Da ‘sottotetto’ a ‘mansarda’ privata: lavori legittimi. Quello spazio non è, per forza, comune. E un accesso occasionale non muta il quadro

Valutate come assolutamente ingiustificate le proteste per i lavori realizzati da una condomina, lavori che hanno portato alla trasformazione del ‘sottotetto’ in una ‘mansarda’ privata. Manca la prova del possesso o del compossesso tale lacuna è decisiva, perché quello spazio dell’immobile non è in automatico da valutare come ‘comune’.

Due aggettivi fondamentali “sporadico” e “occasionale”. Perché se tale è l’accesso allo spazio del ‘sottotetto’ dello stabile, allora non si può rivendicare un ‘possesso’ tale da rendere illegittimi i lavori effettuati dalla condomina e finalizzati a trasformare quello spazio dell’edificio in una mansarda ‘privata’. Cassazione, sentenza numero 1953, Seconda sezione Civile, depositata oggi A la guerre Scontro frontale, come detto, in un contesto condominio pomo della discordia è l’«uso del sottotetto». Ad affilare le armi è una «proprietaria», la quale contesta i «lavori», effettuati nel «fabbricato», da una condomina, che così le «aveva precluso l’uso del sottotetto, avendo chiuso l’accesso». E ad aggravare la situazione, secondo la donna, anche «l’abbassamento del solaio e l’apertura del lucernaio» e la destinazione del «sottotetto ad uso esclusivo, con l’intenzione di farne una mansarda». Evidente la rabbia per lo «spossessamento» subito. Ma tale rabbia non poggia, secondo i giudici, su fondamenta solide così, sia in primo che in secondo grado, viene negata la «prova di un possesso o compossesso, non essendo idonea la circostanza» che la donna «si fosse portata nel sottotetto in occasione di lavori concernenti il suo appartamento». Eppoi, aggiungono i giudici, «in mancanza di titolo», il «sottotetto» può essere «compreso nelle parti comuni solo nel caso in cui il vano risulti oggettivamente destinato, sia pure in via potenziale, all’uso comune, oppure all’esercizio di servizio di interesse condominiale». Uso occasionale. Ebbene, tale visione, negativa per la donna – che rivendica ancora il proprio «possesso» –, viene confermata e ‘sigillata’ dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, ritengono illegittime le contestazioni avanzate dalla donna rispetto ai lavori effettuati dalla condomina. Evidente, per i giudici, la correttezza del ragionamento seguito sia in primo che in secondo grado manca la «prova di un possesso o compossesso, non essendo idonea la circostanza» che la donna «si fosse portata nel sottotetto in occasione di lavori concernenti il suo appartamento». Peraltro, anche dalle foto a disposizione «era possibile desumere che il sottotetto aveva la funzione di camera d’aria e non aveva le caratteristiche strumentali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo». Quadro cristallino, dunque il «possesso» non può essere «desunto da uno sporadico ed occasionale accesso», eppoi non si può considerare automaticamente il «sottotetto» ricompreso «nelle parti comuni».

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 dicembre 2013 – 29 gennaio 2014, numero 1953 Presidente Triola – Relatore Correnti Svolgimento del processo Con ricorso 27.2.1992 al pretore di L’Aquila Q.A., proprietaria di un immobile in via Castello 79, esponeva che negli ultimi mesi del 1991 era venuta a conoscenza che S.A.M., nell’effettuare lavori nello stesso fabbricato, aveva precluso alla ricorrente l’uso del sottotetto avendo chiuso l’accesso lamentava anche l’abbassamento del solaio e l’apertura del lucernaio, destinando il sottotetto ad uso esclusivo, con l’intenzione di farne una mansarda, con spossessamento della stessa ricorrente. Chiedeva la reintegrazione nel possesso, la sospensione dei lavori e la rimozione delle opere fatte. La S. contestava il possesso e la proprietà della soffitta, pertinenza del suo immobile. Con sentenza 886/2003 la domanda veniva rigettata, decisione confermata dalla corte di appello con sentenza 24.1.2007 che negava la prova di un possesso o compossesso non essendo idonea la circostanza che la ricorrente si fosse portata nel sottotetto in occasione di lavori concernenti il suo appartamento e l’applicazione dell’articolo 1117 numero 1 cc perché in mancanza di titolo il sottotetto è compreso nelle parti comuni solo nel caso in cui il vano risulti oggettivamente destinato sia pure in via potenziale all’uso comune oppure all’esercizio di servizio di interesse condominiale Cass. 8968 del 20.6.2002 . Ricorre Q. con due motivi, variamente articolati e relativi quesiti, resiste S. Motivi della decisione Preliminare è l’esame dell’eccezione di difetto di procura ad litem per mancanza di specificità, che va respinta trattandosi di procura in calce al ricorso. Col primo motivo si denunziano violazione degli articolo 112, 115, 191, 277 cpc, 1140, 2697 cc, vizi di motivazione per omessa indicazione degli elementi in fatto, per la ritenuta insussistenza del possesso, per l’esclusione del possesso della comproprietaria. Col secondo motivo si denunziano violazione degli articolo 112, 115, 191, 277 cpc, difetto di motivazione criticando la tesi della S. sulla impossibilità di accesso, col quesito sull’omesso esame di prove testimoniali, violazione dell’articolo 1117 cc e vizi di motivazione, con relativo quesito. Le censure non meritano accoglimento. La sentenza impugnata ha negato la prova di un possesso o compossesso non essendo idonea la circostanza che la ricorrente si fosse portata nel sottotetto in occasione di lavori concernenti il suo appartamento e l’applicazione dell’articolo 1117 numero 1 cc perché in mancanza di titolo il sottotetto è compreso nelle parti comuni solo nel caso in cui il vano risulti oggettivamente destinato sia pure in via potenziale all’uso comune oppure all’esercizio di servizio di interesse condominiale Cass. 8968 del 20.6.2002 . In particolare, avendo la S. negato il compossesso, sarebbe spettato alla Q. fornire la prova. Dalle foto era possibile desumere che il sottotetto aveva la funzione di camera d’aria e non aveva le caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo. Questa essendo la ratio decidendi le odierne doglianze sono inidonee a ribaltarla dando luogo a generiche e non decisive critiche alla motivazione con quesiti meramente assertivi. Non solo non si forniscono elementi utili a dimostrare un possesso che non può essere desunto da uno sporadico ed occasionale accesso ma, di fronte, ad una motivazione fondata su richiami giurisprudenziali, non si invoca un diverso e più appagante orientamento consolidato. Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese, liquidate come da dispositivo P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso con condanna alle spese, liquidate in euro 2200, di cui 2000 per compensi, oltre accessori.