Riforma del Terzo settore: ONLUS verso l’impresa sociale

L’adozione del Codice del Terzo Settore d.lgs. 3 luglio 2107, n. 117 , con la sua appendice dedicata all’impresa sociale d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112 mira a compiere una profonda revisione organica della disciplina applicabile agli enti non lucrativi sia sotto il profilo civilistico che tributario.

Tale intervento coglie il merito di disegnare un quadro normativo coerente ed innovativo, capace di interpretare le profonde esigenze di rivisitazione e coordinamento precedentemente emerse ma, per converso, pone gli attuali operatori del settore dinanzi a scelte di inquadramento sistematico di non immediata o scontata assunzione. Infatti, se per talune forme organizzative – organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, in primis – la migrazione” verso la corrispondente categoria di enti prevista dal nuovo codice del terzo settore appare un approdo naturale, notevoli dubbi sussistono circa collocazione delle attuali ONLUS, che in quanto non più annoverate fra i futuri ETS, si troveranno di fronte ad una doppia scelta sistematica. Una volta infatti positivamente sciolta la riserva relativa all’entrata nel terzo settore, dovranno optare per la sezione del registro cui richiedere l’iscrizione, ben consapevoli che l’appartenenza ad una o all’altra categoria di ETS importerà rilevanti ripercussioni di carattere civilistico e fiscale. Disciplina tributaria. Al di là di problemi specifici riguardanti la sussistenza dei requisiti inerenti la qualifica di ETS – essenzialmente perseguimento senza scopo di lucro di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 del CTS e delle attività diverse previste dall’art. 6 – gli enti si troveranno al cospetto di una disciplina tributaria assai innovativa e non sempre migliorativa rispetto a quella precedentemente riservata alle ONLUS. In particolare, le vecchie ONLUS dovranno misurarsi con la sopravvenuta assenza della decommercializzazione delle attività di interesse generale svolte, fondata sulla semplice ricomprensione nell’elencazione di legge, a sua volta in larga parte connessa alla natura di soggetti svantaggiati, cui quelle attività dovevano essere essenzialmente rivolte. La nuova nozione fiscale di ETS non commerciale non fa più alcun riferimento ai soggetti svantaggiati quali destinatari dello svolgimento dell’attività istituzionale, ma prevede un criterio oggettivo di gratuità delle prestazioni, che potranno tutt'al più essere fornite dietro versamento di corrispettivi non eccedenti i costi effettivamente sostenuti. Anche le vecchie attività connesse ora denominate diverse non conoscono più una decommercializzazione oggettiva legata alla sussistenza di requisiti di strumentalità e non prevalenza, anzi seppure ammesse con analoghe limitazioni senza far perdere la qualifica di ETS, concorreranno sempre e comunque alla determinazione di proventi di natura commerciale. Appare allora chiaro come le ONLUS dovranno attentamente valutare l’impatto che le nuove disposizioni potranno avere riguardo alla propria qualificazione civile e fiscale, rischiando, in molti casi, di vedersi riconosciuta la qualifica di ETS, ma contemporaneamente quella di enti fiscalmente commerciali, con il grave corollario dell’attrazione a tassazione quale reddito d’impresa di ogni forma di entrata anche di natura liberale . Una via d’uscita. Una possibile via d’uscita da tale effetto distorsivo ricorrente in tutte le attuali ONLUS con attività istituzionali e connesse profittevoli e comunque eccedenti le entrate di natura liberale donazioni e quote associative , potrebbe essere fornita dalla nuova categoria di ETS rappresentata dall’impresa sociale, in particolare dalla nuova disciplina fiscale della stessa, che prevede la completa detassazione degli avanzi di gestione non distribuiti condizione per altro oggettivamente ricorrente negli enti costituiti in forma di associazione o fondazione . Una ONLUS che svolgesse la propria attività in uno dei settori previsti dal decreto sull’impresa sociale, potrebbe decidere quindi di assumere proprio tale qualifica, beneficiando più o meno di tutte le norme agevolative previste dal codice del terzo settore cinque per mille, deducibilità erogazioni liberali per i soggetti eroganti, social bonus , ecc. con una governance ed obblighi di trasparenza simili a quelli degli altri ETS, qualificando tutte le entrate come commerciali, ma beneficiando di una loro generale detassazione con l’unico onere del divieto di distribuzione degli eventuali avanzi di gestione. Che quella illustrata sia una scelta del tutto legittima, anzi addirittura incoraggiata dal legislatore delegato, almeno con riferimento alle ONLUS organizzate secondo criteri prettamente imprenditoriali, è testimoniato da una specifica disposizione normativa. L’art. 101, comma 8 del CTS, prevede espressamente che la perdita della qualifica di ONLUS a seguito dell’iscrizione nel Registro Unico del terzo settore, non comporta lo scioglimento dell’ente, né l’obbligo di devoluzione del patrimonio, anche nel caso venga acquisita la qualifica di impresa sociale. Pertanto le ONLUS avranno piena di facoltà di poter valutare il loro inserimento nel terzo settore assumendo la qualifica più coerente rispetto alle rispettive strutture organizzative con particolare riferimento alle modalità di svolgimento delle attività di interesse generale, diverse e di raccolta fondi concretamente realizzate. Naturalmente queste considerazioni di ordine assolutamente generale, non possono prescindere da una attenta analisi delle singole fattispecie, ciascuna caratterizzata da un’ampia gamma di peculiarità e condizionamenti concreti, da valutare in rapporto ad una disciplina permeata da un complesso rapporto tra regole ed eccezioni, la cui comprensione richiederà un grado di specializzazione e preparazione tecnica assai maggiore che nel recente passato.