In seguito all’invio di un curriculum vitae, spedito in risposta ad un annuncio di lavoro, è necessario mandare ai candidati l’informativa sul trattamento dei dati personali.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 13219, depositata l’11 giugno 2014. Il caso. Il tribunale di Milano rigettava l’opposizione di una società di selezione contro il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali, che aveva dichiarato illecita la somministrazione di alcuni test ai candidati alla selezione di un dirigente da inserire in un’azienda, che aveva richiesto all’opponente di effettuare la selezione. I giudici non reputavano convincenti le censure mosse dalla società, che si dichiarava estranea al trattamento dei dati personali, con specifico riferimento a quelli acquisiti autonomamente da una psicologa con la somministrazione dei test psicologici ai candidati. La società affermava di aver semplicemente raccolto i curricula, rispetto a cui non era dovuta alcuna informativa specifica, e contestava che il consenso dei candidati al trattamento dei dati contenuti negli stessi curricula doveva ritenersi implicito al momento della loro trasmissione. La società di selezione ricorreva in Cassazione, lamentando il mancato esame di un fatto decisivo, costituito dalla condotta della psicologa, la quale aveva agito in piena autonomia. Inoltre, i giudici non avrebbero considerato che, trattandosi di curricula inviati spontaneamente dagli interessati, non trovava applicazione la disciplina sul consenso e sull’informazione circa il trattamento dei dati. Responsabilità nel trattamento. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che, ai sensi dell’articolo 4, d.lgs. numero 196/2003 codice in materia di protezione dei dati personali , per titolare del trattamento si intendono tutte le persone sia fisiche che giuridiche cui competono, anche insieme ad un altro titolare, le decisioni riguardo alle finalità e alle modalità del trattamento di dati personali ed agli strumenti utilizzati, compreso il profilo della sicurezza. Per responsabile, invece, si intendono tutti i soggetti preposti dal titolare al trattamento dei dati personali, mentre per incaricato si definiscono le persone fisiche autorizzate a compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal responsabile. Collaborazione esistente. Nel caso di specie, sussisteva la contitolarità perché nel contratto di collaborazione tra l’azienda che aveva bisogno di un nuovo dirigente e la società di selezione, questa era indicata espressamente come titolare del trattamento e, vista la procedura di selezione seguita, ad essa doveva essere riconosciuta anche la posizione di contitolare rispetto al trattamento dei dati personali connessi alla somministrazione dei test da parte della psicologa. La società di selezione aveva ritenuto, infatti, di avvalersi della collaborazione di un soggetto terzo che aveva proceduto secondo le indicazioni e le istruzioni fornite dalla stessa ricorrente, a cui poi erano state rimesse le valutazioni per il loro successivo trattamento nella procedura di selezione. Perciò, era irrilevante che la società di selezione non avesse proceduto direttamente alla somministrazione dei questionari e dei test, perché l’attività della psicologa era inserita in un procedimento gestito dalla ricorrente. Concorso di colpa. Rientra, quindi, nella qualifica di titolare del trattamento chi abbia concorso a determinare le finalità e le modalità del trattamento occupandosi della sua complessiva organizzazione, anche quando alcuni aspetti sono demandati a del personale specializzato. Mancata informativa. In più, non risultava che la ricorrente avesse fornito alcuna informativa, né oralmente né per iscritto, ai soggetti che, in conformità al bando pubblicato mediante annunci su vari giornali, avevano proceduto ad inviare il proprio curriculum. Infine, i giudici di legittimità rilevavano che, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, non si trattava di curricula inviati su iniziativa degli interessati, ma solo a seguito di un annuncio di lavoro pubblicato sui giornali, su impulso dell’ente interessato all’assunzione. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 maggio – 11 giugno 2014, numero 13219 Presidente Vitrone – Relatore Didone Fatto e diritto Ragioni in fatto e in diritto della decisione 1.- Con la sentenza impugnata depositata in data 22.11.2012 il Tribunale di Milano ha rigettato l'opposizione proposta dalla s.r.l. Cispel Lombardia Services contro il provvedimento in data 21 luglio 2011 con il quale il Garante per la protezione dei dati personali, ai sensi degli articolo 143 comma 1 lett. c e 154 comma 1 lett. d D.Lvo numero 196/03, aveva dichiarato illecita la somministrazione di test ai candidati alla selezione di un dirigente tecnico da inserire nell'organico dell'Aler di Brescia, effettuata per conto di quest'ultimo ente dalla Cispel Lombardia Services s.r.l. e dalla Dott.ssa M.M. vietando il trattamento dei dati personali anche sensibili e anche risultanti da curricula ricavati dalla somministrazione dei test e disponendo la trasmissione del provvedimento adottato al Ministero del Lavoro ed all'Autorità Giudiziaria per quanto di loro competenza. In sintesi, il Tribunale ha disatteso le censure della società opponente la quale aveva dedotto di non poter essere ritenuta titolare o contitolare del trattamento dei dati personali con specifico riferimento a quelli acquisiti autonomamente - dalla Dott.ssa M. con la somministrazione dei test psicologici ai candidati, avendo essa provveduto alla sola raccolta direttamente o per tramite di Aler dei curricula rispetto ai quali non è dovuta alcuna informativa specifica e che il trattamento dei dati contenuti nei curricula dei candidati ad essa trasmessi, sarebbe comunque avvenuto con il consenso degli interessati, da ritenersi implicito nella stessa trasmissione del curriculum da parte di ciascuno. Contro la sentenza del tribunale s.r.l. Cispel Lombardia Services ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso il Garante per la protezione dei dati personali. L'Azienda Lombarda per l'Edilizia della Lombardia e M.M. intervenute nel giudizio di merito non hanno svolto difese. Nel termine di cui all'articolo 378 c.p.comma parte ricorrente ha depositato memoria. 1.1.- L'istanza di riunione al ricorso proposto dall'Arel contro la sentenza dell'11.8.2012 del Tribunale di Brescia non può essere accolta, trattandosi di impugnazioni distinte contro provvedimenti diversi emessi da due diversi giudici del merito. 2.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.comma e “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Lamenta che il Tribunale abbia ritenuto la Cispel co-titolare del trattamento sulla base di presunzioni illegittime. Deduce di avere agito sulla base delle istruzioni vincolanti dell'Arel e che i contenuti dei test erano rimessi alla scelta discrezionale della psicologa, Dott.ssa M. . In sintesi, lamenta che il tribunale avrebbe omesso l'esame del fatto decisivo costituito dal comportamento della Dott.ssa M. che ha agito in piena autonomia. Le prove sarebbero state erroneamente valutate trascrive stralci di comunicazioni al Garante della predetta professionista . Deduce di avere persino ignorato i dati raccolti dalla predetta. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 6, comma 2, lett. a numero 2 del decreto legge numero 70 del 2011, convertito nella legge numero 106/2011 lamentando che il Tribunale abbia omesso di considerare che, trattandosi di curricula inviati spontaneamente dagli interessati, non trovava applicazione la disciplina sul consenso e sull'informazione circa il trattamento dei dati. Deduce di avere agito in buona fede, stante anche le numerose modifiche intervenute al codice della privacy, che i dati sono stati spontaneamente trasmessi dagli interessati, che i dati raccolti non sono stati diffusi e che nessuno degli interessati ha lamentato danno alcuno. 3.- Il primo motivo - là dove non è inammissibile perché veicola censure in fatto non deducibili in sede di legittimità - è infondato. Giova premettere, invero, che è applicabile, nella concreta fattispecie, il contenuto precettivo del nuovo testo dell'articolo 360 numero 5 c.p.comma introdotto dall'articolo 54 comma 1 lett. B del DL 83/2012 convertito nella legge 134 del 2012 entrata in vigore il 12.8.2012 , disposto applicabile alla impugnazione per cassazione della sentenza 11.8.2013 giusta la previsione del comma 3 dell'articolo 54 citato. Già in seno a questa Sezione v., per tutte, Sez. 1, Sentenza numero 28230 del 2013 - si è rilevato che, nella evidente prospettiva della novella introdotta dal legislatore del 2012 - che si raccorda con le previsioni originarie del codice di rito e che mira a ridurre drasticamente l'area del sindacato di legittimità attorno ai fatti - l'omesso esame del fatto decisivo oggetto di discussione nel giudizio afferisce a dati materiali, ad episodi fenomenici rilevanti, ed alle loro ricadute in termini di diritto, aventi portata idonea a determinare direttamente il giudizio. Per converso, le censure motivazionali formulate dalla ricorrente, anche mediante deduzione di circostanze di fatto non risultanti dalla sentenza impugnata e senza indicazione del luogo e delle modalità in cui siano state sottoposte al giudice del merito, quindi in violazione del principio di autosufficienza sarebbero state inammissibili anche alla luce del testo previgente dell'articolo 360 numero 5 c.p.c Nessun vero fatto decisivo trascurato dalla Corte territoriale viene indicato se non gli stessi fatti valutati nella sentenza impugnata e di cui si vorrebbe una diversa lettura. Le Sezioni unite numero 8053/2014 , invero, hanno di recente precisato che l'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. procomma civ., riformulato dall'articolo 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli articolo 366, primo comma, numero 6, e 369, secondo comma, numero 4, cod. procomma civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Il vizio denunciato, poi, neppure sussiste alla stregua degli articolo 132 e 360 numero 4 c.p.c., alla luce dei quali l'inosservanza dell'obbligo di motivazione è deducibile soltanto nelle ipotesi di mancanza assoluta della motivazione, ovvero di motivazione meramente apparente o perplessa o assolutamente illogica, ipotesi nella specie non ricorrenti. La riformulazione dell'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. procomma civ., disposta dall'articolo 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'articolo 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. D'altra parte, non è possibile veicolare censure motivazionali attraverso la denuncia della violazione degli articolo 115 e 166 c.p.c., sostanzialmente lamentando, però, che la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie . 3.1.- Ai sensi dell'articolo 4, d.lgs. numero 196/2003, per titolare del trattamento si intendono, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza per responsabile del trattamento si intendono, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo preposti dal titolare al trattamento di dati personali per incaricati del trattamento si intendono, le persone fisiche autorizzate a compiere operazioni di trattamento dal titolare o dal responsabile. Nella concreta fattispecie il giudice del merito - con ampia e logica motivazione - ha accertato, in fatto, che il 1.2.2010 tra Aler Brescia e Cispel è intervenuto un contratto di collaborazione per le attività di selezione di personale ed in particolare per la ricerca di un dirigente tecnico rispetto alla quale sono stati pubblicati annunci su OMISSIS e su OMISSIS del OMISSIS con indicazione agli interessati di inviare i curricula ad Aler nella prima pubblicazione ovvero a Cispel nella seconda il 1.2.2011 Aler ha richiesto a Cispel, con riferimento alla selezione del dirigente tecnico, di procedere ad un primo colloquio con i candidati e quindi ad un colloquio integrativo con quanti ritenuti idonei, completo di reattivi psicologici per tale attività, Cispel si è avvalsa della Dott.ssa M.M. , che ha provveduto alla somministrazione di test e questionari ivi compresa la batteria CBA 2.0 ai candidati a lei indicati da Cispel. I test e questionari contenevano specifiche richieste anche in merito ai rapporti affettivi, alla loro stabilità, alla vita sessuale, alle condizioni di salute psico-fisica, ad eventuali interruzioni di gravidanza, ad abitudini personali alimentari, fumo, consumo di alcolici o droghe , a tentativi di suicidio anche solo presi in considerazione, a precedenti giudiziari il tutto in violazione degli articolo 8 L. numero 300/1970 10 D.lvo numero 276/2003 e 11 comma 1 lett. a D.L.vo numero 196/2003. Sussisteva la contitolarità perché nel contratto di collaborazione concluso tra Aler e Cispel, questa era espressamente indicata quale titolare del trattamento ed inoltre, vista la specifica procedura di selezione, seguita, ad essa doveva essere riconosciuta anche la posizione di contitolare rispetto al trattamento dei dati personali connessi alla somministrazione dei test e dei questionari da parte della Dott.ssa M. . Cispel, infatti, assuntasi l'incarico di svolgere la selezione di un dirigente tecnico e di procedere ad un secondo colloquio integrativo completo di reattivi psicologici dei candidati, ha ritenuto di avvalersi della collaborazione di un soggetto terzo che ha proceduto secondo le indicazioni e le istruzioni fornite da Cispel alla quale sono state rimesse le valutazioni per il loro successivo trattamento nella procedura di selezione. Il dato che alla somministrazione dei questionari e dei testi Cispel non abbia direttamente proceduto era dunque di per sé privo di rilevanza, posto che l'attività della Dott.ssa M. si era inserita in un procedimento di maggior ampiezza gestito da Cispel. Non può sfuggire alla qualifica di titolare del trattamento chi, come Cispel, sia concorso a determinare le finalità e le modalità del trattamento occupandosi della sua complessiva organizzazione, anche qualora taluni aspetti siano demandati a personale specializzato. Anche in punto di titolarità in capo a Cispel del trattamento relativo alla raccolta dei dati contenuti nei curricula ad essa pervenuti, ovvero trasmessi da Aler, le considerazioni contenute nel provvedimento impugnato andavano condivise, non risultando che la ricorrente avesse fornito alcuna informativa, né oralmente né per iscritto articolo 13 D.l.vo numero 196/2003 , ai soggetti che in conformità al bando pubblicato hanno proceduto ad inviare il proprio curriculum. 4.- Quanto al secondo motivo, osserva la Corte che l'articolo 6, comma 2, lett. a del Decreto legge 13 maggio 2011, numero 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, numero 106, ha aggiunto all'articolo 13 d.lgs. numero 196/2003, il seguente comma 5-bis. L'informativa di cui al comma 1 non è dovuta in caso di ricezione di curricula spontaneamente trasmessi dagli interessati ai fini dell'eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro. Al momento del primo contatto successivo all'invio del curriculum, il titolare è tenuto a fornire all'interessato, anche oralmente, una informativa breve contenente almeno gli elementi di cui al comma 1, lettere a , d ed f . . Con la stessa disposizione è stata modificata la norma articolo 26, comma 3, lett. b bis relativa al consenso al trattamenti dei dati contenuti nei curricula spontaneamente trasmessi. Il giudice del merito ha rilevato che nessuna informativa successiva al primo contatto risulta è stata fornita e, comunque, è assorbente il rilievo per il quale la modifica legislativa è successiva ai fatti oggetto del provvedimento del Garante, il quale ha attivato il procedimento su notizie apparse sulla stampa nel maggio 2011, in relazione alla selezione già espletata. Dunque, il trattamento illecito è avvenuto prima dell'entrata in vigore della norma invocata, così come rilevato dal Tribunale, il quale ha altresì evidenziato che non si trattava di curricula inviati di iniziativa degli interessati, ma solo a seguito di annuncio di lavoro pubblicato su quotidiani ad impulso dell'ente interessato all'assunzione. Come ha ricordato il P.G., invero, secondo questa Corte in tema di illeciti amministrativi, l'adozione dei principi di legalità, irretroattività e divieto di analogia, di cui all'articolo 1 della legge numero 689 del 1981, comporta l'assoggettamento del fatto alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore eventualmente più favorevole, a nulla rilevando che detta più favorevole disciplina, successiva alla commissione del fatto, sia entrata in vigore anteriormente all'emanazione del provvedimento di accertamento Sez. L, numero 1105/2012 . Il ricorso, dunque, deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità - nella misura liquidata in dispositivo - vanno poste a carico della ricorrente in favore del Garante. Infine, sussistono i presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis, dell'articolo 13 d.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del Garante che liquida in Euro 7.200,00 oltre le spese prenotate a debito. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.