E' legittimo, quindi, il provvedimento del Comune che impone alla Cooperativa edilizia di demolire le opere abusive relative ad un parcheggio pubblico al fine di adeguare lo stesso a quanto risultante dalla concessione edilizia.
E’ quanto emerge dalla sentenza numero 5088 del Consiglio di Stato, depositata il 21 ottobre 2013. Parcheggio a raso o marciapiede? Questo, anche se, alla fin fine, chi ci rimette è l'aiuola che va demolita per lasciare il posto a dei parcheggi, in contrasto con le disposizioni del regolamento viario del Comune. Ed è del tutto irrilevante che il Comune si sia mosso su segnalazione di un supermercato che dei parcheggi ha lamentato la necessità, accertando che la Cooperativa aveva realizzato, in difformità dagli obblighi assunti, in luogo dei previsti parcheggi a raso di tipo «a spina» «un marciapiede pedonale ad uso pubblico ed un parcheggio a raso in linea» con aiuole «di dimensioni e numeri di posti auto inferiori a quelli contenuti nell’elaborato allegato alla convenzione». La giurisprudenza del Consiglio di Stato, cui la Sezione anche in questo caso ha aderito, è costante nel ritenere che «l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione. Non può ammettersi, in sostanza, alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato, né l’interessato può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi» Cons. Stato, sez. VI, numero 3010/2013 numero 2781/2011 . In particolare, è stato anche affermato che nel caso di abusi edilizi vi è «un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, che confida nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza». In questi caso il «fattore tempo non agisce qui in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse» Cons. Stato, sez. VI, numero 3010/2013 sez. IV, numero 2592/2012 . Il caso. Nella fattispecie in esame, l’amministrazione ha descritto le opere realizzate indicando le ragioni della loro abusività. La motivazione posta a base del provvedimento sanzionatorio è stata, pertanto, esente dai vizi denunciati, non dovendo essere esternate le ragioni di pubblico interesse che giustificherebbero l’applicazione della sanzione della realizzazione del numero di parcheggi prescritti. Né si dovrebbe pervenire ad un risultato diverso in ragione della particolare «provenienza» della denunzia dell’illecito, in quanto rientra negli ordinari meccanismi procedimentali e processuali di identificazione delle posizioni legittimanti che il terzo denunciante sia portatore di un proprio interesse senza che ciò imponga l’adozione di motivazioni più pregnanti da parte dell’amministrazione. La Sezione ha anche ricordato che l’articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica, 6 giugno 2001, numero 380 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia prevede che, in caso di opere eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire, l’ordine di demolizione non può essere adottato nel caso in cui il ripristino dello stato dei luoghi non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità. La norma non contempla, quale requisito di legittimità del provvedimento, anche l’incidenza di sopravvenienze di fatto o di diritto sulla esecuzione concreta dell’ordine di demolizione. Qualora, infatti, l’amministrazione accerti in concreto che non sia possibile detta esecuzione, per tali sopravvenienze, adotterà i provvedimenti consequenziali che tengano conto della situazione attuale. Ed è proprio quello che è accaduto nel caso posto all'attenzione del Collegio laddove, preso atto della impossibilità del ripristino ed adeguamento dello stato dei luoghi al progetto, ha «proposto» di «sanare la situazione con l’eliminazione dell’aiuola a verde di arredo stradale».
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 12 luglio – 21 ottobre 2013, numero 5088 Presidente Baccarini – EstensoreLopilato Fatto 1.– Il Comune di Roma, con deliberazione del 25 settembre 1984, numero 7345, ha assegnato alla Co.mi. soc. coop. Ed. a r.l. d’ora innanzi solo Cooperativa determinate aree, comprese nel piano di zona numero 7, per una superficie complessiva di metri quadrati 3938 ai fini della realizzazione di costruzioni di edilizia economica e popolare. Con atto d’obbligo del 28 maggio 1990 la Cooperativa, al fine di ottenere il rilascio della concessione edilizia, si è impegnata a stipulare con il Comune di Roma una convenzione per la costituzione di un diritto di superficie su tali aree. Con tale atto la Cooperativa si è impegnata, altresì, a destinare a parcheggio pubblico una superficie pari a metri quadrati 401. La convenzione, che ha recepito quanto risultante dall’atto d’obbligo, è stata stipulata in data 16 novembre 1990. Il Comune di Roma ha rilasciato alla Cooperativa, in data 28 luglio 1999, la concessione edilizia, subordinata al rispetto della suddetta prescrizione relativa al parcheggio. L’amministrazione comunale ha accertato che la Cooperativa aveva realizzato, in difformità dagli obblighi assunti, in luogo dei previsti parcheggi a raso di tipo “a spina” «un marciapiede pedonale ad uso pubblico ed un parcheggio a raso in linea» con aiuole «di dimensioni e numeri di posti auto inferiori a quelli contenuti nell’elaborato allegato alla convenzione». Tale accertamento è stato disposto su segnalazione della Edilcervialto s.r.l., che, in qualità di proprietaria di locali commerciali posti nelle vicinanze, aveva necessità dei predetti parcheggi. Con atto del 7 novembre 2011, numero 104018, l’amministrazione ha diffidato la Cooperativa a ripristinare lo stato dei luoghi in conformità agli obblighi assunti. Con atto del 2 maggio 2012, numero 954, l’amministrazione ha ordinato la demolizione delle opere abusive, con obbligo di rendere il parcheggio conforme a quanto stabilito nella convenzione urbanistica e nella successiva concessione edilizia. 1.1.– La Cooperativa ha impugnato tale ultimo atto innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, deducendo le seguenti illegittimità, riportate in sintesi i mancata motivazione dell’ordine di demolizione, per omessa indicazione, in considerazione dell’epoca remota di realizzazione delle opere medesime 1998 , delle ragioni di pubblico interesse che lo giustificano ii impossibilità di procedere tecnicamente alla realizzazione dei parcheggi secondo le originarie previsioni progettuali, stante il contrasto con le disposizioni contenute nel regolamento viario del Comune di Roma iii violazione dell’articolo 11 delle preleggi al codice civile, atteso che le disposizioni richiamate nella determinazione impugnata risulterebbero successive rispetto alla data di ultimazione del lavori iv eccesso di potere per sviamento, atteso che l’intervento dell’amministrazione comunale sarebbe stato determinato da un esposto della società controinteressata per un interesse di natura commerciale non coincidente con l’interesse pubblico. 1.2.– Si sono costituite nel giudizio di primo grado sia Roma Capitale sia la società Edilcervialto. Quest’ultima, in particolare, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione della diffida del 7 novembre 2011, numero 104018. 1.2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 25 febbraio 2013, numero 2016, prescindendo dall’esame dell’eccezione di inammissibilità sopra indicata, ha rigettato il ricorso, rilevando che, essendo stata accertata la realizzazione delle opere in difformità dalla concessione edilizia costituita, la motivazione dell’ordine di demolizione può basarsi esclusivamente sulla descrizione delle opere senza necessità di indicare le ragioni di interesse pubblico alla demolizione, che devono ritenersi in re ipsa. Nella sentenza si afferma, inoltre, che l’amministrazione comunale ha provato di avere eseguito apposito accertamento tecnico, attestante «l’eseguibilità del ripristino così come riportato nella concessione edilizia numero 949/C/1990, come riportato nelle relazioni tecniche prot. nnumero 77030/11 e 35933/2012». 2.– La Cooperativa ha proposto appello, prospettando le censure indicate nella parte motiva. 2.1.– Si è costituita in giudizio la società Edilcerviato, riproponendo, in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per la mancanza impugnazione della diffida. Nel merito si è chiesto il rigetto dell’appello. 2.2.– Si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo che l’appello venga rigettato. 3.– La causa, discussa nella camera di consiglio del 12 luglio 2013, è stata, sentite le parti, decisa con sentenza in forma semplificata. Diritto 1.– La questione posta all’esame della Sezione attiene alla dedotta illegittimità del provvedimento, adottato da Roma Capitale, con cui si è intimato alla Cooperativa di demolire opere abusive relative ad un parcheggio pubblico al fine di adeguare lo stesso a quanto risultante dalla concessione edilizia. 2.– Con un primo motivo, si assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non necessario che l’amministrazione indichi le ragioni di interesse pubblico poste alla base della sanzione demolitoria. Ciò in quanto, nella specie, sarebbe passato un lungo periodo di tempo dalla data di realizzazione dell’abuso. Inoltre, una motivazione più specifica sarebbe necessaria in quanto i il provvedimento è stato adottato su segnalazione di una società controinteressata, con il dichiarato intento di ottenere vantaggi commerciali ii lo stesso Tribunale aveva adottato una ordinanza istruttoria per chiedere a Roma Capitale «di depositare in giudizio una documentata relazione sulla fattispecie oggetto di causa che tenga conto delle circostanze dedotte nel ricorso». Il motivo non è fondato. La giurisprudenza di questo Consiglio, cui la Sezione aderisce, è costante nel ritenere che «l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione. Non può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato, né l’interessato può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi» Cons. Stato, sez. VI, 31 maggio 2013, numero 3010 11 maggio 2011, numero 2781 . In particolare, si è affermato che nel caso di abusi edilizi vi è «un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, che confida nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza». In questi caso il «fattore tempo non agisce qui in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse» Cons. Stato, sez. VI, numero 3010 del 2013 sez. IV, 4 maggio 2012, numero 2592 . Nella fattispecie in esame, l’amministrazione ha descritto le opere realizzate indicando le ragioni della loro abusività. La motivazione posta a base del provvedimento sanzionatorio è, pertanto, esente dai vizi denunciati, non dovendo essere esternate le ragioni di pubblico interesse che giustificherebbero l’applicazione della sanzione in esame. Né si dovrebbe pervenire ad un risultato diverso in ragione della particolare “provenienza” della denunzia dell’illecito, in quanto rientra negli ordinari meccanismi procedimentali e processuali di identificazione delle posizioni legittimanti che il terzo denunciante sia portatore di un proprio interesse senza che ciò imponga l’adozione di motivazioni più pregnanti da parte dell’amministrazione. La circostanza, poi, che il Tar abbia disposto un’istruttoria, in ragione del suo generico contenuto, non ha alcuna rilevanza ai fini della presente decisione. 3.– Con un terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’amministrazione comunale ha provato di avere eseguito apposito accertamento tecnico, attestante «l’eseguibilità del ripristino così come riportato nella concessione edilizia numero 949/C/1990, come riportato nelle relazioni tecniche prot. nnumero 77030/11 e 35933/2012». Ciò in quanto il documento, contenente l’accertamento tecnico, non sarebbe altro che l’atto impugnato, il quale non ha svolto alcuna verifica in ordine alla fattibilità tecnica dell’intervento richiesto. Nella nota del 6 dicembre 2012, allegato alla memoria difensiva di Roma Capitale, si è chiaramente affermato, sottolinea l’appellante, che è stata effettuata esclusivamente una valutazione in ordine alla conformità delle opere realizzate rispetto a quanto autorizzato. Infine, si deduce che l’amministrazione ha depositato nel giudizio di primo grado, in data 7 febbraio 2013, una nota del dipartimento programmazione e attuazione urbanistica del 5 febbraio 2012, numero 12518, nella quale si evidenzia «l’impossibilità del ripristino ed adeguamento dello stato dei luoghi al progetto a causa dell’attuale mutamento della viabilità esistente di via Monte Massico angolo via Monte Cervialto, rispetto alle condizioni originarie progettuali». Il motivo non è fondato. L’articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica, 6 giugno 2001, numero 380 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia prevede che, in caso di opere eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire, l’ordine di demolizione non può essere adottato nel caso in cui il ripristino dello stato dei luoghi non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità. La norma non contempla, quale requisito di legittimità del provvedimento, anche l’incidenza di sopravvenienze di fatto o di diritto sulla esecuzione concreta dell’ordine di demolizione. Qualora, infatti, l’amministrazione accerti in concreto che non sia possibile detta esecuzione, per tali sopravvenienze, adotterà i provvedimenti consequenziali che tengano conto della situazione attuale. Orbene, nella specie, ciò è quello che ha fatto Roma Capitale. Con la richiamata nota del 5 febbraio 2013, preso atto della impossibilità del ripristino ed adeguamento dello stato dei luoghi al progetto, ha “proposto” di «sanare la situazione con l’eliminazione dell’aiuola a verde di arredo stradale». In definitiva, dunque, l’evocato contrasto del contenuto dell’ordine di demolizione con le disposizioni del regolamento viario del Comune di Roma non è sufficiente, per le ragioni indicate, ai fini di un giudizio di illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado. 4.– L’appellante è condannato al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, che si determinano in euro 2.00,00, oltre accessori, da versare a ciascuna delle parti amministrazione e società intimate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando a rigetta l’appello proposto con il ricorso, numero 3998 del 2013, indicato in epigrafe b condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, che si determino in euro 2.00,00, oltre accessori, da versare a ciascuna delle parti Roma Capitale e Edilcervialto s.r.l. intimate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.