Dirigente a caccia dell’arbitro: due anni di ‘Daspo’

Confermato definitivamente il provvedimento nei confronti di un dirigente sportivo, ‘protagonista’ di una mega rissa culminata nella ‘caccia’ all’arbitro. Evidente la pericolosità sociale dell’uomo, lapalissiano il ‘peso’ negativo del suo comportamento, capace di incitare alla violenza.

Volete fare un giro ‘ai confini della realtà’? Basta ‘passeggiare’ per la Penisola e affacciarsi su qualche campo da calcio di periferia Esemplare la vicenda relativa a una partita – campionato di ‘Prima categoria’! – conclusasi con una enorme rissa, con tanto di caccia all’uomo tra i ‘protagonisti’ un dirigente della squadra sconfitta, scattato dalla panchina per apostrofare malamente l’arbitro. Nessun dubbio è possibile sul ‘peso specifico’ della condotta tenuta dal dirigente sportivo, condotta capace di incitare alla violenza consequenziale è l’applicazione del ‘Daspo’. Cass., sent. n. 3646/2014, Terza Sezione Penale, depositata oggi Pallone sgonfio Sanzione dura nei confronti del giovane dirigente della squadra di calcio, resosi co-protagonista di una mega rissa il Questore opta per due anni di ‘Daspo’. E questa linea viene condivisa dal Giudice per le indagini preliminari, il quale convalida il provvedimento del Questore . Stadi ‘vietati’, dunque, per il dirigente sportivo. Che, però, nonostante tutto, nonostante la chiarezza della vicenda – ossia l’ aggressione verbale nei confronti dell’arbitro –, decide di proporre ricorso in Cassazione, contestando i presupposti impositivi della misura . Ma l’obiezione mossa dall’uomo è respinta in maniera netta dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali mostrando di condividere le valutazioni del Gip, fondate sulla evidente gravità della condotta dell’uomo. Assolutamente corretto, in sostanza, il giudizio di pericolosità sociale dell’uomo, resosi responsabile di atti di violenza, in quanto aveva partecipato all’aggressione verbale nei confronti dell’arbitro , fatto aggravato dalla qualifica di dirigente . E questa visione è poggiata, ovviamente, sulla ricostruzione dell’episodio, caratterizzato dalla rabbia di dirigenti e calciatori della squadra sconfitta, i quali facevano ingresso in campo ed aggredivano verbalmente e fisicamente i giocatori della squadra avversaria e l’arbitro in questo contesto di confusione, il dirigente si portava dalla panchina all’interno del rettangolo di gioco e, nonostante i ripetuti inviti da parte delle forze dell’ordine di allontanarsi, inveiva con parole ingiuriose e minacce contro l’arbitro . Evidente il ‘peso’ negativo del comportamento del dirigente, il quale, concludono i giudici, ha incitato, senza dubbio, e indotto alla violenza .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 ottobre 2013 – 27 gennaio 2014, n. 3646 Presidente Squassoni – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento n. 4306/12 emesso in data 12.12.2012 ai sensi dell'art. 6 della legge 401/1989 il Questore di Reggio Calabria disponeva, nei confronti di T.D., n. Delianuova il 17.5.1982, il divieto di accesso, per anni 2, ai luoghi in cui si svolgano tutte le manifestazioni sportive nelle quali sia impegnata, a qualsiasi titolo, la compagine calcistica A.S.D. Deliese, nonché ai luoghi dove si svolgano incontri di calcio di qualsiasi serie e categoria, partite amichevoli, partite giocare dalla Squadra Nazionale d'Italia, partite di Coppe Nazionali ed Europee e manifestazioni sportive calcistiche con la prescrizione di presentarsi, in occasione di manifestazioni sportive in cui sia impegnata a qualsiasi titolo la squadra calcistica della A.S.D. Deliese, presso la Stazione Carabinieri di Delianuova RC mezz'ora dopo l'inizio del primo tempo regolamentare e un quarto d'ora prima della fine del secondo tempo regolamentare imposizione per anni 2, decorrente dalla data della prima gara successiva a quella di notifica del provvedimento . Il predetto provvedimento è stato notificato al T. in data 20.12.2012, ore 17.10, con l'avviso che l'interessato ha facoltà di presentare, personalmente o a mezzo del difensore, memorie al giudice competente per la convalida. Il Pubblico Ministero ha chiesto la convalida del provvedimento nel termine di 48 ore dalla notifica dello stesso. L'interessato non ha inteso far pervenire memoria nel termine di 48 ore dalla notifica del provvedimento. Il g.i.p. presso il tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza del 22 dicembre 2012 h. 17.20 , intervenuta quindi prima del decorso delle successive 48 ore, ha convalidato il provvedimento del questore. 2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con sei motivi. Considerato in diritto 1. Con il ricorso, articolato in sei motivi, il ricorrente lamenta il difetto ed irragionevolezza della motivazione in ordine alla previsione di un doppio obbligo di presentazione, sostenendo che non sarebbe chiaro in relazione a quali incontri ciò debba avvenire. Inoltre lamenta il difetto di motivazione in ordine ai presupposti impositivi della misura anche sotto il profilo delle ragioni di necessità ed urgenza della misura. 2. Il ricorso è infondato. Il Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza del 22 dicembre 2012 ha convalidato il provvedimento del questore che imponeva al T. la presentazione presso l'ufficio di polizia del luogo di residenza in occasione degli incontri di calcio della società Deliese, in due occasioni per ogni incontro, ivi comprese le partite amichevoli, per anni due. Nel provvedimento è ben chiaro che gli obblighi imposti si riferiscono alla attività sportiva della ASD Deliese. Innanzi tutto, tenendo conto della notifica del provvedimento questorile, la convalida da parte del g.i.p. è rituale per aver rispettato i termini individuati dalla legge e dalla giurisprudenza di legittimità, atteso che tra la notifica e la convalida è intervenuto un termine superiore ad ore 48 e non eccedente le 96 ore. Quanto alla motivazione sulla ricorrenza del presupposto della necessità, questa può dedursi dalla stessa gravità della condotta tenuta dal T. In particolare, trattandosi di misura di prevenzione che presuppone la pericolosità sociale e non già la commissione di un reato, è sufficiente l'accertamento di un fumus di attribuibìlità alla persona sottoposta alla misura delle condotte rilevanti al fine della verifica della pericolosità del soggetto, atteso che la misura maggiormente restrittiva del secondo comma si giustifica quando, per le peculiarità del caso, la prima misura appaia non del tutto sufficiente, e ciò non soltanto nell'ipotesi in cui il divieto di accesso agli stadi risulti essere stato violato, ovvero senza che sia necessario l'accertamento dello specifico reato previsto dal medesimo art. 6, comma 6 che sanziona il contravventore alle due misure previste dai precedenti commi 1 e 2 . Va poi ribadita la legittimità la motivazione per relationem del provvedimento di convalida quando effettuata attraverso il richiamo all'atto impugnato ed alla richiesta del pubblico ministero ciò che mostra che il g.i.p. ha valutato e condiviso le argomentazioni recate negli atti richiamati. Nel caso di specie il Gip ha condiviso il giudizio di pericolosità sociale, ricordando con ampia motivazione come il ricorrente si sia reso responsabile di atti di violenza in quanto aveva partecipato all'aggressione verbale nei confronti dell’arbitro, fatto aggravato dalla sua qualifica di dirigente. In particolare il g.i.p. ha osservato che il giorno 11/11/2012, presso lo stadio comunale di Locri, in occasione dell'incontro di calcio tra l'A.c. Locri e la A.S.D. Deliese, intorno al minuto 47 del secondo tempo regolamentare, in occasione di uno scontro di gioco tra due avversari in prossimità della zona centrale del campo si creava un acceso diverbio tra giocatori ripreso il gioco, la squadra di casa a seguito di una rapida azione realizzava la rete della vittoria tuttavia dirigenti e calciatori di riserva della DELIESE, ritenendo che la ripresa del gioco avrebbe dovuto esser assegnata alla loro squadra - per una prassi invalsa nelle gare calcistiche -, reputando, dunque, assolutamente scorretto il comportamento tenuto dai calciatori della compagine avversaria, facevano ingresso in campo ed aggredivano verbalmente e fisicamente i giocatori della squadra avversaria e l'arbitro. Nella confusione che si era venuta a creare gli operanti notavano il T. che si portava dalla panchina all'interno del rettangolo di gioco e - nonostante i ripetuti inviti da parte delle Forze dell'Ordine di allontanarsi - inveiva con parole ingiuriose e minacce contro l'arbitro. Tale condotta - ha ritenuto il g.i.p. con valutazione di merito sufficientemente e non contraddittoriamente motivata - è riconducibile alle ipotesi previste dall'art. 6 comma 1 della L. 401/89 atteso che con il proprio comportamento l'indagato in occasione di manifestazioni sportive ha senza dubbio incitato, inneggiato o indotto alla violenza. 3. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.