La P.A. può usucapire il bene privato del quale, per oltre un ventennio, nell’erronea convinzione che fosse demaniale, abbia disposto la concessione in uso a terzi, atteso che, mentre l’errata supposizione di demanialità del bene non incide sulla volontà della P.A. di gestirlo uti dominus, risolvendosi in un errore sul bene giuridico del bene irrilevante ai fini dell’usucapione, la concessione in uso a terzi costituisce uno dei modi di disposizione del bene e, quindi, di possesso dello stesso da parte dell’ente pubblico.
È quanto statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 9682 del 6 maggio 2014. Il fatto. Due uomini convenivano in giudizio un giornalaio, sostenendo di essere comproprietari di un terreno adibito ad autorimessa sul quale il convenuto esercitava la sua attività pregiudicando la visuale degli utenti dell’autorimessa. Ne chiedevano, quindi, la condanna al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento dei danni, previo l’accertamento dell’illegittima, arbitraria e pregiudizievole occupazione del suolo di loro proprietà. Dal canto suo, il convenuto affermava di aver svolto la sua attività in forza della concessione per occupazione di suolo pubblico ed eccepiva l’intervenuta usucapione in suo favore. Tale ricostruzione dei fatti veniva accolta. Gli attori ricorrono per cassazione. Lo spazio occupato dalla rivendita è pubblico. I ricorrenti sostengono il loro diritto di proprietà sull’area sulla quale insisteva l’edicola mentre la parte anteriore all’autorimessa è di proprietà comunale con l’unica possibilità di vantare una servitù di passaggio. La Corte di Cassazione non è dello stesso parere, sostenendo la natura pubblica dello spazio occupato dal giornalaio. Maturata l’usucapione. Viene evidenziato, inoltre, il totale difetto di animus possidendi da parte del Comune di Napoli rispetto all’area di proprietà degli esponenti così come da parte del convenuto che era stato destinatario di un provvedimento avente ad oggetto la concessione per l’occupazione di suolo pubblico diverso da quello occupato. Anche tale assunto è infondato occorre ricordare che la distinzione tra beni pubblici e privati non discrimina due categorie concettuali di proprietà, ma solo due categorie giuridiche di beni. Premesso ciò, la P.A. può usucapire il bene privato del quale, per oltre un ventennio, nell’erronea convinzione che fosse demaniale, abbia disposto la concessione in uso a terzi, atteso che, mentre l’errata supposizione di demanialità del bene non incide sulla volontà della P.A. di gestirlo uti dominus, risolvendosi in un errore sul bene giuridico del bene irrilevante ai fini dell’usucapione, la concessione in uso a terzi costituisce uno dei modi di disposizione del bene e, quindi, di possesso dello stesso da parte dell’ente pubblico. Il possesso si interrompe se si perde il potere di fatto sulla cosa. Correttamente il Giudice d’Appello ha affermato che il possesso può essere esercitato anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del diritto reale mentre si interrompe con la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa oppure in presenza di atti diretti ad ottenerne ope iudicis la privazione nei confronti del possessore usucapente. Il ricorso va, pertanto, respinto.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 marzo – 6 maggio 2014, numero 9682 Presidente Goldoni – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 1-10-2001 P.G. e P.P. , premesso di essere comproprietari di un locale terraneo adibito ad autorimessa nel cortile di via omissis e degli annessi spazi e piccole zone scoperte con ingressi rispettivamente da via omissis e da via omissis , esponevano che E.V. fin dal 1973, a seguito di uno spostamento provvisorio ordinato d'autorità per lavori di allargamento di via , esercitava la sua attività di rivendita di giornali in un chiosco, ubicato a sinistra del civico numero 169 su terreno di loro proprietà, pregiudicando peraltro la visuale, in entrata ed uscita, degli utenti della autorimessa. Gli attori, rilevato che, a seguito di varie richieste da loro avanzate all'Autorità competente, in forza di ordinanza sindacale numero 60 del 24-1-2001 era stato finalmente disposto lo spostamento dell'edicola, ma l'E. non aveva adempiuto, convenivano in giudizio quest'ultimo dinanzi al Tribunale di Napoli chiedendone la condanna, previo accertamento dell'illegittima, arbitraria e pregiudizievole occupazione del suolo di loro proprietà, al ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento dei danni. Il convenuto costituendosi in giudizio asseriva di aver ininterrottamente svolto l'attività di rivendita di giornali in via omissis in forza della concessione per occupazione di suolo pubblico del 28-8-1973, e di aver impugnato dinanzi al TAR l'ordinanza numero 60/2001 sopra menzionata, ottenendone la sospensione, ed eccepiva l'intervenuta usucapione in suo favore resistendo alle domande attrici. Veniva quindi disposta la chiamata in causa del Comune di Napoli che, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto delle domande attrici assumeva in particolare che la causa rientrava nella giurisdizione del giudice amministrativo, e chiedeva la declaratoria di avvenuta usucapione in suo favore della zona di terreno in questione. Il Tribunale adito con sentenza del 10-11-2003, accogliendo l'eccezione di usucapione formulata dall'E. e dal Comune di Napoli, rigettava la domanda attrice. Proposto gravame da parte di P.G. e P.P. cui resistevano l'E. ed il Comune di Napoli che formulava anche un appello incidentale la Corte di Appello di Napoli con sentenza del 7-9-2007 ha rigettato entrambe le impugnazioni. Per la cassazione di tale sentenza P.G. e P.P. hanno proposto un ricorso basato su quattro motivi cui l'E. ed il Comune di Napoli hanno resistito con separati controricorsi i ricorrenti e l'E. hanno successivamente depositato delle memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli articolo 24 Cost.-832-2697 e 2699 c.c. e 116 c.p.c. nonché vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver escluso il raggiungimento da parte degli esponenti della prova della titolarità del diritto di proprietà dell'area sulla quale insisteva l'edicola invero il giudice di appello ha ritenuto generica l'identificazione della predetta area contenuta nel titolo di proprietà dell'8-1-1962, e più verosimile, invece, che il confine della proprietà P. fosse da individuare con il cancello che delimita l'accesso all'autorimessa, e che la parte anteriore dello stesso fosse di proprietà comunale, sulla quale i P. e gli altri eventuali comproprietari con accesso al civico 165/A avrebbero potuto vantare solo una servitù di passaggio. I ricorrenti rilevano che in realtà il suddetto titolo di proprietà consentiva una identificazione specifica dell'area per cui è causa laddove si trattava di una piccola zona di area scoperta di forma molto allungata ed irregolare sita in , con accesso alla via omissis confinante a nord con detta via, a sud con spiazzo scoperto venduto con lo stesso atto dalla I.F.I.E.P., ed ad ovest con il muretto e soprastante cancellata di ferro di proprietà della cooperativa I.N.A., con il condominio del fabbricato di via omissis ed un locale terraneo di proprietà della Sig.ra S.V. pertanto i confini della proprietà P. erano indicati in modo tutt'altro che generico, come era confermato dalla esibizione nel giudizio di merito della piantina allegata al rogito recante la lettera A, dalla quale emergeva in modo incontrovertibile che l'area in questione era quella sulla quale insisteva abusivamente l'edicola installata dall'E. . La censura è infondata. La Corte territoriale, aderendo al convincimento già espresso dal giudice di primo grado, ha rilevato che l'indicazione del confine era generica, e che quindi non era possibile escludere a priori che il confine fosse corrispondente al cancello, e che la parte anteriore ad esso costituisse zona comunale sulla quale i P. e gli altri eventuali comproprietari esercitassero soltanto una servitù di passaggio pareva poi evidente che, come si evinceva dalle foto e dalle deposizioni testimoniali, risultando l'edicola in corrispondenza del marciapiedi pertinenza della strada , il cancello ivi posto delimitasse la proprietà privata, e che dunque lo spazio occupato dalla rivendita, oggetto della autorizzazione comunale, fosse di natura pubblica, come dedotto sia dal Comune di Napoli che dall'E. . Avendo quindi la sentenza impugnata indicato puntualmente le fonti del proprio convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione come tale incensurabile in questa sede, laddove i ricorrenti tendono inammissibilmente a prospettare una diversa ricostruzione delle risultanze istruttorie ad essi più favorevole, trascurando di considerare che la valutazione degli elementi probatori involge un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi non accolti, anche se allegati dalle parti. Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell'articolo 1158 c.c., della normativa già indicata nel motivo precedente e vizio di motivazione, assumono che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che il Comune di Napoli a partire dal 1973 aveva esercitato, tramite l'E. , suo concessionario, un potere di fatto sull'area per cui è causa per oltre un trentennio premesso che tale convincimento era stato fondato sul contenuto di un atto non acquisito al giudizio, e che tale atto avrebbe provato che l'installazione dell'edicola era stata consentita su di un suolo diverso da quello dove ora essa è ubicata, e che neppure era stato attribuito rilievo all'ordinanza sindacale del 2001, i ricorrenti rilevano che dalla documentazione esibita in atti era emerso che in data 5-4-1975, in risposta ad un'istanza dell'E. tendente ad ottenere la rettifica del numero civico sulla concessione di occupazione di suolo pubblico, il Comune di Napoli aveva affermato che dal settembre 1973 la suddetta edicola, a causa del taglio del marciapiede di via , era stata spostata in via omissis , e non quindi alla sinistra del civico numero 167, dove di fatto era stata collocata pertanto al Comune di Napoli difettava totalmente l'”animus possidenti rispetto all'area di proprietà degli esponenti, né tale animus caratterizzava la relazione di fatto con l'area stessa da parte dell'E. , essendo stato quest'ultimo destinatario di un provvedimento avente ad oggetto la concessione per l'occupazione di suolo pubblico diverso da quello di fatto occupato. Il motivo è infondato. Il giudice di appello ha affermato che, anche qualora si fosse voluto attribuire all'area per cui è causa natura privata, avrebbe dovuto comunque ritenersi che il Comune di Napoli, allorché concesse in data 28-8-1973 l'autorizzazione alla sua occupazione, ritenendola pubblica, si era comportato uti dominus , e che quindi fin dal 28-8-1993, allo scadere del ventennio utile, era maturata la invocata usucapione. Tanto premesso, la censura in esame deve essere disattesa, posto che secondo l'orientamento già espresso da questa Corte, cui si ritiene di dover aderire pienamente, e richiamato dalla sentenza impugnata, poiché la distinzione tra i beni pubblici ed i beni privati non discrimina due categorie concettuali di proprietà, ma soltanto due categorie giuridiche di beni, la prima delle quali presenta un peculiare regime giuridico inalienabilità, inusucapibilità, vincolo di destinazione per i beni pubblici appartenenti a privati ecc. , la Pubblica Amministrazione può usucapire il bene privato del quale per oltre un ventennio, nella erronea convinzione che fosse demaniale, abbia disposto la concessione in uso a terzi, atteso che, mentre l'errata supposizione di demanialità del bene non incide sulla volontà della P.A. di gestirlo uti dominus , risolvendosi in un errore sul regime giuridico del bene irrilevante ai fini dell'usucapione, la concessione in uso a terzi costituisce uno dei modi di disposizione del bene e quindi di possesso dello stesso da parte dell'ente pubblico Cass. 11-3-1992 numero 2913 Cass. 23-11-2001 numero 14917 . Con il terzo motivo P.G. e P.P. , deducendo violazione degli articolo 1165 e 2943 c.c. nonché vizio di motivazione, sostengono che, contrariamente all'assunto del giudice di appello, l'articolo 1165 c.c. contiene un espresso rinvio alle disposizioni generali sulla prescrizione, ed in particolare a quelle sulla interruzione della stessa, tra le cui cause rientra anche, a norma dell'articolo 2943 c.c., la costituzione in mora pertanto avevano avuto effetto interruttivo del termine previsto per l'usucapione i reclami proposti dagli esponenti nel corso degli anni. La censura è infondata. Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che gli atti di diffida e di messa in mora sono idonei ad interrompere la prescrizione dei diritti di obbligazione, ma non anche il termine utile per usucapire, potendosi esercitare il relativo possesso anche in aperto e dichiarato contrasto con la volontà del titolare del diritto reale, cosicché è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso solo ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure ad atti giudiziali diretti ad ottenere ope iudicis la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente, come la notifica dell'atto di citazione con il quale venga richiesta la materiale consegna di tutti i beni immobili in ordine ai quali si vanti un diritto dominicale, conformemente alle pronunce di questa Corte menzionate nella stessa sentenza impugnata, nel solco di un orientamento consolidato, ribadito anche più recentemente vedi in tal senso Cass. 11-7-2011 numero 15199 . Con il quarto motivo i ricorrenti, denunciando violazione dell'articolo 2043 c.c. ed omessa motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto di non doversi pronunciare sulla domanda di risarcimento danni proposta dagli esponenti in ordine alla abusività l dell'edicola suddetta ed al pregiudizio subito alla loro proprietà per effetto in particolare della limitazione della visibilità in entrata ed in uscita per gli utenti del garage invero il giudice di appello non ha considerato che l'edicola per cui è causa era posizionata in luogo diverso da quello previsto nei vari atti abilitativi succedutisi nel tempo, e che quindi risultava del tutto abusiva. La censura è infondata. Il giudice di appello ha disatteso le doglianze degli appellanti riguardo alla dedotta omessa pronuncia del Tribunale sulla domanda di risarcimento danni da essi proposta, non apparendo tale domanda in alcun modo collegata alla originaria domanda di occupazione, stante la deliberata assenza di titolarità del diritto dominicale in capo ai P. , con la conseguente sua inammissibilità Giemme New S.r.l. orbene i ricorrenti non hanno censurato, quantomeno in termini sufficientemente specifici, la statuizione della Corte territoriale in ordine alla assenza di qualsiasi nesso tra la domanda di risarcimento danni da essi formulata nel giudizio di primo grado e la domanda relativa all'occupazione dell'area da parte dell'edicola gestita dall'E. . Il ricorso deve quindi essere rigettato le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore di ciascuno dei due controricorrenti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 2.000,00 per compensi in favore di ciascuno dei due controricorrenti.