Respinta la richiesta di risarcimento presentata dai familiari dell’uomo nei confronti dell’azienda. A fronte del quadro relativo ad orari e turnazione, i Giudici escludono che vi sia un nesso tra lo stress lavorativo e il problema fisico che ha ucciso il lavoratore.
Turni di lavoro pesanti, con un impegno settimanale capace di raggiungere la soglia delle 48 ore. Ciò nonostante, è impossibile addebitare all’azienda l’arresto cardiaco che ha provocato la morte di un dipendente. Respinta, di conseguenza, la richiesta di risarcimento presentata dai familiari dell’uomo Cassazione, ordinanza numero 12808, Sezione Lavoro, depositata oggi . Quadro. Passaggio decisivo in Appello, dove i giudici escludono che «il decesso del dipendente», avvenuto nel 2002, «sia ricollegabile alle condizioni di lavoro», respingendo l’ipotesi avanzata dai parenti. Questa decisione viene poggiata sulla valutazione del «quadro degli orari e dei turni di lavoro» in sostanza, i Giudici ritengono che «non era ravvisabile alcuna violazione dell’obbligo di sicurezza a carico dell’azienda, essendo i turni predisposti coerenti con il tipo di impegno richiesto ai lavoratori». E a questo proposito viene anche osservato che «era stata predisposta una regolamentazione dei turni, con riposo di 48 ore dopo il turno notturno a cadenza mediamente settimanale». Esclusa, infine, anche l’ipotesi che «le mansioni svolte avessero potuto rappresentare una concausa dell’arresto cardiaco», poiché «è stata confermata l’effettuazione di lavoro straordinario ed è stato riscontrato il mancato riposo solo per l’anno 2002». Sicurezza. Inutile il ricorso in Cassazione presentato dai familiari dell’uomo. I Giudici del Palazzaccio, difatti, mostrano di condividere la valutazione compiuta in Appello, cioè che va escluso «ogni inadempimento dell’azienda» sul fronte della «riconducibilità dell’arresto cardiaco all’incidenza della attività lavorativa». In particolare, i magistrati spiegano che «l’articolazione dei turni non può far ritenere provata la violazione dell’obbligo di sicurezza», e allo stesso tempo non è minimamente dimostrato che il dipendente «sia stato esposto, nei quattro anni di durata del suo rapporto con l’azienda, ad uno stress lavorativo intenso e prolungato».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 20 febbraio – 23 maggio 2018, numero 12808 Presidente Bronzini – Relatore Arienzo Rilevato che 1. con sentenza del 6.3.2013, la Corte di appello di Potenza, in accoglimento del gravame proposto dal Consorzio di Bonifica Alta Val d'Agri ed in riforma della pronuncia del locale Tribunale, rigettava la domanda proposta dagli eredi di Gr. Ra., in seguito al decesso del predetto per arresto cardiaco il 26.3.2002, per il risarcimento dei danni subiti, patrimoniali e non, jure hereditatis e jure proprio, sul presupposto che il decesso del loro congiunto fosse ricollegabile alle condizioni di lavoro, con conseguente responsabilità datoriale ex articolo 2087 c.c. 2. la Corte riteneva che nel caso in esame non era stata fornita nel giudizio di primo grado la prova del danno e della sussistenza del nesso di causalità tra inadempimento datoriale ed il danno stesso, avendo i testi escussi confermato che i turni, pomeridiano e notturno, erano stabiliti per la guardiania della diga di Marsico Nuovo, con compiti limitati alla sorveglianza e controllo visivo della diga nel turno mattutino ed alle operazioni di controllo dei misuratori di perdita d'acqua da parte degli operai addettivi, a rotazione, della durata di almeno un'ora, con accesso ai cunicoli, mentre l'accesso al pozzo di manovra avveniva mediamente ogni quindici o trenta giorni che, dopo il turno notturno, era previsto un riposo di 24 ore che inoltre, dalla documentazione allegata, era emerso che, con accordo del 2.5.2000, era stata predisposta una diversa regolamentazione dei turni, con riposo di 48 ore dopo il turno notturno a cadenza mediamente settimanale in base a tale quadro degli orari e turni di lavoro osservava che non era ravvisabile violazione di un obbligo di sicurezza a carico del consorzio, essendo i turni predisposti coerenti con il tipo di impegno richiesto ai lavoratori, e che non poteva affermarsi neanche che le mansioni svolte avessero potuto, in termini probabilità, rappresentare una concausa dell'evento, essendo stata confermata l'effettuazione di lavoro straordinario e riscontrato il mancato riposo compensativo solo per la stagione irrigua dell'anno 2000 3. evidenziava, poi, la Corte che, in caso di patologie aventi carattere comune, specie ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità tra attività lavorativa ed evento, in assenza di rischio specifico, non potesse essere oggetto di presunzioni di carattere astratto, esigendo, per il suo riconoscimento, una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro ed alla durata ed intensità di esposizione al rischio, e potendo lo stress lavorativo configurare una causa violenta solo ove lo stesso avesse assunto la consistenza di un evento eccezionale ed abnorme, idoneo a determinare una brusca rottura dell'equilibrio organico anche in relazione alle condizioni ambientali e di lavoro improvvisamente assurte a valori eccedenti la normale adattabilità e tollerabilità 4. venivano, pertanto, disattese motivatamente le conclusioni del C.t.u. nominato in grado di appello 5. di tale decisione domandano la cassazione gli eredi di Gr. Ra., affidando l'impugnazione a due motivi, illustrati con memoria depositata ai sensi dell'articolo 380 bis.1 c.p.c, cui ha resistito, con controricorso, il Consorzio. Considerato che 1. con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 2087 e 1218 c.c., insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti legittimanti la tutela prevista dall'articolo 2087 c.c., sul rilievo che tale norma è posta a presidio dell'interesse giuridicamente rilevante del lavoratore di operare e/o di espletare la prestazione di lavoro in ambiente di lavoro e/o in un contesto lavorativo sicuro ed esente da rischi che attentino al bene salute costituzionalmente tutelato e che, quanto al nesso di causalità, in caso di predisposizione morbosa, è considerata concausa del decesso, in relazione anche al principio di equivalenza causale di cui all'articolo 41 c.p.c. - che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali - ogni fattore patogenetico che, rompendo l'equilibrio precario nella salute del soggetto, ne determini l'anticipato decesso si richiamano a fondamento della doglianza norme dei c.c.numero l. di settore che disciplinano la durata del lavoro ordinario settimanale e norme di legge che prevedono, in caso di lavoro notturno, la necessità di accertamenti preventivi o periodici in funzione della rilevazione di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro notturno e si rileva che, alla luce di tali elementi, risultano contraddittorie le conclusioni della Corte di appello laddove ha affermato che non vi sarebbero stati inadempimenti da parte del Consorzio ai danni del Gr., anche in presenza di turni che comportavano un impegno settimanale di 48 ore e di mancanza di visite mediche preventive o di adeguata informazione dei rischi alla salute connessi all'espletamento di lavoro notturno 2. vizio di illogica e/o omessa motivazione è denunciato col secondo motivo con riferimento alle ragioni di mancata adesione da parte del giudice del gravame alle risultanze peritali, osservandosi che il Consorzio non ha dato prova di alcunché rispetto alle circostanze del cui onere probatorio era gravato che l'evento fosse dipeso da fatto a lui non imputabile , non avendo lo stesso contestando, peraltro, gli addebiti mossi dai ricorrenti, e che l'omissione datoriale costituisce la condicio sine qua non, se costituisce l'inizio del processo eziologico, o meglio se ha rappresentato una condizione senza la quale la probabilità naturale di quell'evento sarebbe rimasta ad un livello così basso da rendere poco probabile o addirittura improbabile il verificarsi di quell'evento, o anche se ha promosso l'evento, contribuendo ad aggravare o accelerare un processo già avviato 3. va, in primo luogo, evidenziato che in entrambi i motivi di ricorso il vizio di cui al 360 numero 5 c.p.c. è denunziato inammissibilmente come 'insufficiente contraddittoria motivazione ai sensi del vecchio testo dell'articolo di legge, laddove ratione temporis doveva denunciarsi l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per essere stata resa la sentenza impugnata il 6.3.2013 4. quanto al dedotto vizio di violazione di legge, vanno richiamati, a confutazione del motivo, i principi espressi da Cass. 29.1.2013, numero 2038 e Cass. 24.10.2017 numero 25151, secondo cui l'articolo 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, a ciò conseguendo che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e che solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi. E’ stato osservato che neanche la riconosciuta dipendenza delle malattie da una causa di servizio implica necessariamente, o può far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell'ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell'organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall'ambito dell'articolo 2087 cod. civ., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici 5. peraltro, nella specie, bene ha motivato la Corte sulla eziologia multifattoriale della patologia e sulla necessità, ai fini della prova del nesso causale, della dimostrazione, almeno in termini di probabilità, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata ed intensità dell'esposizione a rischio, che, rispetto all'evento dannoso, l'attività lavorativa avesse assunto un ruolo concausale, anche alla stregua della regola di cui all'articolo 41 cod. penumero secondo cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni - cfr., tra le altre, Cass. 19.6.2014 numero 13954, Cass. 9.9.2005 numero 17959, Cass. 12.3.2004 numero 5152, Cass. 3.5.2003 numero 6722 - 6. dall'istruttoria espletata era rimasto confermato, come osservato nella sentenza impugnata, che, con accordo sindacale del 2.5.2000, era stata predisposta una diversa regolamentazione dei turni con riposo di 48 ore dopo il turno notturno, con cadenza mediamente settimanale, e ciò ha indotto il giudice del gravame ad escludere ogni inadempimento datoriale, oltre che ogni profilo di riconducibilità dell'evento dannoso, per quanto detto, all'incidenza dell'attività lavorativa sulla patologia che aveva determinato il decesso del Gr., non mancandosi di rilevare che il riferimento a norme della contrattazione collettiva non è supportata dal deposito del relativo testo contrattuale neanche attraverso il richiamo a dati utili al suo rinvenimento nella documentazione delle fasi del merito, in dispregio dei principi sanciti, tra le altre, da Cass. 2861/14, 2427/14, 2966/11 7. in ordine al secondo motivo, è sufficiente a disattenderne i rilievi la considerazione che non solo il vizio di cui all'articolo 360 numero 5 c.p.c. è mal dedotto, come già sopra osservato, ma che la Corte ha motivato in ordine al proprio convincimento, che si discosta delle conclusioni peritali, evidenziando che il CTU ha ancorato le proprie conclusioni al mansionario stilato dal Consorzio in data 7.6.2001, laddove l'articolazione dei turni non può far ritenere provata la violazione dell'obbligo di sicurezza, né che il Gr. nei quattro anni di durata del suo rapporto di lavoro sia stato esposto ad uno stress lavorativo così intenso e prolungato da porsi come concausa dell'evento lesivo 8. devono poi, al riguardo richiamarsi i principi espressi da Cass. 3.3.2011 numero 5158, Cass. 7.8.2014 numero 17757, alla cui stregua le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio, che non hanno efficacia vincolante per il giudice, possono essere disattese soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del C.t.u. 9. la decisione del giudice del gravame ha indicato idoneamente, con giudizio immune da vizi e congruamente motivato, le ragioni che lo hanno indotto a disattendere le conclusioni del CTU officiato e ciò è sufficiente per ritenere assolto l'obbligo motivazionale posto a fondamento del diverso convincimento 10. ogni altra censura attinente alla quantificazione del danno, ovvero al mancato riconoscimento del danno morale iure proprio è, all'evidenza, assorbita 11. a quanto esposto consegue il rigetto del ricorso 12. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, con distrazione della stesse in favore dell'avv. Gi. Ma., dichiaratosene antistatario 13. sussistono le condizioni di cui all'articolo 13, comma 1 quater, D.P.R. 115 del 2002 P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, con attribuzione all'avv. Gi. Ma Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'articolo 13, comma 1bis, del citato D.P.R