L'avvocato si fa dare l'acconto ma non inizia la causa: non è reato

Non si configura il reato di truffa se il legale, dopo aver ricevuto regolare mandato e relativo acconto, non inizia la causa.

La Corte di Cassazione, con sentenza numero 17106/11, depositata il 3 maggio, ha annullato la condanna per truffa nei confronti di un avvocato che, pur avendo ricevuto regolare mandato e relativo acconto, non aveva iniziato la causa. Si tratta semplicemente di inadempimento contrattuale.La fattispecie. Un avvocato, pur avendo ricevuto regolare mandato e percepito dai clienti un acconto, non iniziava la causa per far valere i diritti dei suoi assistiti, ma gli faceva, comunque, credere di essere riuscito ad ottenere quanto richiesto e che a breve avrebbero ricevuto quanto gli spettava. La vicenda, però, si protraeva per lungo tempo anche a causa delle molteplici scuse e vari stratagemmi che il legale aveva messo in atto per sviare le insistenti richieste dei clienti, ignari di tutto.Dopo anni, l'avvocato, messo alle strette dagli ormai insospettiti clienti, confessava che non vi era stato alcun giudizio e che anche i documenti mostrati erano fasulli, facendo scattare la querela.In secondo grado, la Corte d'appello di Napoli, confermava la sentenza del Tribunale che aveva ritenuto l'avvocato responsabile di truffa aggravata, falsità in scrittura privata e patrocinio o consulenza infedele articolo 640 e 61 numero 11, 485, 380 c.p. .L'imputato proponeva ricorso per cassazione.Presupposti del reato di truffa sono gli artifizi o raggiri, l'ingiusto profitto e l'altrui danno.Nell'ipotesi di truffa l'impossessamento è una conseguenza della condotta fraudolenta. In questi casi, gli artifizi e raggiri vengono posti in essere al fine di impossessarsi del bene e non successivamente all'impossessamento.Nel caso di specie, invece, nel momento in cui i clienti avevano conferito il mandato professionale e avevano pagato un acconto, non veniva posta in essere nessuna condotta fraudolenta dal reo ma, la stessa, si concretizzava in un momento successivo e cioè quando i clienti avevano iniziato a chiedere conto dell'esito della causa. In quel momento il legale, per coprire la grave colpa professionale in cui era incorso, poneva in essere artifizi e raggiri finalizzati a tranquillizzare i clienti ed a sviarli.L'avvocato ha una condotta fraudolenta, ma dopo l'impossessamento. La Cassazione evidenzia che, poiché la condotta fraudolenta veniva posta in essere, non per carpire il mandato professionale e gli acconti l'ingiusto profitto con altrui danno , ma in un momento successivo ed era finalizzata al solo scopo di celare ai clienti il danno che era stato loro provocato dalla negligente condotta non avere iniziato la causa per la quale era stato conferito il mandato professionale , non è ipotizzabile la truffa .Secondo la S.C., quindi, la vicenda non ha un risvolto penalistico ma va ritenuta solo come un episodio di inadempimento contrattuale. L'imputato deve risponderne solo in sede civilistica. Pertanto, in ordine a tale reato, la sentenza viene annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste, ma viene disposta la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per la determinazione della pena in ordine al residuo reato di falsità in scrittura privata articolo 485 c.p. .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 marzo - 3 maggio 2011, numero 17106Presidente Sirena - Relatore RagoFattop.1. Con sentenza del 5/06/2009, la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza pronunciata in data 18/06/2007 con la quale il Tribunale della medesima città aveva ritenuto A.G. responsabile dei reati di cui agli articolo 640 e 61 numero 11 - 485 - 380 c.p p.2. Avverso la suddetta sentenza, l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi p.2.1. Violazione dell'articolo 157 c.p. per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto di far decorrere la prescrizione non dal momento in cui l'imputato aveva conseguito il profitto ossia all'inizio degli anni novanta ma dal momento in cui le parti offese, scoperta la truffa, lo avevano querelato ossia in data 1/06/2004 p.2.2. violazione dell'articolo 485 c.p. per avere la Corte territoriale attribuito i crismi di scrittura privata ad un documento sfornito di tale qualità in quanto il suddetto documento non conteneva una manifestazione di volontà o l'attestazione della verità di uno o più fatti, non era conosciuto l'autore e non era fornito di attitudine probatoria, contenendo solo un invito a ritirare non meglio specificati mandati di pagamento.p.2.3. Violazione dell'articolo 380 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuto la configurabilità del suddetto reato non rilevando, invece, che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, era necessaria l'instaurazione di un procedimento innanzi all'autorità giudiziaria, quale elemento costitutivo il che non era mai avvenuto. In ogni caso, il reato avrebbe dovuto essere dichiarato prescritto perché la data di effettiva consumazione del reato non può che coincidere con lo spirare del termine ultimo per instaurare il procedimento innanzi all'A.G., verificatesi certamente oltre dieci anni prima della sentenza impugnata cinque anni dal collocamento a riposo .Dirittop.3. Nella sentenza impugnata, il fatto è descritto nei seguenti termini le parti civili, operatori tecnici presso l'Ospedale ., agli inizi degli anni novanta, ritenendo di avere svolto mansioni superiori nell'ambito del rapporto di lavoro con l'Ente, si rivolsero all'avv. Antonio Di Rienzo per avviare un giudizio civile avente ad oggetto il relativo superiore inquadramento. Detto legale accettava l'incarico e riceveva da ciascuna parte la somma di lire settecentomila quale acconto le parti sottoscrivevano regolare mandato. Dopo alcuni mesi, l'avvocato Di Rienzo convocava gli indicati clienti e presentava loro l'avv. G A., dicendo che aveva devoluto a questi l'incarico, provvedendo a girargli gli acconti ricevuti i clienti firmavano un nuovo mandato. Il rapporto con i clienti si protrasse per circa dieci anni, sino a quando, l'avvocato A., incalzato dai ricorrenti, comunicava loro che era stata emessa la sentenza e che questa era favorevole. Di tale presunta sentenza le parti non avevano per lungo tempo notizia malgrado le continue e pressanti richieste. A seguito di ulteriori pressioni dei clienti, l'avvocato A. si indusse ad andare con loro in Pretura dove, a suo dire, il giudice avrebbe dovuto emettere l'ordine alla ASL di pagare. L'avvocato non fece entrare le parti e poco dopo uscì sventolando un foglio sul quale asseriva esservi l'ordine di pagamento. Ormai insospettiti, i clienti chiedevano di partecipare con insistenza personalmente alle successive attività necessarie alla riscossione, ma invano, perché con vari stratagemmi e scuse una bomba nel Tribunale impedimenti per motivi di salute etc. il legale si sottraeva sempre agli appuntamenti. Per alleggerire la pressione, essendo ormai trascorsi molti anni, il legale offriva a ciascuno un acconto di L. 3.500.000 ciascuno a condizione che gli avessero firmato una carta. I clienti rifiutavano la proposta. Ulteriori espedienti il legale poneva in essere per tacitare i propri clienti fissando un appuntamento presso l'Istituto bancario ove, a suo dire, avrebbero potuto riscuotere i mandati, sennonché ancora una volta, l'appuntamento fu disdetto per un presunto contrattempo. Però la parte lesa V. si informò dal direttore di banca ed apprese che non vi era alcun mandato di pagamento. Le richieste da parte dei clienti diventavano sempre più pressanti per vedere la sentenza. Vi furono altri appuntamenti andati a vuoto o scuse come l'assenza della segretaria, fino a quando il legale esibì un fax presuntivamente proveniente dal San Paolo Imi con il quale si comunicava che le somme erano state messe in pagamento il successivo 14 aprile 2004. Le parti lese pretesero che l'avvocato li accompagnasse presso il Banco di Napoli sito nel Tribunale a Castecapuano e, questa volta, mentre erano in fila, il legale confessava che non vi era alcun mandato, che non vi era stato alcun giudizio e che anche il fax era fasullo .La querela venne sporta in data 1/6/2004.p.3.1. Ritiene questa Corte che, sulla base dei pacifici fatti così come descritti dalla Corte, non sia ravvisabile il reato di truffa per le ragioni di seguito indicate.La truffa, quanto all'elemento materiale, ruota intorno ai seguenti elementi costitutivi 1 artifizi o raggiri 2 ingiusto profitto 3 altrui danno.Questi tre elementi, essendo la truffa un reato di natura istantanea normalmente vengono in evidenza contemporaneamente fanno eccezione alla suddetta regola le ipotesi in cui l'ingiusto profitto venga conseguito in un momento successivo agli artifizi o raggiri ad es. nel caso in cui gli assegni fraudolentemente carpiti alla vittima del raggiro vengano posti all'incasso in un momento successivo ex plurimis Cass. 24/01/2002 Riv 226745 o in più momenti ad es. nell'ipotesi di danno agli istituti previdenziali, nel quale caso si parla di reato a consumazione prolungata o frazionata ex plurimis Cass. 11026/20% riv 231157 .È incontestabile, però, che gli artifizi o raggiri debbono essere messi in atto dall'agente al momento in cui perpetra la truffa ai danni della vittima proprio perché il suddetto reato è caratterizzato da una ben precisa modalità ossia l'elemento fraudolento artifizi o raggiri finalizzato ad indurre in errore la parte lesa, come si desume, letteralmente dall'articolo 640/1 c.p. che esordisce stabilendo chiunque, con artifizi o raggiri inducendo taluno in errore [ .] . Il che significa che, ove l'agente si impossessi di un bene altrui senza modalità fraudolente, la truffa non è giuridicamente configurabile, né può assumere rilievo alcuno la circostanza che, in un momento successivo, l'agente faccia ricorso ad artifizi e raggiri finalizzati a coprire la propria precedente illecita condotta.Infatti, non a caso, la giurisprudenza di questa Corte, in modo assolutamente costante, al fine di differenziare i delitti di peculato e di appropriazione indebita dalla truffa, ha chiarito che si verte nell'ipotesi di truffa quando gli artifizi o raggiri vengono posti in essere al fine di impossessarsi del bene e, quindi, l'impossessamento sia una conseguenza della condotta fraudolenta al contrario, quando gli artifizi o raggiri vengono posti in essere successivamente, al solo fine di coprire l'illecito già compiuto, allora si verte nelle diverse ipotesi di peculato o appropriazione indebita ex plurimis quanto all'appropriazione indebita Cass. 740/1970 Rv. 117150 - Cass. 1899/1968 Rv. 109801 - Cass. 1330/1966 Rv. 103332 quanto al peculato Cass. 2384/1973 Rv. 123658 - Cass. 6753/1997 Rv. 211009 - Cass. 3039/1989 Rv. 183538 - Cass. 17320/2006 Rv. 234133 - Cass. 35852/2008 Rv. 241186 .Ora, all'imputato è addebitato il reato di truffa perché a incassò a titolo di onorario somme di denaro dai signori [ .] b pose in essere artifizi e raggiri consistiti nell'avere incontrato più volte gli stessi al fine di informarli in merito allo svolgimento ed all'esito della causa avviata sul loro mandato contro l'ASL Na/X e nell'avergli fatto credere di avere effettivamente avviato e curato detto procedimento, al quale egli non aveva mai dato corso .Dunque, secondo l'ipotesi accusatoria, l'ingiusto profitto consistette nell'avere incassato gli acconti per iniziare la causa che mai iniziò e gli artifizi e raggiri consistettero nell'aver tenuto una condotta diretta a tranquillizzare i clienti che chiedevano conto dell'esito della causa. Sennonché, applicando gli enunciati principi di diritto alla concreta fattispecie, è del tutto evidente che a nessuna condotta fraudolenta venne posta in essere dall'imputato nel momento in cui i clienti gli conferirono il mandato professionale e gli pagarono un acconto sul punto il capo d'imputazione nulla dice e la stessa Corte tace non evidenziando alcunché b la condotta fraudolenta venne posta in essere in un momento successivo e cioè quando i clienti cominciarono a chiedere conto dell'esito della causa. Fu allora, infatti, che l'imputato, per coprire la grave colpa professionale in cui era incorso, cominciò a porre in essere artifizi e raggiri finalizzati a tranquillizzare i clienti ed a sviarli, cercando così di rinviare l'inevitabile redde rationem. Ma, è del tutto evidente che, poiché quella condotta fraudolenta venne posta in essere non nel momento iniziale e cioè per carpire il mandato professionale e gli acconti l'ingiusto profitto con altrui danno , ma in un momento successivo e fu finalizzata al solo scopo di celare ai clienti il danno che era stato loro provocato dalla negligente condotta non avere iniziato la causa per la quale era stato conferito il mandato professionale , non è ipotizzabile la truffa. Ciò è tanto vero che, come risulta dalla descrizione del fatto riportato nella sentenza impugnata, l'imputato, pur di chiudere la questione offrì a ciascuna delle parti lese la somma di L. 3.500.000. In altri conclusivi termini, la vicenda non ha alcun risvolto penalistico ma va ritenuta solo come un episodio di inadempimento contrattuale del quale l'imputato non può che rispondere solo in sede civilistica. Pertanto, la sentenza, in ordine al suddetto reato, va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.p.4. Quanto al reato di cui all'articolo 380 c.p., la Corte territoriale ha ritenuto di seguire quella parte - minoritaria e risalente - della giurisprudenza secondo la quale non occorre, per la configurabilità del suddetto reato, la pendenza di una causa presupposto del reato di infedele patrocinio articolo 380, comma 1, c.p. è l'esercizio della difesa, rappresentanza ed assistenza davanti all'autorità giudiziaria, intese come oggetto del rapporto di partecipazione professionale e non come estrinsecazione effettiva di attività processuale, per cui ad integrare l'elemento oggettivo del delitto è sufficiente che l'esercente la professione forense si renda infedele ai doveri connessi alla accettazione dell'incarico di difendere taluno dinanzi all'autorità giudiziaria, indipendentemente dall'attuale svolgimento di un'attività processuale e finanche dalla pendenza della lite, giacché il pregiudizio in danno della parte può concretarsi nella dolosa astensione dalla doverosa attività processuale Cass. 856/2004 Rv. 230877.Questa Corte, invece, in considerazione del tenore testuale della citata norma che individua la condotta materiale punibile nei casi in cui il patrocinatore arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità Giudiziaria [ .] , ritiene di adeguarsi alla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale per la sussistenza del reato di patrocinio infedele è necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento nell'ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, anche se la condotta non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti processuali Cass. 21160/2009 Rv. 244182 - Cass. 41370/2006 Rv. 235548 - Cass. 6382/2008 Rv. 239436. Di conseguenza, anche per tale capo, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.p.5. Infondata, invece, deve ritenersi la censura in ordine al reato di cui all'articolo 485 c.p. perché, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte ai fini della sussistenza del delitto di cui all'articolo 485 c.p., nella nozione di scrittura privata devono essere ricompresi non solo quegli atti che contengono dichiarazioni o manifestazioni di volontà idonee a costituire ovvero modificare diritti e posizioni oggettive, ma altresì tutte le scritture formate dal privato che si riferiscono a situazioni da cui possono derivare effetti giuridicamente rilevanti per un determinato soggetto Cass. 42578/2009 Rv. 244851. E, non vi è dubbio che il documento formato falsamente dall'imputato e consegnato ad una delle parti, contenente un preteso ordine di pagamento a loro favore, integri la fattispecie di cui all'articolo 485 c.p. proprio perché quella scrittura si riferiva ad una situazione mandato di pagamento da cui poteva derivare un effetto giuridicamente rilevante per le parti.p.6. In conclusione, essendo addebitarle all'imputato il solo reato di cui all'articolo 485 c.p., gli atti vanno trasmessi ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per la relativa determinazione della pena.P.Q.M.Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine ai reati di cui agli articolo 640 e 380 c.p. perché i fatti non sussistono rigetta nel resto e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per la determinazione della pena in ordine al residuo reato di falsità in scrittura privata.