La tempestività della contestazione disciplinare è relativa

L’immediatezza della contestazione dell’illecito disciplinare da parte del datore di lavoro deve intendersi in senso relativo avendo riguardo alle ragioni che possono aver cagionato nel caso di specie il ritardo.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 11583/18, depositata il 14 maggio. La vicenda. Un dipendente di Enel Distribuzione veniva licenziato per la mancata osservanza delle procedure aziendali nella rimozione di alcuni contatori. Sia in primo che in secondo grado, l’impugnazione del lavoratore veniva respinta. La questione giunge dunque all’attenzione della Corte di legittimità. Tempestività della contestazione. Il lavoratore ricorrente si duole per la violazione dell’articolo 7 stat. lav. relativo alla tempestività della contestazione disciplinare, avvenuta, nel caso di specie, ad oltre un anno dalla realizzazione dei fatti contestati. Sostiene il ricorrente che la complessità dell’organizzazione aziendale non possa giustificare la tardività della contestazione. La doglianza risulta priva di fondamento, poiché, ricorda il Collegio, l’immediatezza deve intendersi in senso relativo avendo riguardo alle ragioni che possono aver cagionato nel caso di specie il ritardo, quale il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o proprio la complessità della struttura organizzativa dell’impresa. Nella vicenda in esame, i giudici di merito hanno correttamente riscontrato la necessità di accertamenti complessi volti alla verifica degli episodi contestati. Correttamente dunque hanno applicato il principio secondo cui «il datore di lavoro ha il potere, ma non l’obbligo di controllare in modo continuo i propri dipendenti, contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli articolo 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato» Cass. numero 10069/16 . La Corte di Cassazione rigetta dunque il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 22 febbraio – 14 maggio 2018, numero 11583 Presidente Doronzo – Relatore Ghinoy Fatto e diritto rilevato che 1. la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso proposto da C.M. volto ad impugnare il licenziamento intimatogli in data 3/8/2011 da Enel distribuzione S.p.A. all’esito della contestazione disciplinare del 10 giugno 2011 con la quale gli si addebitava di avere rimosso arbitrariamente nel periodo dal 29 gennaio 2016 al 10 giugno 2016 numero 4 contatori al di fuori delle ordinarie procedure aziendali, senza dare alcuna comunicazione alle strutture preposte delle manomissioni su di essi palesemente visibili 2. per la cassazione della sentenza C.M. ha proposto ricorso, cui E-distribuzione S.p.A., già Enel distribuzione S.p.A. ha resistito con controricorso 3. le parti hanno depositato anche memorie ex articolo 380 bis comma 2 c.p.c. 4. il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata. Considerato che 1. come primo motivo di ricorso, C.M. deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 7 della legge numero 300 del 1970 e lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto tempestive la contestazione disciplinare effettuata dopo più di un anno dalla realizzazione dei fatti oggetto di contestazione e la successiva irrogazione del licenziamento dopo 39 giorni dall’audizione del lavoratore richiama i principi secondo i quali la complessità dell’organizzazione aziendale non giustifica la tardività della contestazione e fa presente che i contatori sostituiti vengono immediatamente consegnati e sono quindi a disposizione del datore, sicché era immediatamente riscontrabile l’esistenza di una manomissione 2. come secondo motivo, lamenta la violazione di legge e l’omesso esame circa punti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e lamenta che la stringata motivazione della Corte abbia rigettato tutti gli altri motivi di appello, che avevano ad oggetto a la violazione dei principi in tema di onere della prova circa l’imputabilità al ricorrente dei fatti posti alla base del licenziamento, b la mancanza di proporzionalità della sanzione, c la mancata immediatezza dell’irrogazione della sanzione, d la mancata affissione del codice disciplinare. Lamenta altresì di essere stato condannato alle spese. 3. Il primo motivo non è fondato. Questa Corte ha reiteratamente affermato che l’immediatezza della contestazione disciplinare va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell’impresa, fermo restando che la valutazione delle suddette circostanze è riservata al giudice del merito Cass. numero 281 del 12/01/2016, Cass. numero 20719 del 10/09/2013 . Nel caso, la Corte territoriale ha tenuto conto di tutti gli elementi che emergevano dalla ricostruzione fattuale, argomentando che la condotta si inseriva nell’ambito di complessi accertamenti volti a verificare episodi di illecita manomissione dei contatori da parte di utenti del servizio Enel, effettuata con la connivenza di dipendenti della società, seguita da rimozione dei contatori manomessi onde nascondere quanto in precedenza verificatosi. Ciò aveva determinato la necessità di verificare i misuratori che erano stati rimossi e, nel caso si riscontrassero anomalie, risalire alle operazioni che erano state allo scopo poste in essere. Il ricorrente non prospetta fatti e circostanze che consentano di revocare in dubbio tale argomentazione, solo affermando che il datore di lavoro avrebbe dovuto accorgersi prima della manomissione dei contatori da lui rimossi. Tale aspetto tuttavia non è decisivo, alla luce del principio, ribadito da Cass. numero 10069 del 17/05/2016, secondo il quale Il datore di lavoro ha il potere, ma non l’obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti, contestando loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli articolo 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione ove avesse controllato assiduamente l’operato del dipendente, ma con riguardo all’epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza . 3.1. Inoltre, fermo l’intervallo temporale minimo di cinque giorni tra la contestazione scritta e l’irrogazione della sanzione previsto dall’articolo 7 comma 4 della legge numero 300 del 1970 ed in difetto di specifiche previsioni pattizie che nel caso non sono richiamate , l’irrogazione della sanzione disciplinare può avvenire anche a distanza di tempo dalla contestazione o dall’audizione del lavoratore , purché venga rispettato il principio della buona fede, che è matrice fondativa anche dell’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, e non ne risulti la volontà di soprassedere al licenziamento v. Cass. numero 10547 del 09/05/2007, Cass. numero 14074 del 28/09/2002 . Nel caso, non vengono tuttavia dedotte circostanze che la Corte non avrebbe valutato e che condurrebbero a ritenere riscontrabili tali aspetti nel tempo intercorso tra l’audizione del lavoratore e l’irrogazione della sanzione. 4. Il secondo motivo è inammissibile in quanto viola la prescrizione dell’articolo 366, numero 4, cod.proc.civ. che, secondo la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte, stabilisce che i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali, poichè il giudizio di cassazione è a critica vincolata, sicché la tassatività e specificità dei motivi di ricorso esige la formulazione del vizio in modo che esso possa rientrare nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito per tutte, Cass. numero 10420 del 18/05/2005, Cass. S.U, numero 17931 del 24/07/2013 . Non è quindi consentita l’esposizione diretta e cumulativa delle critiche che si muovono alla sentenza, quando la sua formulazione non permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato, così rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’articolo 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse v. Cass. numero 19443 del 23/09/2011, numero 15242 del 12/09/2012, numero 9793 del 23/04/2013, S.U, numero 9100 del 06/05/2015 . Questa è appunto la formulazione che caratterizza il motivo in esame, che consiste in un unico motivo misto, con il quale vengono riproposte tutte le argomentazioni fatte valere nel ricorso in appello senza attagliarle specificamente alla sentenza gravata e senza comprendere quale sia il tipo di vaglio che si richiede a questa Corte, che dovrebbe, come si suggerisce nella memoria, enucleare dal corpo del motivo le censure in fatto, quelle in diritto e quelle di natura processuale parlandosi anche di omessa pronuncia . 5. Per tali motivi il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 375, comma 1, numero 5, cod. proc. civ 6. Segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo. 7. Sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell’articolo 13, co. 1 quater, del d.lgs. numero 115 del 2002. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13, co. 1 quater, del d.lgs. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.