Matrimonio a distanza ad alto tasso di spostamenti e tradimenti: giusta la riduzione dell’assegno di mantenimento

Se la coppia decide di vivere il rapporto matrimoniale a distanza, l’assegno di mantenimento può essere ridotto e la separazione non è addebitabile al partner che ha tradito a fronte del rifiuto dell’altro di trasferirsi dalla città natale.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 13 del 2 gennaio 2014. 23 anni di matrimonio a distanza. Una coppia, dopo il matrimonio, decide di vivere in città diverse e tale situazione si protrae per ben ventitré anni, a causa del rifiuto della moglie di seguire il marito un una città diversa da quella natale. Col tempo, la distanza logora il rapporto coniugale, determinando il tradimento dell’uomo. Non solo le notevoli spese per i continui spostamenti intaccano il tenore di vita della coppia. Nel giudizio che ne consegue, il Tribunale di Massa Carrara addebita la separazione alla donna ma la Corte d’Appello di Genova esclude che, in una situazione di questo tipo, si possa pronunciare l’addebito e fissa, a carico del marito, un contributo mensile di mantenimento di 400 euro. La donna ricorre in Cassazione per ottenere un assegno maggiore. Assegno ridotto colpa della distanza. Gli Ermellini respingono il ricorso, non trascurando le peculiari e dispendiose condizioni del rapporto a distanza instaurato dai coniugi in relazione alle risorse che avrebbero potuto alimentare il loro tenore di vita, limitate agli introiti lavorativi e pensionistici del marito, sebbene nel corso della convivenza coniugale la moglie abbia contato sugli stessi solo in minima parte. In altre parole, sulla decisione del Collegio di legittimità ha pesato, più di tutto, la circostanza per cui dal tenore di vita goduto in costanza di matrimonio andavano decuratate le spese sostenute per i viaggi.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 ottobre 2013 – 2 gennaio 2014, numero 13 Presidente Luccioli – Relatore Giancola Svolgimento del processo Con sentenza del 5.4-25.9.2003 il Tribunale di Massa Carrara dichiarava la separazione giudiziale dei coniugi P.F. , ricorrente, e O.L. , con addebito a quest'ultima, poneva a carico del marito un assegno alimentare in favore della moglie nella misura di Euro 350,00 mensili annualmente rivalutabili ed a carico della O. i due terzi delle spese processuali, compensate per la residua parte. Con sentenza 16.1-14.2.2004 la Corte di Appello di Genova, in parziale accoglimento dell'impugnazione della O. , elideva l'addebito a lei della separazione e poneva a carico del P. il medesimo importo di Euro 350,00 mensili per il mantenimento della moglie, compensando interamente tra le parti le spese di lite. La Corte territoriale osservava che le condotte che i coniugi si erano reciprocamente, contestate, costituite per la moglie dal rifiuto di seguire il marito nella sua residenza e di avere figli, e per il marito dall'avere intrattenuto una relazione extraconiugale nell'imminenza della separazione, apparivano prive di efficacia causale rispetto al verificarsi della crisi dell'unione. Quanto ai rapporti economici, rilevava che il P. godeva di una pensione di Euro 1.600,00 mensili, mentre la O. , proprietaria di un immobile in zona centrale di Torino e comproprietaria dell'abitazione rimasta nella disponibilità del marito a Massa, era in grado di svolgere una attività lavorativa tale da consentirle, integrando l'assegno disposto dal primo giudice, il mantenimento del tenore di vita precedente. Avverso tale sentenza la O. proponeva ricorso per Cassazione affidato a due motivi, cui il P. replicava con controricorso, nel quale chiedeva anche che fosse disposta la correzione della motivazione della sentenza impugnata nel punto in cui aveva affermato che la situazione di non convivenza tra i coniugi era stata per lungo tempo accettata dal marito. Con sentenza numero 9244 del 2008, questa Corte di legittimità, riuniti i due procedimenti, accoglieva il primo motivo del ricorso della O. con assorbimento del secondo, dichiarava inammissibile l'istanza di correzione di cui al controricorso del P. e cassava con rinvio l'impugnata sentenza, ritenendo che i giudici d'appello, dopo aver escluso l'addebito della separazione alla moglie, avevano liquidato l'assegno di mantenimento in suo favore nello stesso importo stabilito dal primo giudice a titolo di assegno alimentare, ai sensi dell'articolo 433 c.c., senza darsi carico della diversa natura e funzione dei due contributi, né dei diversi elementi valutabili ai fini della loro quantificazione, secondo la disciplina dettata, rispettivamente, dagli articolo 156 e 438 c.comma e che l'impianto argomentativo della sentenza non consentiva di desumere le ragioni per le quali, ferma la spettanza dell'assegno di mantenimento, una corretta utilizzazione dei criteri di determinazione di esso fosse tale da comportare una sua liquidazione in misura corrispondente a quella fissata dal Tribunale per l'assegno alimentare. La O. riassumeva la causa invocando l'accoglimento del suo originario appello ed in particolare la determinazione di un assegno per il suo mantenimento di Euro 800,00 mensili o comunque della misura pari a metà del trattamento pensionistico del P. a decorrere dal giorno 30.6.1999 di comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale di Massa, oltre agli interessi legali dalle singole scadenze mensili ed alla rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT dal 1.1.2001, nonché con ordine all'INPDAP di versamento diretto dell'assegno, detratto quanto già da lei riscosso e con vittoria delle spese processuali delle quattro fasi di giudizio. Con sentenza del 19.12.2008-23.01.2009, la Corte di appello di Genova, decidendo in sede di rinvio e nel contraddittorio delle parti, in parziale accoglimento dell'appello dell'O. ed in parziale riforma della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Massa, dopo avere evidenziato anche che la separazione personale non era stata addebitata a nessuna delle due parti, determinava nella somma di Euro 400,00 a decorrere dal 1.10.1999, annualmente rivalutabili secondo gli indici ISTAT dal giorno 1.1.2001, l'importo mensile a carico del P. per il mantenimento della moglie respingeva nel resto l'appello della O. compensava la metà delle spese dei gradi di merito del giudizio e condannava il P. a rimborsare alla moglie la restante metà, nonché le spese del giudizio di cassazione. La Corte territoriale osservava e riteneva che solo in modesta misura, e non certo nell'entità pretesa dalla O. doveva essere aumentato il contributo di mantenimento rispetto al quantum Euro 350,00 mensili determinato dalla sentenza di primo grado a titolo di assegno alimentare e confermato dal giudice di secondo grado a titolo di assegno di mantenimento la pretesa dell'appellante di quantificazione dell'apporto in misura pari ad Euro 800,00 mensili o comunque corrispondente alla metà dell'effettivo introito pensionistico goduto dal marito separato presupponeva che nel corso della vita coniugale ultraventennale, risalendo il matrimonio tra le parti al giugno 1976 ed essendosi palesata la crisi coniugale tra il 1997 ed il 1999 vi fosse stata una perfetta condivisione dei redditi lavorativi e poi pensionistici del coniuge e che pertanto la moglie avesse fruito di un livello di vita ad essa correlato, situazione che invece non era stata dall'O. né dedotta né dimostrata dalle assunte prove testimoniali emergeva infatti che sin dall'inizio del matrimonio le parti erano vissute in città diverse ossia l'una a Torino e l'altro a Massa, presso le rispettive famiglie di origine, che la moglie si recava dal marito non più che nei fine settimana, restando assente anche per mesi, che i coniugi avevano raggiunto un assetto di rapporti, sostanzialmente accettato da entrambi, comportante pure sotto il profilo economico-reddituale vite separate, salvo reciproci, non frequentissimi incontri negli atti difensivi della stessa O. si era affermato che nel ventennio di matrimonio ella si era mantenuta in gran parte con mezzi diversi dalle rimesse del marito, il quale non le aveva versato neppure piccole somme per far fronte alle sue esigenze se non in concomitanza del giudizio di separazione l'indubbia circostanza della separatezza della vita dei coniugi anche sotto il profilo del reperimento delle risorse economiche per il rispettivo mantenimento, durante i ventitré anni di matrimonio non giustificava la determinazione dell'apporto in misura pari alla metà del reddito pensionistico del marito, emergendo con assoluta evidenza che durante la convivenza coniugale il tenore di vita ed il mantenimento della moglie solo in minima parte si erano fondati sui redditi lavorativi del marito la O. , inoltre, risultava proprietaria di un alloggio in Torino e comproprietaria con il marito di un alloggio in Massa, e la documentazione medica dalla stessa prodotta non evidenziava una sua risalente, permanente ed irreversibile inabilità al lavoro tanto più che si rivelava frutto di una libera scelta il mancato reperimento di altre attività lucrative dopo quella cessata a distanza di tre o quattro anni dall'inizio del matrimonio , pur dovendosi peraltro considerare che in quanto donna e per la sua età al momento della definitiva separazione dal coniuge avrebbe potuto contare su scarse occasioni lavorative in definitiva, valutate tutte le circostanze del caso e tenuto conto dei criteri di cui all'articolo 156 comma 2 c.c., appariva equo e giustificato determinare il contributo mensile di mantenimento in questione nella somma di Euro 400,00, sostanzialmente corrispondente con un minimo arrotondamento al ribasso , a quella L. 800.000 fissata in sede presidenziale, e stabilirne la decorrenza al 1.10.1999 come specificato nell'ordinanza presidenziale 30.9/5.10.1999 , con rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT dal 1.1.2001 come specificato nella stessa ordinanza mentre non potevano essere riconosciuti i pretesi interessi legali da ogni scadenza mensile e sino al pagamento né impartito all'INPDAP il chiesto ordine di versamento diretto del contributo e degli arretrati. Contro questa sentenza la O. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi e notificato il 17-25.11.2009 al P. , che il 30-31.12.2009 ha ritualmente resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione La O. censura l'entità dell'assegno ed a sostegno del ricorso denunzia 1. Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 156 c.c. . Formula il seguente quesito “Vero che in una fattispecie in cui non sia stata instaurata una continuativa convivenza tra i coniugi, la norma di cui all'articolo 156 c.comma prevede che, ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge separato senza addebito, occorra far riferimento alla mancanza di redditi propri da parte del richiedente, alla sussistenza di una disparità economica tra le parti ed al tenore di vita che ciascun coniuge aveva diritto di aspettarsi in conseguenza del matrimonio e non richiede l'instaurazione di una effettiva convivenza tra i coniugi né l'eventuale consumo di metà dei redditi lavorativi del marito da parte della moglie richiedente?”. 2. Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli articolo 156, 3 comma, 433 e 438 c.c. . Si duole che in definitiva la Corte di merito abbia apportato solo una minima integrazione dell'assegno alimentare e che sostanzialmente lo abbia confermato. Formula il seguente quesito “Vero che in un caso in cui, a fronte della richiesta di riconoscimento del diritto al mantenimento a favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione ed in luogo dell'illegittimamente disposto assegno alimentare, in base al combinato disposto degli articolo 156, 2 e 3 comma, 433 e 438 c.comma la quantificazione della misura del mantenimento a favore del coniuge richiedente dovrà essere operata in proporzione alla posizione economica del consorte ed al tenore di vita che lo stesso avrebbe dovuto consentirgli in base alle sue sostanze e non in proporzione al bisogno di chi lo domanda né all'eventuale instaurazione di una effettiva convivenza ”. 3. Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli articolo 156 e 433 c.c. . Formula il seguente quesito “Vero che, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento ex articolo 156 2 comma c.c., la precedente vivenza della moglie presso ed a carico dei suoi genitori in costanza di matrimonio non comporta per il marito, in grado di procurarsi i mezzi di sussistenza, l'esonero dall'obbligo di prestare assistenza adeguata alla coniuge del tutto inidonea a provvedere al proprio mantenimento, a nulla rilevando che i genitori di quest'ultima vi abbiano interamente provveduto, evidentemente in difetto dell'adempimento del marito, primo obbligato a norma dell'articolo 433 c.c.?”. 4. Omessa carente ed illogica motivazione in ordine a più punti decisivi per la controversia in relazione alla quantificazione della misura dell'assegno di mantenimento . 5. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 95 c.p.c. . Deduce che l'accoglimento dei sopra indicati motivi di ricorso, con la consequenziale totale soccombenza di parte resistente, dovrà comportare anche la riforma del capo della sentenza impugnata relativo al regime delle spese processuali. I primi quattro motivi del ricorso, suscettibili di esame congiunto, non meritano favorevole apprezzamento il relativo rigetto rende superfluo l'esame del quinto motivo del medesimo ricorso, subordinato a contraria e favorevole sorte dei precedenti. Relativamente alle violazioni e false applicazioni delle rubricate norme e della correlata elaborazione giurisprudenziale, denunciate nei primi tre motivi d'impugnazione, poiché si è ormai formato il giudicato interno sul diritto dell'O. al mantenimento da parte del marito, le poste censure sono inammissibili nella parte, peraltro prevalente, in cui implicano un rinnovato accertamento sulle condizioni che influiscono sull'insorgenza del diritto in questione, già definitivamente e positivamente accertato, nonostante eventuali sostegni economici di terzi fruiti dalla ricorrente. Si rivelano invece infondate laddove in riferimento all'attuata quantificazione dell'assegno di mantenimento involgono la mancata considerazione del tenore della vita coniugale al quale l'O. avrebbe potuto aspirare, pure in assenza di convivenza coniugale. Il livello della vita coniugale fruito o fruibile dal coniuge beneficiario, sebbene tendenzialmente presieda alla determinazione in questione, non assume valenza esclusiva ed assorbente nella valutazione del quantum, dovendo correlarsi alle altre circostanze ed ai redditi dell'obbligato, contemplati dall'articolo 156, secondo comma c.c., che in teoria ben possono assumere in sede separatizia connotati limitativi e riduttivi rispetto alla sua valorizzazione in tema,tra le altre, cfr cass. numero 9878 del 2006 . Nella specie, in riferimento alla commisurazione dell'apporto i giudici del rinvio appaiono essersi attenuti al dettato normativo ed alla relativa elaborazione giurisprudenziale ed avere proceduto alle prescritte verifiche legali, senza giustamente nemmeno trascurare le peculiari e dispendiose condizioni del rapporto a distanza instaurato dai coniugi in relazione alle riscontrate risorse che avrebbero potuto alimentare il loro tenore di vita, espressamente richiamato, limitate agli introiti lavorativi e poi pensionistici del marito ammontati successivamente ad Euro 1.600,00 mensili , sebbene nel corso della convivenza coniugale la moglie non avesse potuto su di essi in concreto contare se non in minima parte. Per il resto le censure attengono alla ricostruzione e comparazione delle condizioni economiche delle parti, per cui esulano dai vizi e dai quesiti di diritto formulati nei primi tre motivi in esame, attenendo al profilo motivazionale dell'impugnata sentenza, involto invece dal quarto motivo del ricorso, che al pari degli altri deve essere disatteso. In relazione a questo motivo infatti le censure svolte dalla ricorrente si risolvono in inammissibili critiche o nuove o generiche o prive di autosufficienza o non pertinenti, posto anche che in tema di separazione personale dei coniugi il secondo comma dell'articolo 156 cod. civ. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell'assegno in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'obbligato , con ciò riferendosi unicamente alle circostanze fattuali di ordine economico che possano influire sulla misura dell'apporto cfr tra le numerose altre e da ultimo, cass. numero 17199 del 2013 , per cui occorre considerare ogni utilità economicamente valutabile ed è sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddittuali delle parti. Nella specie i giudici di merito hanno irreprensibilmente ricompreso tra le utilità economicamente valutabili a favore della ricorrente la titolarità di un immobile e la contitolarità con il marito di altro immobile suscettibile di fruizione, stante pure l'assenza di assegnazione giudiziale al coniuge, nonché l'attitudine di lei a proficuo lavoro quale potenziale capacità di guadagno, argomentatamente riscontrata in termini di limitata effettività nonché ancora apprezzato e comparato con le prime le sostanze del P. . Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna della soccombente O. al pagamento in favore del P. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna l'O. al pagamento in favore del P. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.000,00 per compenso ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori come per legge. Ai sensi dell'articolo 52, comma 5, del D.Lgs. numero 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.