Maresciallo rivolge a due soldatesse un appellativo offensivo e le invita a un club per scambisti: reato comune o militare?

La punibilità del reato di ingiuria ad altro militare, di cui all’art. 226 c.p.m.p, può essere esclusa in quanto venga rivolta da un militare appartenente alle forze armate al di fuori dell’attività di servizio attivo e non sia obiettivamente correlata all’area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina militare.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 45372, depositata l’11 novembre 2013. Il caso. La Corte d’Appello militare aveva confermato la condanna inflitta a un maresciallo capo dell’esercito per il reato di cui all’art. 226 c.p.m.p. ingiuria . L’imputato, quale ufficiale di picchetto, in servizio, aveva offeso il prestigio e l’onore di due militari donne con il grado di caporale, mostrando loro la tessera di un club privato dove si facevano scambi di coppia e invitandole ad accompagnarlo. Inoltre, il maresciallo aveva aggiunto che esse erano idonee a fare quello che veniva usualmente praticato all’interno del club, essendo entrambe delle porche . Contro tale sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione. A suo dire, i fatti a lui contestati avrebbero al più integrato la figura del reato comune di ingiuria di cui all’art. 594 c.p. e non quello di ingiuria militare, atteso che egli non aveva agito nella veste di militare e aveva ingiuriato le caporali mentre si erano trovate al di fuori del loro servizio. Per la Suprema Corte la censura è infondata. Gli Ermellini hanno avallato la motivazione addotta sul punto dalla sentenza impugnata per ritenere sussistente nella specie il reato di cui all’art. 226 c.p.m.p., avendo essa fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità. Fatti pienamente riconducibili a un contesto militare. Infatti, secondo Pazza Cavour, la sentenza impugnata ha rilevato, con valutazione incensurabile in sede di legittimità, che, nel caso in esame, le persone offese stessero effettivamente svolgendo un servizio militare attivo - essendo state impegnate in un servizio di guardia alla caserma del reggimento di appartenenza e avendo esse ricevuto dal ricorrente l’apprezzamento offensivo, indicato in imputazione, mentre svolgeva attività di comandante del picchetto -. Il Collegio ha dichiarato che l’imputato non poteva ignorare che le parti offese erano appunto impegnate nell’esercizio di un servizio d’istituto. Pertanto, è da escludere che le espressioni gravemente denigratorie pronunciate dal ricorrente possano essere qualificate quali ingiurie ai sensi dell’art. 594 c.p. , avendo i giudici di appello correttamente rilevato che i fatti erano da ritenere lesivi dell’interesse perseguito dalla norma [art. 226 c.p.m.p.], da individuare nell’esigenza di preservare e tutelare la disciplina militare nelle sue vari e esplicazioni . Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 luglio - 11 novembre 2013, numero 45372 Presidente Siotto – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23 maggio 2012 la Corte Militare d'Appello ha confermato la pena di mesi 4 e giorni 15 di reclusione inflitta a T.S. , maresciallo capo dell'esercito italiano in servizio presso il 4 reggimento genio guastatori di Palermo, per il reato di cui agli artt. 226 c.p.m.p. ed 81 comma 1 cod. penumero duplice ingiuria in concorso formale commessa nei confronti dei caporali S.M. e G.G. , in tal modo riqualificato il reato originariamente ascrittogli di ingiuria ad inferiore continuata artt. 81 cpv. cod. penumero , 196 comma 2 c.p.m.p. . 2. I fatti di causa si sono verificati in , presso la caserma in cui aveva sede il 4 reggimento genio guastatori in un'epoca compresa fra l' omissis , allorché l'imputato, quale ufficiale di picchetto, in servizio di C.S.I., aveva offeso il prestigio e l'onore delle parti offese, entrambe militari col grado di caporale e comandate del medesimo servizio, avendo loro mostrato la tessera del club privato Morrigan , dove si facevano scambi di coppia ed avendole invitate ad accompagnarlo, affermando che erano idonee a fare quello che veniva usualmente praticato all'interno del club anzidetto, essendo entrambe delle porche . Gli elementi a carico dell'imputato sono consistito oltre che nelle deposizioni rese dalla due parti offese, dal verbale di sequestro nei confronti dell'imputato della tessere del club prive Morrigan numero , intestato all'imputato. 3. Avverso detta sentenza della Corte militare d'appello propone personalmente ricorso per cassazione T.S. , deducendo 1 -inosservanza della legge penale, nonché difetto di motivazione circa la sussistenza della sua penale responsabilità in ordine al reato ascrittogli, essendo stati disattesi i principi di diritto in materia di valutazione delle prove, con riferimento all'individuazione del momento di commissione del reato da parte sua e per essere stati erroneamente ritenuti credibili le testi S. e G. invero lo stralcio del ruolino, concernenti le variazioni di servizio delle pp.oo. e le sue assenze dal servizio, aveva reso inattendibili le dichiarazioni rese dalla persone offese, essendo stato desumibile dall'esame di detto documento che nel periodo di tempo indicato nel capo d'imputazione le stesse non avevano mai prestato servizio di guardia in un periodo in cui egli aveva svolto servizio di ufficiale di picchetto non era stato poi tenuto conto delle contraddizioni emerse fra le dichiarazioni rese dalle due parti offese anzidette 2 -violazione di legge e motivazione contraddittoria ed illogica, in quanto i fatti a lui contestati avrebbero al più integrato la figura del reato comune di ingiuria, di cui all'art. 594 cod. penumero e non quello di ingiuria militare, atteso che egli non aveva agito nella veste di militare ed aveva ingiuriato le caporali S. e G. mentre si erano trovate al di fuori del loro servizio d'altra parte era ravvisabile motivazione contraddittoria ed illogica, in quanto la sentenza impugnata aveva dapprima indicato il reato come commesso in epoca anteriore al omissis poi aveva in modo del tutto generico ritenuto che l'accaduto ben potesse essersi verificato nel mesi di agosto o settembre del 2009 3 -mancata assunzione di prova decisiva e motivazione manifestamente illogica, per avere erroneamente la Corte territoriale respinta, siccome irrilevante, la sua richiesta, intesa ad acquisire la documentazione idonea a dimostrare la tardività della richiesta di procedimento avanzata dal Comandante del corpo cui egli apparteneva essendo stato quest'ultimo a conoscenza dei fatti a lui ascrittigli in epoca anteriore a quella indicata in sentenza 4 -erronea applicazione di legge e motivazione carente sia nella parte in cui gli erano state negate le attenuanti generiche, sia nella parte in cui la pena gli era stata inflitta al limite del massimo edittale, facendo un mero e generico riferimento all'art. 133 cod. penumero . Considerato in diritto 1. È infondato il primo motivo di ricorso proposto da T.S. . 2. Con esso il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere essa ritenuto credibili le accuse a lui mosse dalle parti offese, con particolare riferimento al momento in cui egli le avrebbe ingiuriate. Va al contrario rilevato che la sentenza impugnata ha adeguatamente motivato circa la sussistenza a carico del ricorrente di validi elementi di prova in ordine al reato ascrittogli, avendo ritenuto attendibili e non mosse da intenti denigratori le dichiarazioni rese dalle due parti offese, tenuto conto della loro sostanziale conformità ed essendo state esse riscontrate dal sequestro a carico del ricorrente di una tessera del club prive Morrigan a lui intestata, cui le parti offese avevano fatto riferimento, come luogo nel quale le stesse avrebbero potuto recarsi assieme a lui per effettuare scambi di coppie, essendo entrambe delle porche . La sentenza impugnata ha poi rilevato come l'episodio incriminato non poteva essere smentito dall'esame dello stralcio dei ruolini di servizio dell'imputato e delle due parti offese, atteso che, dall'esame degli stessi, poteva evincersi che l'episodio ben avrebbe potuto avere avuto luogo in un giorno qualsiasi dei mesi di omissis , essendosi in tali mesi verificati pochissime assenze dal servizio dei tre ed essendo stato correttamente ritenuto superfluo appurare in quale giorno preciso i fatti si fossero verificati. 3. È infondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente sostiene che erroneamente il reato ascrittogli era stato qualificato come ingiuria posta in essere da militare nei confronti di altro militare, avendo dovuto lo stesso essere qualificato come ingiuria semplice prevista dall'art. 594 cod. penumero . 4. Secondo la giurisprudenza di legittimità la punibilità del reato di minaccia od ingiuria ad altro militare, fra i quali quello di cui all'art. 226 c.p.m.p., intanto può essere esclusa in quanto venga rivolta da un militare appartenente alle forze armate al di fuori dell'attività di servizio attivo e non sia obiettivamente correlata all'area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina militare cfr., in termini, Cass. 1, numero 41703 dell'8/10/2002, P.G. in proc. contro Murino, Rv. 223064 . 5. La motivazione addotta sul punto dalla sentenza impugnata per ritenere sussistenti nella specie il reato di cui all'art. 226 c.p.m.p. è pienamente condivisibile, avendo essa fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata. La sentenza impugnata infatti ha da un lato rilevato, con valutazione incensurabile nella presente sede di legittimità siccome riferita al merito, che, nella specie, le persone offese stessero effettivamente svolgendo un servizio militare attivo, essendo state esse impegnate in un servizio di guardia alla caserma del reggimento di appartenenza ed avendo esse ricevuto dal ricorrente l'apprezzamento offensivo indicato in imputazione mentre svolgeva attività di comandante del picchetto, si che egli non poteva ignorare che le parti offese erano appunto impegnate nell'esercizio di un servizio d'istituto. È pertanto da escludere che, nella specie, le espressioni gravemente denigratorie pronunciate dal ricorrente nei confronti delle parti offese possano essere qualificate quali ingiurie ai sensi dell'art. 594 cod. penumero , avendo la sentenza impugnata correttamente rilevato come il comportamento del ricorrente si è estrinsecato nel corso dell'espletamento, da parte delle pp.oo., di un'attività di servizio, si che i fatti erano pienamente riconducibili ad un contesto militare e, come tali, erano da ritenere lesivi dell'interesse perseguito dalla norma, da individuare nell'esigenza di preservare e tutelare la disciplina militare nelle sue varie esplicazioni. 6. È altresì infondato il terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta che la Corte d'appello abbia omesso di riaprire l'istruttoria dibattimentale per acquisire documentazione, dalla quale avrebbe potuto evincersi che il reato ascrittogli non era perseguibile per mancanza di tempestiva richiesta formulata dal Comandante del corpo cui il ricorrente apparteneva. 7. È noto che, nel giudizio di appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è un istituto di carattere eccezionale, atteso che, nel secondo grado, è abbandonato il principio dell'oralità, avendo il legislatore presunto che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi in primo grado. In tale prospettiva l'art. 603 comma primo cod. proc. penumero non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice di appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche in presenza di esplicita richiesta formulata dalla parte di assunzione di nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Dal che consegue che la motivazione del diniego dell'invocata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale può essere ricavata addirittura in via implicita dal complessivo tessuto argomentativo della sentenza impugnata, essendo sufficiente cioè che il giudice di appello abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto che il materiale probatorio a sua disposizione fosse sufficiente e tale da consentirgli di pervenire ad una meditata ed esaustiva decisione allo stato degli atti cfr., in termini, Cass. 4, 1.2.2008 numero 5122 Cass. 3, 21.5.2008 numero 20267 . Nel caso in esame appare incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, la motivazione addotta dalla Corte militare di appello per ritenere esaustivi gli elementi già acquisiti agli atti per ritenere tempestiva, ai sensi dell'art. 260 c.p.m.p., la richiesta di procedere nei confronti del ricorrente da parte del suo Comandante di corpo, avendo rilevato la tempestività di detta richiesta, datata 1 aprile 2010, con la quale quest'ultimo, avendo ricevuto comunicazione da parte della Procura militare di Napoli in data 15 marzo 2010 che si procedeva a carico del ricorrente per il reato di ingiuria ad inferiore continuata, aveva chiesto che, contro il medesimo, si procedesse sia per detto reato, sia per tutti quelli ravvisabili nei fatti. 8. È altresì infondato il quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta carenza di motivazione circa la quantificazione della pena inflittagli. 9. Va al contrario rilevato che la sentenza impugnata ha mostrato di avere attentamente valutato, conformemente a quanto dispone l'art. 133 cod. penumero , tutte le particolarità del caso sottoposto al suo esame ai fini della determinazione della pena nei confronti del ricorrente, avendo tenuto conto dell'obiettiva rilevanza dell'addebito contestatogli e di come il ricorrente avesse platealmente contravvenuto agli specifici doveri su di lui incombenti, in considerazione del suo status di militare. È da ritenere quindi che la Corte militare d'appello abbia adeguatamente adempiuto all'obbligo su di essa incombente di motivare in concreto la determinazione della pena, avendo essa fatto concreta applicazione di tutti gli elementi ritenuti determinanti o rilevanti allo scopo, nell'ambito dei criteri offerti dall'art. 133 c.p. cfr., in termini, Cass. 6, 2.7.98 numero 9120 . 10. È parimenti condivisibile la motivazione addotta dalla sentenza impugnata per negare al ricorrente le attenuanti generiche. Il riconoscimento del beneficio in parola costituisce una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo, deve sì essere motivato, ma solo nei limiti necessari ad esplicitare in modo adeguato il pensiero del giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità dell'imputato pertanto, per giustificarne il diniego, è sufficiente che il giudice abbia fatto riferimento alla congruità della pena in concreto inflitta al ricorrente, siccome adeguata alla gravità effettiva del reato ed alla personalità dell'imputato, avendo altresì condivisibilmente rilevato come lo stato di incensuratezza non comporta di per se solo la concessione di dette attenuanti generiche cfr., in termini, Cass. Sez. 1 numero 46954 del 4/11/2004, Palmisani, Rv. 230591 . 11. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.