Divieto di espulsione dello straniero ""pericoloso"" sposato con un'italiana

di Massimo Brazzi

di Massimo Brazzi *La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 22100/11 depositata il 1° giugno, ha sancito il principio che il divieto di espulsione previsto dall'articolo 19, comma 2, lett. c , d.lgs. numero 286/1998 T.U. Immigrazione , si applica a tutte le ipotesi di espulsioni giudiziali, ivi compresa quella applicata al condannato a titolo di misura di sicurezza.La fattispecie. La vicenda trae origine dall'impugnazione promossa da un cittadino extracomunitario per la riforma dell'ordinanza emessa nei suoi confronti dal Tribunale della Sorveglianza di Catania in sede di reclamo avverso il decreto di espulsione del Magistrato di Sorveglianza di Siracusa a seguito di sentenza di condanna alla pena di anni due e giorni venti di reclusione inflitta dalla Corte d'Appello di Firenze per il reato di lesioni personali volontarie.La misura di sicurezza veniva applicata dal giudice, ritenendo la pericolosità sociale dell'immigrato, desunta dai precedenti giudiziari, dallo stile di vita, dallo stato di disoccupazione e dall'utilizzo di numerosi alias. Il provvedimento veniva altresì giustificato dall'impossibilità di applicare il divieto di espulsione previsto dall'articolo 19, comma 2, lett. c , d.lgs. numero 286/1998 convivenza dell'immigrato con il coniuge di nazionalità italiana nel caso di espulsione disposta come misura di sicurezza e non come misura alternativa alla detenzione.Il reclamante censura il provvedimento impugnato, denunciando la violazione dell'articolo 235 c.p., in relazione al combinato disposto normativo di cui agli articolo 1 e 19 d.lgs. numero 286/1998, laddove il giudice ha ritenuto - erroneamente - che il predetto divieto non si applichi all'espulsione disposta come misura di sicurezza e non come misura alternativa alla detenzione. Inoltre, il ricorrente censura l'ordinanza impugnata perché affetta da illogicità di motivazione nel punto in cui ha ritenuto insussistente la convivenza dell'immigrato con la moglie italiana.Ci sono casi in cui vige il divieto di espulsione. L'articolo 19 D. Lgs. numero 286/1998 disciplina i divieti di espulsione dell'immigrato clandestino che vengono di seguito elencati - impossibilità di espulsione verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. - impossibilità di espulsione degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi - impossibilità di espulsione degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell'articolo 9 D. Lgs. numero 286/1998 - impossibilità di espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana - impossibilità di espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.I predetti divieti valgono salvo quanto disposto dall'articolo 13, comma 1, D. Lgs. numero 286/1998, che disciplina l'espulsione dello straniero, anche non residente nel territorio dello Stato, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. In queste due ipotesi lo straniero potrà essere comunque rimpatriato.L'immigrato convivente con il coniuge di nazionalità italiana non può essere espulso. L'articolo 19, comma 1, lett. c , d.lgs. numero 286/1998, vieta espressamente la possibilità di espellere l'immigrato qualora conviva con il coniuge di nazionalità italiana.La norma si inquadra nell'ambito delle disposizioni di carattere umanitario a presidio del rispetto della vita privata e familiare dell'immigrato. L'unica ipotesi in cui risulta possibile derogare al divieto è il caso in cui il provvedimento di espulsione, nei confronti dello straniero, venga emesso dal Ministro dell'Interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato articolo 13, comma 1, D. Lgs. numero 286/1998 . In siffatta ipotesi l'interesse giuridicamente protetto dello straniero è recessivo rispetto alla prevalenza della tutela dell'ordine pubblico o della sicurezza dello Stato.La protezione internazionale della famiglia. L'articolo 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo CEDU prevede espressamente che 1 Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.2 Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui .La Corte di Strasburgo chiede equilibrio tra gli interessi in gioco. Lo Stato deve quindi rispettare i diritti contemplati nella CEDU, tra i quali figura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Sul punto la Corte di Strasburgo, con la sentenza El Boujaidi c. Francia, 26 settembre 1997, ha stabilito che spetta agli Stati contraenti assicurare l'ordine pubblico - nell'esercizio del loro diritto di controllare l'ingresso ed il soggiorno degli stranieri - per cui, a questo titolo, essi hanno diritto di espellere coloro che delinquono. Tuttavia, le loro decisioni in materia, in quanto possono incidere su un diritto protetto dall'articolo 8 della CEDU, devono essere necessarie in una società democratica , cioè giustificate da un bisogno sociale imperioso e, principalmente, proporzionate allo scopo che esse si prefiggono. Di conseguenza, ha rilevato la Corte Europea, la misura dell'espulsione deve rispettare un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco da una parte il diritto dello straniero al rispetto della sua vita privata e familiare, e, dall'altra, la protezione dell'ordine pubblico e la prevenzione dei reati Cass. Penumero , Sez. II, numero 3607/11 .Nella pronuncia Boultif c. Svizzera, 02 agosto 2001, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che l'espulsione di una persona dal Paese in cui vivono i congiunti costituisce un'ingerenza nel diritto garantito dall'articolo 8 CEDU, a meno che il provvedimento sia legittimamente adottato per uno o più scopi disciplinati dalla predetta norma a presidio di una società democratica.Non è stata dimostrata la convivenza. Con la sentenza in commento gli ermellini , ricostruendo la ratio dell'istituto del divieto di espulsione dell'immigrato qualora conviva con il coniuge italiano, ha ritenuto che il predetto divieto operi anche nel caso di espulsione disposta nei confronti dell'interessato a titolo di misura di sicurezza, salvo che sia accertato che il medesimo rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato .Tuttavia la Cassazione ha ritenuto di confermare l'espulsione nei confronti del ricorrente il quale non ha dimostrato il requisito della convivenza effettiva con la moglie italiana.* Avvocato e Tesoriere Camera Penale di Perugia

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 aprile - 1° giugno 2011, numero 22100Presidente Di Tomassi - Relatore BarbarisiRitenuto in fatto1. - Con ordinanza deliberata in data 23 giugno 2010, depositata in cancelleria il 24 giugno 2010, il Tribunale di sorveglianza di Catania rigettava il reclamo avanzato nell'interesse di B.A.G. avverso il provvedimento di espulsione dallo Stato emesso dal Magistrato di Sorveglianza di Siracusa in data 15 dicembre 2009 a seguito della condanna della Corte di Appello di Firenze in data 17 settembre 2008 ad anni due e giorni venti di reclusione per lesioni personali, cui non si era potuto dare esecuzione, in un primo momento, per mancanza di documenti identificativi. H giudice riteneva la pericolosità sociale del soggetto attuale e grave in considerazione dei gravi precedenti giudiziari, dello stile di vita adottato e dalle condizioni di disoccupazione oltre che dall'utilizzo in passato di numerosi alias, mentre non vi era dimostrazione di una effettiva convivenza con la moglie sposata nell'aprile del 2010 . Inoltre veniva osservata la non applicabilità dell'articolo 19 D L.vo 286/98 trattandosi la disposta espulsione una misura di sicurezza e non una misura alternativa alla detenzione,2. - Avverso il citato provvedimento ha personalmente interposto tempestivo ricorso per Cassazione B.A.G. chiedendone l'annullamento per i seguenti profili a violazione ed erronea applicazione dell'articolo 235 c.p., in combinato disposto con gli articolo 1 e 19 comma secondo D. L.vo 286/98 con riferimento all'articolo 606 comma primo lett. b c.p.p. erra il giudice nel ritenere che il motivo ostativo di cui all'articolo 19 D L.vo 286/98 si applichi solo alle misure alternative alla detenzione e non anche alle misure di sicurezza ex articolo 235 c.p. posto che il D.L.vo è volto a disciplinare la condizione giuridica dello straniero in Italia se non disposto da specifiche disposizione di legge e tale non può essere considerato l'articolo 235 c.p. compresa quindi l'ipotesi di espulsione come misura alternativa alla detenzione dettando le norme di cui al citato articolo 19 disposizioni di carattere umanitario.b manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all'articolo 606 comma primo lett. c c.p.p. il giudice non ha tenuto conto del fatto che il ricorrente dopo essersi sposato abita stabilmente a quello stesso indirizzo ove ha ricevuto le notifiche del presente procedimento. Dal 2007 ha inoltre dichiarato quale sia il suo vero nome sicché non risponde al vero che egli abbia usato degli alias avendo esibito il proprio passaporto.Osserva in diritto3. - Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.3.1 - Occorre preliminarmente rilevare, dando continuità a un principio di diritto già espresso da questa Corte di legittimità e che il Collegio condivide Cass., Sez. 3, 3 febbraio 2010 numero 18527, Nabli e altro, rv. 246974 , che la previsione secondo cui non è consentita l'espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge che siano di nazionalità italiana articolo 19, comma secondo, lett. e del D.Lgs, numero 286 del 1998 si applica a tutte le espulsioni giudiziali tra cui, senza dubbio, vi è la decisione del Tribunale di Sorveglianza, oggetto di ricorso, che ha applicato l'espulsione del condannato a titolo di misura di sicurezza.Tale principio è ricavabile non solo dal testo letterale dell'articolo 19 che esclude espressamente dal divieto di espulsione soltanto i casi previsti dall'articolo 13, comma primo, vale a dire nella ricorrenza di motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, ma anche dai principi di diritto sanciti dall'ari . 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, cui è stata data esecuzione in Italia con L. 4 agosto 1955, numero 848 , secondo cui ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza né può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui .A ciò deve aggiungersi che il decreto legislativo 8 gennaio 2007, numero 5 ha recepito la Direttiva Europea 2003/86/CE relativa al ricongiungimento familiare, modificando gli articolo 4, 5 e 13 del Testo Unico Immigrazione, stabilendo per il cittadino straniero regolarmente soggiornante in Italia di ricongiungersi con il familiare extracomunitario precedentemente espulso e quindi iscritto al SIS Sistema Informativo Schengen salvo che sia accertato che egli rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato tale normativa ha in concreto ribadito la ratio di salvaguardia umanitaria sottesa a tutta la disciplina dell'immigrazione.3.2 - Tanto rilevato, se dunque erra il Tribunale nel ritenere la non applicabilità dei principi di cui all'articolo 19 d.lgs. citato anche alle misure di sicurezza in tema di espulsione del cittadino extracomunitario in posizione irregolare, tuttavia va osservato che non solo il provvedimento gravato motiva in modo esaustivo l'attualità della peri-colosità del soggetto, quale desumibile dal significato sintomatico della grave condanna patita e del fatto che siano stati da lui utilizzati durante tutta la sua cospicua biografia criminale nomi identificativi falsi, ma argomenta altresì, in modo immune da vizi logici e giuridici ancorché ad abundantiam rispetto alla ritenuta non applicabilità del divieto sopra menzionato ex articolo 19 cit. sulla carenza dimostrativa della reale convivenza tra il ricorrente e la moglie, prova che neppure è stata adombrata in questa sede di legittimità.È ben vero che il ricorrente unitamente ad altre doglianze sviluppate nel merito e dunque in questa sede non ricevibili sostiene di aver trasferito dopo numerosi cambiamenti il proprio domicilio ove convivrebbe con la moglie a omissis , ove è peraltro avvenuta la notificazione degli atti processuali, ma è anche certo che a tale indirizzo egli non ha mai ricevuto personalmente e neppure la moglie tali atti, successivamente infatti ritirati in posta mentre la notificazione dell'avviso della presente udienza è avvenuta presso il difensore ai sensi dell'articolo 161 comma quarto c.p.p. non essendo stato rinvenuto nessuno all'indicato indirizzo.Nel ribadire che lo straniero, onde vantare una ostatività all'espulsione che lo attinge, deve dimostrare non solo di essere coniugato con un cittadino di nazionalità italiana, ma altresì che la convivenza con la stessa è concreta ed effettiva e ciò quantomeno per evitare un uso strumentale della norma di salvaguardia deve allora ribadirsi essere nella fattispecie mancante, come rilevato seppur incidentalmente dal giudice, il presupposto per attivare il ricongiungimento familiare in presenza oltretutto di una palese e motivata pericolosità residua del condannato.4. - Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.P.Q.M.rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.