Spetta ai comuni l’individuazione delle aree interessate dal Piano di insediamento produttivo

Evidenziate le corrette modalità per l’adozione di eventuali varianti in materia di piani di insediamento produttivo.

L’ipotesi del reato di lottizzazione abusiva. Con la sentenza n. 3649 depositata il 27 gennaio 2014, la terza sezione penale della Corte di Cassazione interviene in materia di piani di insediamento produttivo evidenziando le corrette modalità per l’adozione di eventuali varianti. Infatti, nel caso di specie, il giudice delle indagini preliminari, adottando il relativo decreto di sequestro preventivo, riteneva sussistere il fumus delle ipotesi di reato di cui agli artt. 81, 110 c.p. e 44 lett. a e b , Testo Unico Edilizia. Così veniva disposto il vincolo su di un’area di terreno in zona industriale, destinata ad attività di gestione rifiuti con ciclo integrato e sulla quale erano stati realizzati interventi edilizi incompatibili con la destinazione dell’area – risultante dagli strumenti urbanistici - destinata a verde pubblico e/o parcheggi. In questo modo, venivano ritenuti illegittimi sia il permesso di costruire rilasciato nel dicembre del 2010, sia la successiva variante ed il certificato di agibilità rilasciati alla metà dell’anno successivo. Da qui sorge l’istanza di riesame da parte del Sindaco, che risulta accolta dal Tribunale competente con l’annullamento del decreto impugnato e la conseguente restituzione dell’area sequestrata. Secondo il giudici del riesame, la realizzazione di un centro di gestione integrata di rifiuti rientra – unitamente alle destinazioni a verde pubblico e parcheggio – tra quelle componenti essenziali degli standard urbanistici fissati per le zone di piano di insediamento produttivo, come quella in esame, individuati dal D.M. n. 1444/1968. In buona sostanza, secondo il giudice del riesame, la realizzazione della piazzola ecologica è del tutto legittima sia perché l’amministrazione ha la possibilità di gestire in modo elastico la divisione del territorio in funzione delle esigenze della collettività sia perché il servizio di gestione rifiuti ha natura pubblica e quindi è l’intera collettività a usufruirne sia infine perché pur scorporando la superficie dell’area interessata gli standard minimi ministeriali risultano rispettati. Un ultimo elemento decisivo a favore del Comune risulta il principio della fungibilità delle opere pubbliche e la non necessità di intervenire con varianti al P.R.G. quando nell’area destinata a servizi pubblici siano realizzati interventi inizialmente non previsti qualificabili come opere pubbliche. Il Pubblico Ministro presso il Tribunale territoriale a questo punto propone ricorso sull’originaria ipotesi che ravvisava il reato di lottizzazione abusiva nei confronti degli indagati. In realtà, a contestazione di quanto previsto dal giudice del riesame, la predisposizione di un’area di stoccaggio di rifiuti deve essere qualificata come servizio tecnologico a carattere territoriale e non come attività di pubblico interesse, in quanto posta a servizio dell’area produttiva su cui insiste e non dell’intera collettività comunale. Inoltre, veniva messo in rilievo da parte del P.M. che nessuna forza sanante poteva essere attribuita alla successiva deliberazione comunale rispetto all’intervenuta delibera di giunta. Deliberazione consiliare e delibera di giunta. Intervenendo sulla questione, i giudici della Cassazione rilevano preliminarmente – in merito alla intervenuta delibera di consiglio comunale a seguito di quella di giunta – che costituisce principio generale dell’ordinamento che i provvedimenti autorizzatori e quelli adottati dal soggetto competente devono precedere i provvedimenti attuativi o esecutivi assunti da diverso organo amministrativo. Infatti, questi ultimi trovano legittimazione in fonte di rango superiore e pertanto non possono essere adottati in assenza dei primi. La conseguenza? Qualora si ritenga che solo una deliberazione consiliare possa integrare o modificare le previsioni del piano di insediamento produttivo, tale deliberazione deve precedere l’adozione dei provvedimenti assessoriali o di giunta che operano in tale senso. In buona sostanza, secondo gli Ermellini , in relazione al piano di insediamento produttivo si è in presenza di uno strumento urbanistico di attuazione, che presuppone l’adozione dello strumento urbanistico generale e che può riguardare sia il singolo Comune sia assumere una dimensione intercomunale, nel qual caso si dovrebbe procedere mediante conferenza di servizi. Il Piano di insediamento produttivo. I giudici della Cassazione, inoltre, evidenziano – come si legge nella sentenza in commento – che il collegamento con lo strumento urbanistico e la necessità di ricorrere alle procedure di variante in caso di modificazione del piano di insediamento approvato sono elementi esplicitati dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 206 del 26 febbraio 2001, dove si afferma che in caso di dissenso espresso dall’ente regionale in sede di conferenza di servizi il consiglio comunale non può provvedere ad apportare una variante al piano senza ulteriore confronto con la Regione. Risulta così confermato quell’orientamento, ricordato anche dal Consiglio di Stato, in base al quale spetta ai consigli comunali individuare specificamente le aree interessate dal piano di insediamento produttivo, in quanto non si tratta di scelta meramente attuativa di scelte generali già effettuate, ma di scelta che implica una vera e propria volizione che deve coordinarsi con la pianificazione urbanistica, pur non esaurendosi in essa. Ne consegue, secondo i giudici del Palazzaccio , che la deliberazione del consiglio comunale contestata, di variante rispetto al piano particolareggiato approvato dalla giunta regionale, deve essere considerata la fonte legittimante le caratteristiche del piano di insediamento produttivo e che, in assenza di una modificazione di questo assetto effettuata mediante le procedure necessarie, non è possibile considerare validamente emessi né il permesso di costruire né gli atti amministrativi successivi e conseguenti. Da qui l’annullamento dell’ordinanza con rinvio, affinché il Tribunale provveda ad un nuovo esame, tenendo conto della necessità di verificare la correttezza delle procedure adottate e che prevedono l’interlocuzione con le altre amministrazioni interessate e, ove necessario, con l’ente regionale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 3 dicembre 2013 - 27 gennaio 2014, numero 3649 Presidente Squassoni – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con decreto di sequestro preventivo emesso in data 4/4/2013 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brindisi ha ritenuto sussistere il fumus delle ipotesi di reato previste dagli articolo 81, 110 cod. penumero e 44, lett. a e b , del d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380 ed ha disposto il vincolo su un'area di terreno ubicata nella zona industriale del predetto Comune destinata ad attività di gestione dei rifiuti con ciclo integrato e sulla quale sono stati realizzati interventi edilizi incompatibili con la destinazione dell'area quale risulta dagli strumenti urbanistici. In particolare, l'area risulta destinata a verde pubblico e/o parcheggi , così che il permesso di costruire rilasciato il 21/12/2010 e la successiva variante rilasciata il 15/6/2011 e il certificato di agibilità del 13/7/2011 debbono ritenersi illegittimi. 3. Avverso il decreto di sequestro è stata proposta istanza di riesame da parte del Sindaco pro tempore con argomenti che il Tribunale di Brindisi ha ritenuto fondati, tanto da disporre l'annullamento del decreto impugnato e la restituzione dell'area in sequestro. Osserva il Tribunale che la realizzazione di un centro destinato alla gestione integrata dei rifiuti rientra le attività collettive che, unitamente alle destinazioni a verde pubblico e parcheggio il D.M. numero 1444 del 1968 individua come componente essenziale degli standard urbanistici fissati per le zone P.I.P. , come quella in esame. Tre sono gli ordini di ragioni per cui l'articolo 5 del citato D.M. non risulta violato dalla realizzazione di una piazzola ecologica Centro Raccolta materiali a la possibilità per l'amministrazione di gestire in modo elastico la divisione del territorio in funzione delle esigenze della collettività b la natura pubblica del servizio di gestione rifiuti, ancorché affidato a concessionaria privata, avendo riguardo al fatto che è l'intera collettività ad usufruirne c che gli standard minimi fissati dal citato D.M. del 1968 risultano rispettati anche scorporando la superficie dell'area interessata. A ciò deve aggiungersi che con deliberazione del 29/11/2011 il Consiglio comunale ha approvato e ratificato le scelte della Giunta. Infine, l'articolo 1 della legge numero 1 del 1978 e l'articolo 16 della legge regionale numero 13 del 2001 hanno fissato il principio della fungibilità delle opere pubbliche e la non necessità di intervenire con varianti al P.R.G. quando nell'area destinata a servizi pubblici siano realizzati interventi inizialmente non previsti qualificabili come opere pubbliche. Conclude il Tribunale che, in ogni caso, l'eventuale violazione dello strumento urbanistico non si caratterizza per dolosa preordinazione da parte dei soggetti che vi hanno dato corso. 4. Avverso tale provvedimento propone ricorso il Pubblico ministero presso il Tribunale di Brindisi. 4.1 - Premesso che la pubblica accusa ha ravvisato nelle condotte degli indagati l'ipotesi di lottizzazione abusiva ex articolo 44, lett. b e c del d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380, il ricorrente afferma che la predisposizione di un'area di stoccaggio dei rifiuti va qualificata come servizio tecnologico a carattere territoriale e non come attività di pubblico interesse ex articolo 5 del citato D.M., in quanto posta a servizio dell'area produttiva su cui insiste e non dell'intera collettività comunale osserva, ancora, che la stessa Giunta comunale con la delibera numero 250 del 2010 che individuava l'area interessata come possibile sede del centro di raccolta avesse fatta salva la necessità di approfondire i profili urbanistici e di provvedere anche mediante lo strumento della variante. Fatte queste premesse, il ricorrente in sintesi lamenta 4.2 - Errata applicazione di legge ai sensi dell'articolo 606, lett. b cod.proc.penumero essendo pacifico che il permesso di costruire rilasciato in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti non può legittimare la realizzazione di opere inoltre 1 trattandosi di stoccaggio di materiali da destinare a discarica, non si è in presenza di rifiuti, ma di materiali qualificabili come sottoprodotto o materia prima secondaria 2 si è in presenza di opere di interesse pubblico e non di opere pubbliche 3 non può parlarsi di opera di urbanizzazione secondaria, posto che il centro di raccolta ha come destinatario l'intero territorio intercomunale servito dal consorzio, così che va escluso che l'area in questione sia a servizio della sola zona produttiva 4 il Tribunale non ha considerato le modifiche apportate all'arti, comma 4, della legge numero 1 del 3 gennaio 1978 dalla legge numero 415 del 1998, che ha sostituito detta disposizione 5 nessuna forza sanante può essere attribuita alla successiva deliberazione comunale. Con note di udienza depositate in data odierna l'avv. Camassa per il Comune di Ceglie Massapica ha ricordato che si è in presenza di attività collettive ex D.M. 1444/68 e di opere pubbliche e che la dimostrata conformità agli standard ex articolo 5 del citato D.M. conduce a un quadro complessivo che impone il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. La Corte considera opportuno procedere all'esame del provvedimento impugnato muovendo da tre premesse. 1.A - La prima concerne la non condivisione del passaggio motivazionale contenuto nell'ultimo capoverso dell'ordinanza impugnata, in cui il Tribunale richiama come argomento di chiusura l'assenza de l'elemento soggettivo della dolosa preordinazione della condotta alla violazione del programmato assetto urbanistico del territorio . Come noto, infatti, il reato contestato ha natura contravvenzionale ed è punito anche a titolo di sola colpa, così che l'assenza di intenzionalità dolosa non costituisce elemento che possa da solo escludere il fumus di reato. 1.B - La seconda concerne la asserita rilevanza della deliberazione assunta dal consiglio comunale in data 29/11/2011, e dunque in momento successivo all'adozione dei provvedimenti oggetto della contestazione cautelare. Costituisce principio generale dell'ordinamento che i provvedimenti autorizzatori e quelli adottati dal soggetto competente debbono precedere i provvedimenti attuativi o esecutivi assunti da diverso organo amministrativo questi ultimi, trovando legittimazione in fonte di rango superiore, non possono essere adottati in assenza dei primi o ponendosi in contrasto con essi. Con la conseguenza che, qualora si ritenga che solo una deliberazione consiliare potesse derogare, integrare o modificare le previsioni del P.i.p., non vi è dubbio che tale deliberazione debba precedere l'adozione dei provvedimenti assessoriali o di giunta che operano in tal senso. 1.C - La terza concerne l'errore in cui è incorso il ricorrente nel momento in cui sostiene che i materiali depositati nell'area interessata non costituirebbero rifiuto ma sottoprodotto o materie prime secondarie. Tali qualificazioni, peraltro indicate alternativamente dal ricorrente benché tra loro diverse, si pongono in contrasto con le previsioni dell'articolo 183, comma 1, lett. a e lett. qq , e con quelle degli articolo 184, comma 2, e 184-bis del d.lgs. 3 aprile 2006, numero 152. Peraltro, apparendo tale passaggio motivazionale d privo di carattere centrale nel ragionamento del ricorrente, non appaiono necessarie ulteriori specificazioni. 2. Venendo così all'esame dei restanti profili del ricorso, la Corte deve rilevare la specifica natura dei piani di insediamento produttivo disciplinati dalla legge 865 del 1971, in particolare all'articolo 27, e dal d.lgs. 31 marzo 1998, numero 112, in particolare agli articolo 25 e 26. Si è in presenza di strumento urbanistico di attuazione, che presuppone l'adozione dello strumento urbanistico generale, e che può sia riguardare il singolo comune sia assumere dimensione intercomunale, ipotesi nella quale occorre procedere mediante conferenza dei servizi si veda l'articolo 14 della legge numero 241 del 1990 e successive modifiche . Il collegamento con lo strumento urbanistico comunale e la necessità di ricorrere alle procedure di variante in caso di modificazione del piano di insediamento approvato sono elementi esplicitati dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 206 del 26/6/2001, dove si afferma che in caso di dissenso espresso dall'ente regionale in sede di conferenza dei servizi il consiglio comunale non può provvedere ad apportare una variante al piano senza ulteriore confronto con la Regione. 3. L'insieme della disciplina del piano di insediamento produttivo consente di riconoscere lo stretto legame esistente fra detto insediamento e le finalità di sostegno all'economia locale che lo sostengono Cons. Stato, Sez. IV, numero 3034 del 6/6/2001 . 4. È in questo contesto che deve essere valutata la previsione circa la individuazione all'interno del P.i.p. di aree destinate a finalità pubbliche, che in qualche modo compensano i proprietari e la popolazione interessata rispetto alla concentrazione di attività produttive in unica zona. Non appare, dunque, casuale che il piano in esame prevedesse l'esistenza di un'area destinata alla fruizione dei cittadini interessati dal piano stesso e non di tutti i cittadini del comune e del comprensorio , e cioè di un'area destinata a parcheggio e a verde pubblico. 5. Se questi sono i presupposti normativi e i principi interpretativi generali, deve trovare conferma l'ipotesi che solo il consiglio comunale possa apportare modifiche al piano. Come ricordato dal Consiglio di Stato Sez. IV, numero 6631 del 27/10/2003 spetta infatti al consigli individuare specificamente le aree interessate dal P.i.p. in quanto non si tratta di scelta meramente attuativa di scelte generali già effettuate, ma di scelta che implica una vera e propria volizione che deve coordinarsi con la pianificazione urbanistica ma che non si esaurisce in essa. 6. Discende da quanto detto finora che la deliberazione del consiglio comunale del 16/2/2009, di variante rispetto al piano particolareggiato che fu approvato dalla giunta regionale, deve essere considerata la fonte legittimante le caratteristiche del P.i.p. e che, in assenza di una modificazione di tale assetto effettuate mediante le procedure necessarie, non possono considerasi validamente emessi il permesso di costruire rilasciato il 21/12/2010 e gli atti amministrati successivi e conseguenti. 7. Così ritenuto esistente il fumus di reato, la Corte non può non rilevare che l'emanazione della deliberazione del consiglio comunale del 29/11/2011 ha approvato le scelte operate dall'amministrazione. Occorre così procedere a verificare se detto provvedimento, che parrebbe non incidere in modo definitivo sugli standard del P.i.p., risulti rispettoso delle procedure che prevedono l'interlocuzione con le altre amministrazioni interessate e, ove necessario, con l'ente regionale. Si tratta di valutazione che assume obiettiva rilevanza rispetto all'attualità delle esigenze cautelari, non esaminate sotto questo profilo dal Tribunale, e che non può essere operata da questa Corte. 7. L'ordinanza va pertanto annuito con rinvio ai sensi dell'articolo 623 cod. proc. penumero affinché il Tribunale, tenendo conto dei principi affermati con la presente decisione, provveda a nuovo esame. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brindisi.