L'avvocato non può essere condannato al risarcimento dei danni se non sussiste alcun nesso causale tra il suo comportamento e l'effetto dannoso prospettato dal cliente.
L'avvocato non può essere condannato al risarcimento dei danni se non sussiste alcun nesso causale tra il suo comportamento e l'effetto dannoso prospettato dal cliente. Si è così espressa la Terza sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 8309 depositata il 12 aprile scorso.La fattispecie. La portinaia di uno stabile di proprietà di una s.p.a. aveva chiesto ed ottenuto il riconoscimento del carattere subordinato del rapporto di lavoro, con le conseguenti disposizioni patrimoniali, per gli anni successivi alla data in cui la società le aveva unilateralmente comunicato che il rapporto in corso si era trasformato in contratto di appalto di servizi, avente ad oggetto le medesime prestazioni di portierato rese in precedenza. La s.p.a. allora proponeva azione di responsabilità contro il proprio avvocato, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, in relazione all'attività svolta nella vertenza promossa dalla donna nei confronti della stessa società. Eccezione di prescrizione rigettata ma è tutta colpa dell'avvocato? In particolare, la s.p.a. addebita all'avvocato il rigetto dell'eccezione di prescrizione il legale non avrebbe prodotto in giudizio i documenti, che gli erano stati tempestivamente inviati dalla stessa società, al fine di dimostrare la stabilità del rapporto di lavoro.Il difensore non risarcisce i danni l'eccezione sarebbe stata comunque respinta. Tale linea difensiva viene però bocciata dalla Suprema Corte il giudice di merito ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni non perché abbia ritenuto insussistente l'inadempimento, o perché abbia seguito un dato orientamento giurisprudenziale, o perché abbia voluto applicare la sospensione della prescrizione ai rapporti di lavoro autonomo, bensì solo perché ha escluso che sussista il nesso causale fra il comportamento dell'avvocato e l'effetto dannoso che la ricorrente ne prospetta a suo danno, ossia il rigetto dell'eccezione di prescrizione e ciò in considerazione del fatto che l'eccezione avrebbe dovuto essere comunque rigettata, anche se i documenti fossero stati prodotti poiché - a prescindere dalle dimensioni dell'azienda e dall'astratta configurabilità di rapporti di lavoro stabili - l'eccezione di prescrizione sarebbe stata comunque rigettata .Ricorso bocciato. Alla luce di tali considerazioni, ai giudici di legittimità non resta che rigettare il ricorso delle s.p.a
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 febbraio - 12 aprile 2011, numero 8309Presidente Petti - Relatore LanzilloSvolgimento del processoLa s.p.a. Paradiso ha proposto azione di responsabilità contro l'avv. P.B., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni nella misura di L. 161.064.349 Euro 83.182,79 , in relazione all'attività svolta nella vertenza promossa nei suoi confronti da M.G. M., già addetta ai servizi di portierato in uno stabile di proprietà dell'attrice.La M., con atto di citazione notificato nel 1985, aveva chiesto il pagamento di voci retributive non corrisposte fra il 1970 ed il 1980, periodo durante il quale essa aveva goduto gratuitamente dell'alloggio, svolgendo continuativamente attività di portierato aveva altresì chiesto il riconoscimento del carattere subordinato del rapporto di lavoro, con le conseguenti disposizioni patrimoniali, per gli anni successivi al settembre 1980, data quest'ultima in cui la società le aveva unilateralmente comunicato che il rapporto in corso era stato trasformato in contratto di appalto di servizi, avente ad oggetto le medesime prestazioni di portierato rese in precedenza, ed aveva richiesto un canone di locazione per l'appartamento già concessole in godimento gratuito.La società aveva resistito alle domande, contestando che vi fosse mai stato un rapporto di lavoro subordinato ed eccependo in subordine la prescrizione, per il periodo anteriore al quinquennio dall'inizio della causa.L'eccezione di prescrizione era stata respinta in primo grado, sul rilievo che la società non aveva fornito la prova della stabilità del rapporto di lavoro, presupposto indispensabile perché il termine potesse farsi decorrere durante l'esecuzione del rapporto, e la soc. Paradiso imputa al difensore di non avere prodotto in giudizio i documenti, che gli erano stati tempestivamente inviati, al fine di dimostrare la suddetta stabilità, ai sensi della legge numero 604 del 1966 e numero 300 del 1970.Il convenuto ha resistito alla domanda, chiamando in causa la sua assicuratrice, soc. coop. r.l. Cattolica di Assicurazioni.Il Tribunale di Massa ha respinto la domanda attrice e la Corte di appello di Genova - con sentenza numero 1094/2008, notificata il 24 ottobre 2008 - ne ha confermato la decisione.Con atto notificato il 23 dicembre 2008 la soc. Paradiso propone tre motivi di ricorso per cassazione.Resistono con separati controricorsi il B. e la Società Cattolica di Assicurazioni, la quale ultima propone due motivi di ricorso incidentale condizionato.L'attrice replica con controricorso al ricorso incidentale. La ricorrente e il B. hanno depositato memoria.Motivi della decisione1.- La Corte di appello ha motivato la sua decisione in base al rilievo che nel periodo in cui la M. prestava la sua attività di lavoro in favore della società ricorrente, il rapporto di subordinazione non era riconosciuto come tale dalla datrice di laverò, tanto che fu necessaria la causa per ottenerne il riconoscimento che il mancato riconoscimento esclude la stabilità del rapporto, dovendo tale requisito essere valutato in concreto, con riguardo alla situazione esistente alla data in cui il rapporto si svolge che pertanto la mancata produzione in giudizio dei documenti relativi alle dimensioni dell'impresa, al fine di dimostrare la stabilità del rapporto, è rimasta irrilevante, dovendo tale stabilità comunque escludersi per altre ragioni.2.- Il primo e il secondo motivo, con cui la ricorrente lamenta violazione di varie norme di legge, sono inammissibili a causa dell'inidoneità e dell'irrilevanza delle proposizioni formulate come quesiti di diritto, ai sensi dell'articolo 366 bis cod. proc. civ., norma in vigore alla data del deposito della sentenza impugnata articolo 6 e 27 legge numero 40 del 2006 .Il ricorrente chiede alla Corte di cassazione di accertare se l'avvocato che sollevi un'eccezione in senso stretto ma non offra prove a sostegno di tale eccezione sia inadempiente ai suoi obblighi di mandatario e sia tenuto a risarcire i danni, indipendentemente dalla fondatezza dell'eccezione primo quesito se l'avvocato che omette di proporre o propone irritualmente un'eccezione decisiva sia esente da responsabilità solo perché sia dubbia la fondatezza dell'eccezione, ed in subordine se possa avvalersi della sospensione del termine di prescrizione ex articolo 2948 numero 4 cod. civ. il lavoratore autonomo secondo quesito .Trattasi di questioni del tutto irrilevanti al fine di giustificare la riforma della sentenza impugnata, la quale ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni non perché abbia ritenuto insussistente l'inadempimento, o perché abbia seguito un dato orientamento giurisprudenziale, o perché abbia voluto applicare la sospensione della prescrizione ai rapporti di lavoro autonomo, bensì solo perché ha escluso che sussista il nesso causale fra il comportamento dell'avv. B. - comunque lo si voglia in astratto qualificare - e l'effetto dannoso che la ricorrente ne prospetta a suo danno rigetto dell'eccezione di prescrizione .Ciò in base al rilievo che l'eccezione avrebbe dovuto essere comunque rigettata, anche se i documenti fossero stati prodotti poiché - qualunque fossero le dimensioni dell'impresa e l'astratta configurabilità di rapporti di lavoro stabili nei confronti della stessa - l'eccezione di prescrizione sarebbe stata comunque rigettata.Contro questa motivazione - che attiene ad un accertamento in fatto, qual è quello relativo alla sussistenza o meno del nesso causale fra l'illecito e il danno - si sarebbero dovute indirizzare le censure della ricorrente ed avrebbero dovuto essere formulati specifici quesiti.Così come proposti, i motivi sono inammissibili perché irrilevanti.3.- Inammissibile è anche il terzo motivo, con cui la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia quantificato le spese processuali a suo carico in modo eccessivo, poiché la natura e la qualità delle avversarie difese avrebbero giustificato l'applicazione dei minimi tariffari.La quantificazione delle spese processuali è rimessa alla discrezionale valutazione del giudice di merito, ed è sottratta a riesame in sede di legittimità, ove non ricorra violazione di legge conseguente al mancato rispetto dei limiti minimi e massimi imposti dalle tariffe professionali.4.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.5.- Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.P.Q.M.La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 3.600,00 in favore di Paolo B., di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.400,00 per onorari, ed in Euro 3.200,00 in favore della soc. coop. a r. l. Cattolica di Assicurazioni, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari in entrambi i casi oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.