ritenuti commessi nel giugno e nell'ottobre del 2011, ma non risulta sondata la loro eventuale incompatibilità con circostanze di indubbia rilevanza, nell'ottica difensiva, quali non solo il citato verbale di assegnazione esclusiva dell'appartamento, del 25 ottobre 2011, e, altresì, il verbale dei Carabinieri, in data 18 giugno 2011, di consegna all'imputato stesso, della chiave dell'appartamento per prelevare i propri effetti personali. Invero, la consapevolezza e volontà di violare lo jus excludendi alios, secondo lo schema dell'articolo 614 c.p., non possono essere ritenuti sussistenti, a carico del ricorrente, nella ipotetica presenza di circostanze o situazioni che rendano concreta la eventualità della buona fede dell'imputato. In tale ottica, appare del tutto insufficiente l'affermazione della Corte d'appello secondo cui la separazione in corso bastava, di per sé, ed in assenza di ulteriori provvedimenti del giudice civile, a far ritenere inibito il diritto di accesso dell'imputato nella propria casa familiare. Tanto più in una situazione nella quale risulta attestato dalla stessa Corte pag. 7 che la casa familiare era stata lasciata dalla querelante, andata a vivere dalla madre. Osserva la giurisprudenza di questa Corte che l'abbandono del domicilio da parte di uno dei coniugi nel corso della separazione di fatto, incide negativamente sul suo diritto di escludere l'altro dall'accedervi vedi Sez. 5, Sentenza numero 47500 del 21/09/2012 Ud. dep. 06/12/2012 Rv. 254518 . Il quinto motivo è manifestamente infondato. La richiesta di conversione della pena, nei motivi di appello, è stata formulata senza limitazioni di sorta. D'altra parte, attesto che il giudice di appello ha ritenuto di abbassare solo fino a 7 mesi la pena, incontrava nell'articolo 53 l. 689 del 1981 l'ostacolo obiettivo alla conversione di quella sanzione in quella pecuniaria, atteso che la pena compatibile con tal genere di commutazione era quella uguale o inferiore a sei mesi. La scelta della misura convertita rientra comunque nel potere discrezionale del giudice che è esercitato nell'ottica della capacità rieducativa della sanzione sicchè non si apprezza l'interesse a vedere revocata una sanzione meno afflittivi di quella inflitta dal primo giudice. Osserva la giurisprudenza di questa Corte che la conversione della pena detentiva è rimessa al potere discrezionale del giudice del merito, il quale deve valutare i presupposti legittimanti quali la idoneità della sostituzione al fine del reinserimento sociale del condannato e della prognosi positiva circa l'adempimento delle prescrizioni applicabili Sez. 5, Sentenza numero 528 del 23/11/2006 Ud. dep. 12/01/2007 Rv. 235695 . Il sesto motivo è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza. Nella sentenza impugnata la Corte dà atto che la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, a suo tempo riconosciuto in relazione al reato giudicato con sentenza del Tribunale di Verbania - sezione di Domodossola - del 22 aprile 2008, irrevocabile il 15 luglio 2008, era stata correttamente disposta dal giudice di primo grado, in base all'articolo 168 numero uno cp e cioè all'ipotesi della commissione, da parte dello stesso imputato, nei cinque anni dalla data della precedente condanna, di un delitto anche non della stessa indole così v. rv 254688 punito con pena detentiva. Ebbene l'impugnante torna a dolersi di tale decisione non solo semplicemente riproponendo la identica questione già risolta dal giudice dell'appello ma, in più, ponendo a fondamento della censura una circostanza di fatto che vale ad evidenziarne la manifesta infondatezza e cioè che i reati da tenere in considerazione, a tale fine, sarebbero quelli commessi nel 2011, con ciò non solo trascurando immotivatamente quello commesso nel 2010 ma, altresì, dimostrando, per tabulas, che il ragionamento del giudice a quo è stato corretto dal momento che il termine della sospensione condizionale della pena e quindi anche quello citato dal primo comma dell'articolo 168 cp , per la revoca di diritto, decorre dal giorno in cui la sentenza di condanna che concede il beneficio diviene irrevocabile Sez. 1, Sentenza numero 8222 del 10/02/2010 Cc. dep. 02/03/2010 Rv. 246629 P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio relativamente al reato di cui al capo D articolo 650 cp perché il fatto non sussiste e, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino, per nuovo esame, relativamente al reato di cui al capo B numero 4 violazione di domicilio e alla determinazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso.