Si oppone alla multa e segnala al Sindaco che i due vigili hanno addotto «motivazione falsa attuando abuso di potere»: espressione delittuosa?

La calunnia è un reato di pericolo che si realizza con una condotta tale da creare il concreto rischio di inizio di un’indagine, sia che venga realizzata con una falsa denunzia che con simulazione di tracce del reato. Nel caso di specie non c’è il dolo richiesto dalla fattispecie, vista la genericità e l'atecnicità della breve espressione, compatibile con una stizzita protesta per la sanzione applicata.

Con la sentenza numero 21204, depositata il 17 maggio 2013, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna, poiché il fatto non costituisce reato. «Entro anch’io! No tu no!» intralcio al traffico o abuso di potere? Un uomo, alla guida del proprio veicolo, vuole a tutti i costi entrare in una zona a traffico limitato. I vigili non gli consentono l’accesso, poiché il suo permesso è scaduto. L’uomo insiste. I vigili urbani lo sanzionano per intralcio del traffico. C’è calunnia? L’uomo, che già riteneva di aver diritto di passare, contesta i presupposti stessi della multa. Presenta opposizione al verbale e scrive al Sindaco di aver ricevuto la sanzione per intralcio al traffico «senza aver commesso il fatto e con motivazione falsa attuando abuso di potere». Viene condannato per calunnia nei confronti dei due vigili urbani. I giudici ritengono infatti che il ricorrente «aveva prospettato un preciso ed intenzionale abuso da parte dei vigili che avevano volutamente, perché indispettiti, rappresentato nel verbale di contestazione false ed inesistenti circostanze di fatto, proprio per danneggiarlo ingiustamente». Bisogna guardare alle espressioni concrete. La Suprema Corte ricorda che «la calunnia è un reato di pericolo e ad integrarne gli estremi è sufficiente anche la astratta possibilità dell’inizio di un procedimento penale a carico della persona falsamente incolpata». Anche nei casi in cui ciò è possibile, la fattispecie non viene però integrata nei casi in cui «la falsa accusa abbia ad oggetto fatti manifestamente e a prima vista inverosimili o incredibili per le circostanze in cui è effettuata, per i modi in cui è espressa e per l’assoluta inattendibilità del suo contenuto, sì che l’accertamento della sua infondatezza non abbisogni di alcuna indagine». Motivazione carente. La Corte di Cassazione rileva la superficialità e l’illogicità delle motivazioni dei giudici di merito, che non hanno in alcun modo spiegato perché il ricorrente si sarebbe rivolto allo sportello del cittadino anziché alle autorità a ciò preposte, se davvero aveva un intento accusatorio. Peraltro non risulta alcuna trasmissione della «denuncia» all’Autorità Giudiziaria. Voleva solo screditarli agli occhi del Comune, non accusarli di reato. La stessa corte territoriale ammette la volontà del ricorrente di «screditare l’operato dei vigili agli occhi del capo dell’ente comunale da cui essi dipendono» condotta certo deprecabile, ma che non costituisce calunnia. Visto che i fatti rilevanti ai fini dell’accusa sono accertati e vista la carenza motivazionale, la Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio, assolvendo l’imputato perché il fatto non costituisce reato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 aprile – 17 maggio 2013, numero 21204 Presidente Di Virginio – Relatore Di Stefano Ritenuto in fatto La Corte di Appello di Perugia con sentenza del 25 maggio 2012 confermava la condanna di C.R. all'esito di giudizio abbreviato per il reato di calunnia in danno di due vigili urbani in quanto, con lettera indirizzata al Sindaco del Comune di per quanto di competenza, incolpava i predetti vigili di avergli irrogato il 30 settembre 2005 una sanzione per intralcio al traffico senza aver commesso il fatto e con motivazione falsa attuando abuso di potere . Riferiva la Corte che la vicenda nasceva dalla richiesta del C.R. di accedere con la propria autovettura ad una zona a traffico limitato del Comune di utilizzando un permesso di accesso scaduto, dal suo successivo comportamento insistente per accedere comunque alla predetta zona, nel corso del quale, secondo il ricorrente, si poneva in condizione da non intralciare il traffico mentre, al contrario, i vigili gli contestavano di aver cagionato tale intralcio. Successivamente il C. , oltre a presentare opposizione avverso la sanzione, ne inviava copia al Sindaco. Tale atto di opposizione presentava il contenuto contestato. La Corte, ritenuta credibile la versione dei fatti dei vigili urbani, confermava la condanna ritenendo che il ricorrente non intendesse limitarsi alla mera difesa ma intendesse anche screditare i vigili urbani. Avverso tale decisione propone ricorso il difensore deducendo con primo motivo la mancata assunzione di una prova decisiva ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lett. D cod. proc. penumero avendo chiesto in sede di giudizio di appello la riapertura del dibattimento per acquisire documentazione fotografica per dimostrare che lo stato dei luoghi confermava la sua tesi di non aver cagionato alcun intralcio al traffico con secondo motivo la violazione di legge non essendo stata accertata la sua volontà di accusare e la sua consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato con terzo motivo la carenza ed illogicità della motivazione laddove si afferma che l'imputato avrebbe travalicato il rapporto funzionale che deve sussistere tra la condotta dell'imputato e confutazione di imputazione e che intendesse anche screditare l'operato dei vigili agli occhi del capo dell'ente comunale . Considerato in diritto Il ricorso è fondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la calunnia è un reato di pericolo che si realizza con una condotta tale da creare il concreto rischio di inizio di un'indagine, sia che venga realizzata con una falsa denunzia che con la simulazione di tracce del reato. Non è quindi necessario che vi sia l’effettivo avvio di un'indagine ma, laddove ciò non avvenga, deve valutarsi se, nel caso concreto, la condotta fosse del tutto inidonea a creare il rischio di inizio di un procedimento penale Sez. 6, Sentenza n, 26177 del 17/03/2009 Cc. dep, 23/06/2009 Rv. 244357 La calunnia è un reato di pericolo e ad integrarne gli estremi è sufficiente anche la astratta possibilità dell'inizio di un procedimento penale a carico della persona falsamente incolpata. Una possibilità del genere è esclusa soltanto nella ipotesi in cui la falsa accusa abbia ad oggetto fatti manifestamente e a prima vista inverosimili o incredibili per le circostanze in cui è effettuata, per i modi in cui è espressa e per l'assoluta inattendibilità del suo contenuto, sì che l'accertamento della sua infondatezza non abbisogni di alcuna indagine. In tali casi l'azione si rivela sostanzialmente priva dell'attitudine a ledere gli interessi protetti, a norma dell'articolo 49 c.p si tratta di un caso in cui in ragione della falsità dell'accusa era stata disposta una perquisizione e si era proceduto alla ricerca di tracce del reato come denunziato, ancorché senza redazione di atti formali . Applicando tali regole al caso di specie, secondo la ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito, va esclusa la ricorrenza del reato ascritto. Risulta che il ricorrente aveva scritto nell'atto di opposizione senza aver commesso il fatto e con motivazione falsa attuando abuso di potere . Tale atto era stato depositato in copia presso il Comune in circostanze tali da fare ragionevolmente pensare che effettivamente si trattasse di una normale doglianza del cittadino rispetto alla pretesa cattiva amministrazione di casi che lo riguardano. Invece, pur a fronte di una formulazione della frase incriminata che denota la scarsa tecnicità del redattore, ai fini della condanna si è ritenuto che il ricorrente aveva prospettato un preciso ed intenzionale abuso da parte dei vigili, che a suo dire avevano volutamente - perché indispettiti rappresentato nel verbale di contestazione false ed inesistenti circostanze di fatto, proprio per danneggiarlo ingiustamente dando per scontato che l'atto avesse una tale finalità calunniosa. Ma, invece, una tale caratterizzazione dell'atto non poteva essere affermata così apoditticamente ma, se del caso, doveva essere accertata sulla base di un'attenta interpretazione in quanto - le imprecise espressioni usate non significano di per sé sole che vi sia una specifica accusa di commissione di reati oltre ad una generica doglianza sull'operato dei vigili. Ciò risulta dalla stessa sentenza impugnata che ad un dato punto afferma, con evidente contrasto logico con le altre parti della motivazione, con ciò mostrando in maniera evidente come egli non volesse solo difendersi dalla sanzione irrogatagli, ma intendesse anche screditare l'operato dei vigili agli occhi del capo dell'ente comunale da cui essi dipendono e dei soggetti cui questi aveva l'obbligo di riferire , magari anche per attenerne una qualche punizione forse anche disciplinare, della quale chiedeva pure di essere tenuto informato . In tale passaggio, quindi, è la stessa Corte di merito che afferma come il ricorrente non intendesse denunciare un qualsiasi reato, ma puntasse più genericamente ad una punizione, anche disciplinare e, quindi, non penale a prescindere, poi, dalla sua personale convinzione sulla fondatezza della propria doglianza . - La presentazione della copia del ricorso ad uno sportello comunale dedicato ai rapporti con il cittadino, quindi anche alle presentazione di eventuali doglianze, era elemento da valutare necessariamente al fine di determinare la effettiva volontà di calunniare. È vero che, sul piano oggettivo, essendo l'atto, pur presentato a tale sportello, comunque diretto ad autorità che hanno l'obbligo di denunzia di reati, tale condotta è certamente oggettivamente idonea ad integrare la calunnia ma tali stesse circostanze non consentono di ritenere inequivocabilmente che tale fosse la volontà della parte. Il ragionamento dei giudici di merito è carente laddove non spiega per quale ragione il ricorrente avesse scelto una forma così indiretta per una falsa denunzia fra l'altro formulata in termini tali da rendere difficile individuare la specifica ipotesi di reato affermata come commessa dai vigili urbani. Che, del resto, l'atto non avesse una immediata apparenza di denunzia di un fatto di rilevanza penale lo dimostra la circostanza che, pur a fronte delle verifiche interne sull'episodio, non risulta essere stata fatta alcuna trasmissione della denuncia alla Autorità Giudiziaria. L'organo amministrativo ha ritenuto che l'immediata apparenza dell'atto forse di esposto disciplinare non dando alcun seguito allo stesso in sede penale mentre il presente procedimento deriva dalla denunzia presentata dalle presunte persone offese, maggiormente sensibili ad un contenuto in ipotesi calunniatorio. Non era, quindi, la sola presentazione della copia del ricorso un valido presupposto di fatto per poter giustificare, sul piano oggettivo e sul piano soggettivo, la ricorrenza del reato ascritto e ciò, si ripete, lo dimostra la stessa conclusione sopra trascritta in cui la Corte di merito riferisce contraddittoriamente della sola volontà di screditare i vigili agli occhi del capo dell'ente comunale da cui essi dipendono , condotta che di certo è deprecabile ma non costituisce calunnia. In conclusione, il provvedimento impugnato presenta una motivazione carente sia nel ricostruire il fatto oggettivo, dando per scontato il significato di un'espressione che non è chiara e che necessiterebbe di interpretazione che non risulta affatto operata, che nel ricostruire il dolo di calunnia tale dolo innanzitutto non è certamente di immediata evidenza tenuto conto della genericità ed atecnicità della breve espressione adoperata, compatibile con una stizzita protesta per la sanzione applicata e, comunque, richiedeva un'attenta interpretazione trattandosi di una condotta non immediatamente indicativa della volontà di portare il fatto all'attenzione della Autorità Giudiziaria penale. Tali carenze della motivazione impongono l'annullamento della sentenza impugnata. Pur se di norma, alle condizioni date, il provvedimento dovrebbe essere annullato con rinvio per nuovo esame per valutare nuovamente le condizioni di fatto al fine di rilevare l'idoneità della condotta a integrare il reato e il relativo dolo, in tale peculiare vicenda è però evidente che da un lato tutti i fatti rilevanti ai fini dell'accusa sono stati accertati e che la carenza motivazionale, pur a fronte di una analisi abbastanza ampia dei giudici di merito, consegue all'evidente difficoltà di definire univocamente circostanze ambigue rispetto alla specifica condotta da dimostrare. È quindi evidente la impossibilità di giungere, alla stregua delle circostanze di fatto ormai definite, ad una conclusione di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio. In conseguenza, un nuovo giudizio di merito risulta superfluo per cui l'annullamento deve essere disposto senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.