La Cassazione ricompone il puzzle relativo all’articolo 32 d.P.R. numero 600/1973, modificato prima dalla l. numero 311/2004, poi oggetto di una pronuncia di illegittimità costituzionale e nuovamente ritoccato dal legislatore con il d.l. numero 193/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. numero 225/2016.
Sul tema la sentenza della Suprema Corte numero 44562/18, depositata il 5 ottobre. La vicenda. Il Tribunale di Reggio Calabria confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Locri in relazione a diversi reati fiscali contestati all’imputato, mantenendo però la misura solo per alcune imputazioni e rideterminando dunque l’ammontare della somma sequestrata. Il Procuratore della Repubblica ricorre per la cassazione della pronuncia deducendo l’erronea interpretazione degli articolo 32, comma 1, numero 2 , d.P.R. numero 600/1973 e 51, comma 2, numero 2 , d.P.R. numero 633/1972. Il ricorso si basa, sostanzialmente, sul principio secondo cui le presunzioni legali previste dall’ordinamento tributario hanno sufficiente valore indiziario a giustificare la misura cautelare reale, salvo elementi di segno contrario. Accertamenti fiscali e presunzione legale. L’articolo 32, comma 1, numero 2 , d.P.R. numero 600/1973 come modificato dalla finanziaria del 2005 l. numero 311/2004 , dispone che i dati e gli elementi trasmessi su richiesta, rilevanti direttamente oppure all’esito dei controlli relativi alle imposte su produzione e consumo, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal medesimo d.P.R. agli articolo 38, 39, 40 e 41, salvo che il contribuente dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza a tal fine. La Corte ricorda inoltre che i prelevamenti o gli importi riscossi in tali operazioni sono posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti con conseguente assoggettabilità a tassazione se il contribuente non indica i soggetti beneficiari. Il legislatore, con la l. numero 311/2004, ha infatti esteso la presunzione originariamente limitata ai “ricavi” e dunque agli imprenditori , anche ai “compensi” e così ai lavoratori autonomi. La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 228/14, ha però dichiarato l’illegittimità costituzionale del riferimento ai compensi. La Corte di Cassazione è dunque giunta a ritenere che «in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’articolo 32 d.P.R. numero 600/1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto concorrente dal professionista o dal lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte Costituzionale numero 228/2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti». Il legislatore è dunque tornato sul tema con il d.l. numero 193/2016 eliminando dal disposto dell’articolo 32 cit. il rifermento ai “compensi”. Concludendo con l’accoglimento del ricorso e l’annullamento del provvedimento impugnato la Suprema Corte cristallizza il principio secondo cui «in tema di accertamento, anche dopo l’entrata in vigore del d.l. numero 193/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. numero 225/2016, che ha eliminato, dal disposto dell’articolo 32, comma 1, numero 2 , d.P.R. numero 600/1973, il riferimento ai compensi, resta invariata la presunzione legale posta dallo stesso articolo 32, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti dai fatti imponibili. La base legale della presunzione per i versamenti è rappresentata infatti dal secondo periodo del numero 2 del comma 1, dell’articolo 32 richiamato, che non opera alcuna distinzione fra le varie categorie di contribuenti e non è stato toccato né dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 228/2014 né dal d.l. numero 193/2016».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 maggio – 5 ottobre 2018, numero 44562 Presidente Cavallo – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 21 novembre 2017. il Tribunale di Reggio Calabria ha parzialmente confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Locri il 23 ottobre 2017, per l’importo di Euro 1.777.722,67, in relazione a sei reati fiscali. Il Tribunale del riesame ha mantenuto il sequestro solo quanto al capo 1 dell’imputazione provvisoria ad 2 del d.lgs. numero 74 del 2000 , annullando il decreto quanto ai capi da 2 a 6 diverse condotte di cui all’articolo 4 del d.lgs. numero 74 del 2000 e rideterminando l’ammontare del sequestro in Euro 30.650,00. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Locri, deducendo, con unico motivo di doglianza, l’erronea applicazione degli articolo 32, comma 1, numero 2 , del d.P.R. numero 600 del 1973 e 51, comma 2, numero 2 , del d.P.R. numero 633 del 1972. Si richiama il principio posto a base del decreto applicativo del sequestro, secondo cui le presunzioni legali previste dalle norme tributarie hanno un valore indiziario sufficiente, in mancanza di elementi di segno contrario, a giustificare l’applicazione della misura cautelare reale. E si lamenta che il Tribunale ha ritenuto non operante la presunzione relativa fissata dalla prima delle disposizioni richiamate, secondo cui i prelevamenti e gli importi riscossi dai conti bancari sono considerati come ricavi anche per i professionisti. Tale ricostruzione interpretativa si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza costituzionale e di legittimità. 3. In prossimità dell’udienza camerale davanti a questa Corte, l’indagato ha depositato memoria, con la quale sostiene la correttezza dell’interpretazione data dal Tribunale, secondo cui è impossibile dare corso alla presunzione di cui all’articolo 32 richiamato, rispetto agli accrediti sui conti correnti bancari dei professionisti. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato. 4.1. Il Tribunale basa la sua statuizione di annullamento parziale sulla non operatività della presunzione legale relativa di cui agli articolo 32, comma 1, numero 2 , del d.P.R. numero 600 del 1973 e 51, comma 2, numero 2 , del d.P.R. numero 633 del 1972, affermando,. di non condividere, sul punto, l’impostazione accusatoria, secondo cui devono essere presuntivamente considerati come compensi percepiti dal professionista, per i rispettivi anni dr imposta, tutti gli accrediti rinvenuti, attraverso indagini bancarie sui conti correnti personali e su quelli intestati allo studio professionale dei quali l’indagato non sia stato in grado di giustificare la provenienza. Il Tribunale, richiama la formulazione dell’articolo 32, comma 1, numero 2 , anteriore all’intervento legislativo del 2016, che prevedeva la possibilità Per l’amministrazione finanziaria di porre come ricavi o compensi a fondamento degli avvisi di accertamento i prelevamenti o gli importi riscossi dal contribuente. Tale previsione fu estesa ai compensi dei lavoratori autonomi dalla giurisprudenza di legittimità e poi dalla legge finanziaria numero 311 del 2004, articolo 1, commi 402-406. Si richiama, poi, la sentenza della Corte costituzionale numero 228 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui estendeva ai lavoratori autonomi la citata presunzione relativa, seppure limitatamente ai prelevamenti, restando dunque ferma l’equiparazione tra impresa e professionista con riguardo ai versamenti. Da tale pronuncia sarebbe sorto, nella giurisprudenza di legittimità, un contrasto interpretativo circa l’operatività della presunzione con riferimento ai versamenti effettuati Si ricorda, infine, che, nell’ambito di tale contrasto interpretativo, è intervenuto il legislatore, con il decreto-legge numero 193 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 225 del 2016 che, all’articolo 1-quater, ha eliminato, dal disposto del richiamato articolo 32, comma 1, numero 2 del d.P.R. numero 600 del 1973, il riferimento ai compensi. Secondo l’interpretazione data dal Tribunale, l’espunzione dei compensi dalla disposizione manifesterebbe l’intenzione del legislatore di abolire del tutto l’operatività della presunzione rispetto agli accertamenti bancari sui conti correnti dei professionisti e lavoratori autonomi, limitandosene l’applicazione al reddito di impresa. Si tratterebbe di un’interpretazione che non si pone in contrasto con le pronunce della giurisprudenza di legittimità che avevano affermato l’operatività della presunzione rispetto ai professionisti, perché tali pronunce non si erano espressamente confrontate con la nuova normativa, ma solo con il quadro delineato dalla sentenza della Corte costituzionale del 2014. 4.2. L’interpretazione del quadro normativo fornita dal Tribunale non è condivisibile. 4.2.1. L’articolo 32, comma 1, numero 2 , secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600 Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi , come modificato dall’articolo 1, comma 402, lettera a , numero 1 , della legge 30 dicembre 2004, numero 311 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato legge finanziaria 2005 , dispone che i dati ed elementi trasmessi su richiesta ex articolo 32, comma 1, numero 7, del d.P.R. numero 600 del 1973 , rilevati direttamente ex articolo 33, commi 1 e 2, del d.P.R numero 600 del 1973 ovvero nei controlli relativi alle imposte sulla produzione o consumo ex articolo 18, comma 3, lettera b , del d.lgs. 26 ottobre 1995, numero 504 sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articolo 38, 39, 40 e 41 del medesimo d.P.R. numero 600 del 1973, salvo che il contribuente dimostri che ne ha tenuto conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza a tal fine. Prevede, poi, che i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito delle predette operazioni sono posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti e sono quindi assoggettabili a tassazione , se il contribuente non ne indica i soggetti beneficiari e sempreché non risultino dalle scritture contabili. La presunzione disciplinata da tale ultima parte della norma nella sua originaria formulazione limitata a ricavi interessava unicamente gli imprenditori, l’articolo 1 della legge numero 311 del 2004 Inserendo anche i compensi ne ha poi esteso l’ambito operativo ai lavoratori autonomi. 4.2.2. Su questa formulazione della disposizione e intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza numero 228 del 2014, dichiarandone l’illegittimità costituzionale limitatamente alle parole o compensi . All’esito di tale pronuncia, dopo alcune iniziali oscillazioni Cass. civ., Sez. 5, numero 23091 del 11/11/2015, Rv. 637174 01 Sez. 5 numero 12781 del 21/06/2016, Rv. 690199 01 , la Corte di cassazione civile ha più volte chiarito che, in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’articolo 32 del d.P.R. numero 600 del 1973. con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavorato e autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale numero 228 del 2019, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente al prelevamenti sui conti correnti ex plurimis, Cass. civ., Sez. 5, numero 16697 del 09/08/2016, Rv. 640983 01 Sez. 6 5, numero 3628 del 10/02/2017, Rv. 643207 01 Sez. 5, numero 19806 del 09/08/2016 Sez. 6 5, numero 7951 del 30/03/2018, Rv. 647721 01 . E tale interpretazione deve essere ritenuta coerente con il dictum della Corte costituzionale, pur nell’apparente contraddittorietà intrinseca della richiamata sentenza numero 228 del 2014, nella quale sembrerebbe essere rinvenibile una discrasia tra motivazione e dispositivo nella prima avendo fatto chiaramente riferimento ai soli prelevamenti dai conti bancari e nel secondo, invece, avendo sancito in maniera perentoria l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata limitatamente alle parole o compensi , che ne l’architettura del citato articolo 32, è posta con riferimento ai prelevamenti, ma anche agli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni , che potrebbero far pensare ai versamenti. La maggior coerenza di tale orientamento con la sentenza della Corte costituzionale rispetto all’opposto indirizzo secondo cui la stessa avrebbe escluso l’equiparazione anche per i versamenti discende dalla considerazione che la sopra rilevata discrasia tra motivazione e dispositivo della stessa non si traduce in un vero e proprio contrasto tra le due parti della pronuncia can la conseguenza che la sua portata precettiva deve essere individuata integrando il dispositivo con la motivazione. Ed in questa è chiaramente desumibile, anche alla stregua della questione di costituzionalità sollevata dal giudice remittente, che la Corte costituzionale ha inteso escludere l’operatività della presunzione legale basata sugli accertamenti bancari, nei confronti dei lavoratori autonomi, solo ed esclusivamente ai prelevamenti. E lo si ricava dalle argomentazioni svolte dal Giudice delle leggi nel corpo motivazionale della pronuncia punti 4, 4.1 e 4.2 e dalla conclusione tratta al punto 5, ove si afferma che Pertanto nel caso dr specie la presunzione e lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito . Nessun riferimento viene invece fatto ah versamenti in conto. 4.2.3. Il quadro non è sostanzialmente mutato a seguito dell’intervento dei legislatore, con il decreto-legge numero 193 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 225 del 2016 che, all’articolo 7-quater, ha eliminato, dal disposta del richiamato articolo 32, comma 1, numero 2 del d.F.R. numero 600 del 1973, il riferimento ai compensi. L’espunzione dei compensi dalla disposizione non esprime, infatti, l’intenzione del legislatore di abolire de, tutto l’operatività della presunzione rispetto agli accertamenti bancari sui conti correnti dei professionisti e lavoratori autonomi, ma rappresenta semplicemente il recepimento in sede legislativa degli effetti che la sentenza della Corte costituzionale numero 228 del 2014, che aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 32 proprio in relazione ai compensi. Infatti, se il legislatore avesse voluto eliminare del tutto la presunzione per i professionisti e i lavoratori autonomi avrebbe dovuto modificare il precedente periodo del numero 2 del comma 1 dell’articolo 32, che è la fonte di tale presunzione e non opera alcuna distinzione fra le varie categorie di contribuenti. Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto “In tema di accertamento, anche dopo l’entrata in vigore del decreto-legge numero 193 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 225 del 2016, che ha eliminato, dal disposto dell’articolo 32, comma 1, numero 2 , del d.P.R. numero 600 del 1923, il riferimento ai compensi, resta invariata la presunzione legale posta dallo stesso articolo 32, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili. La base legale della presunzione per i versamenti è rappresentata, infatti, dal secondo periodo del numero 2 del comma 1 dell’articolo 32 richiamato, che non opera alcuna distinzione fra le varie categorie di contribuenti e non è stato toccato né sentenza della Corte costituzionale numero 228 del 2014 né dal decreto-legge numero 193 del 2016 . 5. In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, limitatamente ai reati di cui ai capi da 2 a 6 , con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria, perché proceda a nuovo giudizio, facendo applicazione del principio di diritto sopra enunciato. P.Q.M. Annulla l’ordinanza Impugnata, limitatamente ai reati di cui ai capi da 2 a 6 dell’imputazione provvisoria, con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria.