L’appartamento non è abitabile, persiste in ogni caso il diritto di recesso dell’acquirente

La Cassazione ribadisce la legittimità della scelta di domandare in giudizio il recesso dal contratto di compravendita anche quando in precedenza sia stata prospettata stragiudizialmente la volontà di risoluzione.

Sul tema la Cassazione con sentenza numero 26206/17, depositata il 3 novembre. Il caso. Il Tribunale, in accoglimento della domanda attorea, aveva dichiarato la risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un’unità immobiliare, condannando la convenuta alla restituzione della caparra versata dall’attrice acquirente. La Corte d’Appello, in accoglimento della richiesta dell’acquirente, aveva dichiarato la legittimità del recesso e condannato la società convenuta a corrispondere il doppio della caparra versata. Secondo i Giudici di merito, infatti, l’oggetto del contratto era un appartamento privo di certificato di abitabilità in quanto parte di un fabbricato costruito in difformità dalla concessione edilizia. Avverso la decisione ha proposto ricorso in Cassazione la parte soccombente. Dichiarazione di recesso. La ricorrente lamenta in Cassazione che la Corte d’Appello abbia erroneamente ravvisato la manifestazione di volontà di recedere dal contratto preliminare della controparte. Infatti, secondo la ricorrente, l’acquirente aveva inviato tramite raccomandata solo una diffida ad adempiere al rilascio del certificato di abitabilità, seguita dalla richiesta di risoluzione del contratto, e non una dichiarazione di recesso dal contratto. La S.C. ha osservato che la Corte territoriale, nel valutare la legittimità del recesso, non si sia soffermata sul contenuto della raccomandata, ma abbia considerato la scelta di domandare il recesso nel corso del giudizio. Secondo la Corte detta scelta «è legittima anche quanto in precedenza sia stata prospettata stragiudizialmente la volontà di risolvere il contratto». Inoltre, secondo orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, la parte adempiente di un contratto di compravendita che abbia ricevuto una caparra confirmatoria «e si sia avvalsa della facoltà di provocare la risoluzione del contratto mediante diffida ad adempiere può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso» per ricevere la restituzione e il pagamento del doppio della caparra. Per questi motivi la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente alla refusione delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 gennaio – 3 novembre 2017, numero 26206 Presidente Matera – Relatore D’Ascola Fatti di causa 1 Il tribunale di Teramo nel 2004 ha accolto la domanda proposta il 27 novembre 2001 da T.F.G. contro la Finanziaria Roseto s.r.l. e, per l’effetto, ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un’unità immobiliare stipulato il 27 gennaio 2001, condannando la convenuta al risarcimento dei danni, quantificati in misura pari alla restituzione di quanto versatole caparra versata ed acconto sul prezzo . La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza numero 921/2011 del 22.9.2011, corretta con ordinanza 22 giugno 2012, in accoglimento dell’appello dell’acquirente T. , ha dichiarato la legittimità del recesso e ha condannato la società convenuta a corrispondere all’attore appellante il doppio della caparra versata. Ha rigettato l’appello incidentale volto alla risoluzione per colpa dell’acquirente. Per la cassazione della sentenza la Finanziaria Roseto s.r.l. ha proposto ricorso sulla base di due motivi. T.F.G. ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 2 La Corte di appello ha ritenuto che oggetto del contratto di compravendita fosse un appartamento che avrebbe dovuto essere munito di certificato di abitabilità, certificato che era impossibile ottenere in quanto l’unità immobiliare - ricavata nel sottotetto - era parte di un fabbricato costruito in difformità dalla concessione edilizia ed oggetto di ordine di demolizione da parte del Comune. La sentenza impugnata ha ravvisato una fattispecie di vendita di aliud pro alio e un grave inadempimento che legittimava il recesso. 3 Con il primo motivo parte ricorrente denuncia vizi di motivazione. Afferma che la Corte di appello non avrebbe spiegato perché oggetto del preliminare fosse un appartamento, in quanto in motivazione nel punto a ciò relativo era stata inserita la frase inserire la descrizione . Aggiunge che oggetto del contratto non era un appartamento, ma un piano sottotetto e che il promissario acquirente aveva piena consapevolezza della consistenza del bene promesso e della sua destinazione a sottotetto, come tale di per sé non abitabile . La censura è manifestamente infondata. La sentenza, pur contenendo la prova di una dimenticanza dell’estensore nel descrivere l’immobile, come si era ripromesso di fare a pag. 4 con la frase sopravirgolettata, è chiara nel considerare la descrizione dell’immobile che la stessa sentenza aveva reso all’esordio della parte narrativa. Ivi si legge che in citazione era stato riportato che oggetto del preliminare di compravendita era un piano sottotetto costituito da due camere, un soggiorno, numero 2 bagni, balcone lato mare e balcone con affaccio su via XXXXXXX al prezzo di Lire 242 milioni oltre Iva. Dunque la valutazione circa la natura del bene oggetto di contratto - quale appartamento abitabile e non quale struttura materiale sita al piano sottotetto - si reggeva in modo eloquente sulla descrizione comunque presente in sentenza. La tesi secondo cui oggetto della pattuizione fosse il piano sottotetto, senza alcuna promessa di fruizione quale alloggio, è una apodittica affermazione che la Corte di appello non ha preso in soverchia considerazione, perché smentita dalla dettagliata descrizione che il contratto riportato in ricorso dalla parte promittente venditrice conteneva. Trattasi di descrizione chiaramente coerente solo con la destinazione abitativa delle stanze addirittura una indicata come soggiorno - pranzo , destinazione che è stata considerata decisiva dalla Corte di appello. Si rileva inoltre che la motivazione è stata anche fornita con il rilievo dato al provvedimento sindacale di, demolizione, inflitto per costruzione in difformità alla concessione questa circostanza attesta che la unità immobiliare promessa in vendita non era stata edificata con le caratteristiche proprie di un sottotetto non abitabile, come vorrebbe il ricorso, ma come un vero e proprio appartamento, al punto da provocare l’intervento repressivo dell’ente locale. Né il ricorso, che neppure prospetta eventuali errori ex articolo 1362 e seguenti c.c. nell’interpretazione del contratto, è stato in grado di indicare alcuna risultanza dalla quale desumere che parte promissaria avesse conosciuto e accettato la insanabile condizione irregolare del bene. 4 Il secondo motivo lamenta vizi di motivazione nonché violazione e falsa applicazione degli articolo 1324, 1392, 1373 e 1385 c.c Con esso la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ravvisato nella comunicazione di controparte una manifestazione della volontà di recedere dal contratto preliminare. Afferma che per contro la lettera raccomandata del 10.5.2001 non recava alcuna dichiarazione di recesso, bensì una diffida ad adempiere al rilascio del certificato di abitabilità seguita dalla richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento dei danni. Rileva inoltre che la diffida era da considerare priva di efficacia , in quanto proveniente da avvocato privo di procura speciale rilasciata per iscritto. Anche questo motivo è infondato. Quanto al primo profilo, relativo all’individuazione della volontà di recesso nella lettera inviata prima di instaurare il giudizio, va osservato che la Corte di appello nel valorizzare la legittimità della scelta di domandare il recesso non si è soffermata sul contenuto della lettera, ma ha fatto riferimento alla .relativa domanda, tenuto conto che non vi era alcun dubbio circa l’opzione esercitata dalla parte attrice Cass la quale in tal modo ha contenuto la richiesta risarcitoria nei limiti della caparra convenuta e raddoppiata . Essa ha quindi considerato la scelta di domandare in giudizio il recesso, scelta che è legittima anche quando in precedenza sia stata prospettata stragiudizialmente la volontà di risolvere il contratto. Cass. numero 16221 del 18/11/2002 Rv. 558568 insegna infatti che la parte adempiente di un contratto preliminare di compravendita, che abbia ricevuto una caparra confirmatoria e si sia avvalsa della facoltà di provocare la risoluzione del contratto mediante diffida ad adempiere articolo 1454, cod. civ. , può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso articolo 1385, secondo comma, cod. civ. e, in quest’ultimo caso, ha diritto di ritenere definitivamente la caparra confirmatoria, non anche il diritto di ottenere il risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso conf. Cass. 387/05 . Ovviamente nel caso, come quello in esame, in cui sia inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra, è l’altra che può esercitare il recesso per ricevere la restituzione e il pagamento del doppio della caparra. 5 Il secondo profilo del motivo relativo alla eccezione di nullità dell’atto stragiudiziale di recesso per mancanza di forma scritta risulta a questo punto superato. Mette conto tuttavia riferire che di esso parte resistente aveva rilevato l’inammissibilità per tardivo rilievo della questione e l’infondatezza di essa per intervenuta ratifica dell’atto di recesso. Quest’ultima controeccezione di parte resistente coglie nel segno, perché con l’atto di citazione sottoscritto dalla parte nel rilasciare il mandato al proprio difensore, l’operato precedente di quest’ultimo è stato ratificato, come la giurisprudenza delle sezioni semplici ha da tempo affermato Cass. numero 21229 del 14/10/2010 Cass. numero 16221/2002 - Rv. 558567 1609/94 , senza trovare smentita dalle Sezioni Unite, che in sentenza numero 14292 del 2010 cfr in motivazione, passaggi finali non hanno avuto modo di occuparsene. 6 Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia e alla nota spese che indica in Euro 6,45 sei,45 le spese vive di cui viene chiesto e accordato il ristoro. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 5.000 per compenso e spese vive, oltre accessori di legge, rimborso delle spese generali 15% .