Quando, in caso di contratto a prestazioni corrispettive, una delle parti invochi l’inadempimento dell’altra come giustificazione del proprio, il giudice deve operare una valutazione comparativa di entrambi in riferimento all’alterazione dell’equilibrio sinallagmatico.
Questo il principio enunciato dalla Cassazione, sez. Seconda civile, con la sentenza numero 17478/12. Il caso chi è inadempiente? In seguito alla stipula di un preliminare avente ad oggetto la compravendita di un immobile in costruzione - con il quale si stabiliva la corresponsione del prezzo con queste modalità versamento di una caparra, seguito da una somma più consistente, perfezionato con il prezzo rimanente al completamento delle rifiniture e al rogito – la promissaria acquirente contestava la presenza di vizi nell’opera e non stipulava il rogito. Il promissario venditore otteneva dal Tribunale la dichiarazione della risoluzione del preliminare, in forza della clausola risolutiva espressa, per inadempimento imputabile all’acquirente, che veniva condannata la rilascio dell’immobile. Il giudizio d’appello aveva esito opposto la risoluzione del contratto veniva dichiarata per colpa del venditore, il quale avrebbe dovuto eliminare i vizi in effetti presenti prima di poter esigere il pagamento del prezzo residuo. Eccezione di inadempimentoIl ricorso per cassazione proposto dal venditore ha per oggetto la violazione degli articolo 1455 e 1460 c.c., da una parte, e 1453 e 1460 c.c. dall’altra. Ciò che rileva in sostanza, sono l’importanza dell’inadempimento in relazione alla sua capacità di turbare l’equilibrio contrattuale e, al medesimo scopo, la valutazione comparativa delle parti inadempienti. La Suprema Corte, che accoglie il ricorso, evidenzia come la Corte territoriale abbia errato nel confondere i presupposti che avrebbero potuto giustificare il rifiuto dell’adempimento con i presupposti per la risoluzione del contratto. e valutazione comparativa. Alla luce di tale premessa, prosegue il Collegio, occorre tenere in considerazione l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità per cui, quando in caso di contratti a prestazioni corrispettive una delle parti adduca l’inadempimento dell’altra come giustificazione per il proprio, «il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche di quello logico essendo necessario se vi sia relazione causale ed adeguatezza, nel senso di proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto». L’applicazione di tale principio di diritto al caso di specie porta a concludere che la sentenza impugnata ha omesso di dare conto in motivazione sia della proporzionalità tra il valore del contratto e l’importo dell’inadempimento contestato al venditore 315 milioni di lire contro circa 3.000 € , sia di valutare in maniera comparativa il comportamento complessivo delle parti. Accertata la lacunosa valutazione dell’importanza dell’inadempimento posto in essere dalla parti, con riferimento all’alterazione dell’equilibrio sinallagmatico, conseguenza è la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, per un nuovo esame dell’istituto della risoluzione per inadempimento applicato al caso concreto.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 giugno – 12 ottobre 2012, numero 17478 Presidente Oddo – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo La questione posta dal ricorso concerne la sussistenza di grave inadempimento da parte del ricorrente P.S. , promittente venditore di un immobile in corsie di costruzione, sito in OMISSIS . Le parti ne avevano pattuito nel 1998 la vendita, verso corrispettivo di 315 milioni di lire, di cui 35 versati quale caparra, 100 da versare al 15 luglio 1998 e il residuo al completamento delle rifiniture e infine al rogito, in parte anche mediante accollo di mutuo. Nel settembre/ottobre 1998 la promissaria acquirente C.L. , già immessa nel possesso dal bene, contestava la presenza di vizi dell'opera e non si presentava alla stipula del rogito. Il tribunale di Orvieto, adito dal P. , in forza della clausola risolutiva espressa dichiarava risolto il preliminare per inadempimento della promissaria acquirente C. , condannandola al rilascio dell'appartamento. La Corte di appello di Perugia il 2 marzo 2006 capovolgeva tale esito e dichiarava risolto il contratto per colpa del promittente venditore. A tal fine rilevava che erano stati accertati dal c.t.u vizi riparabili con spesa di circa 3.400 Euro che in relazione all'interesse della parte acquirente a pretendere l'eliminazione dei vizi prima di pagare il residuo prezzo non era configurabile alcun inadempimento della C. , abilitata a modificare in appello la domanda di adempimento in domanda di risoluzione. P.S. ha proposto ricorso per cassazione, notificato l'8 giugno 2006, articolando due motivi di ricorso. La C. ha resistito con controricorso a ha depositato memoria di costituzione di nuovi difensori, muniti di procura notarile. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso il promittente venditore denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 1455 e 1460 c.c. e vizi di motivazione. Si duole della mancata considerazione della documentazione dalla quale emergeva che in un primo tempo, in presenza dei medesimi vizi poi accertati dal consulente e rivelatisi semplici dettagli di facile risoluzione , la C. si era dichiarata interessata alla stipula. Sottolinea che il presunto inadempimento, relativo ai ritocchi per 3.402 Euro, non era idoneo a turbare l'equilibrio contrattuale e che la Corte di appello non ha considerato in alcun modo le iniziative prese dalla promissaria acquirente per concludere il contratto. Il motivo lamenta inoltre che l'articolo 1460 c.c. sarebbe stato erroneamente applicato, per non avere la Corte di appello tenuto conto degli insegnamenti giurisprudenziali che esigono la verifica di corrispettività e proporzionalità tra prestazioni inadempiute e della incidenza di essa sulla funzione economico sociale del contratto. Dopo diffuso svolgimento, conclude con quesito di diritto che mira a far dichiarare alla Corte la rilevanza della valutazione di proporzionalità dei. rispettivi inadempimenti. Il secondo motivo, da esaminare congiuntamente per evidente intima connessione, deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 1453 e 1460 c.c. e vizi di motivazione ritorna sulla valenza obbiettiva” della nota 18.12.1998, già oggetto di esposizione in precedenza, inviata dalla resistente giustificare l'assenza in occasione della prima convocazione presso lo studio notarile. La censura prende corpo con riguardo alla mancata valutazione comparativa delle parti inadempienti . Le censure sono fondate. La Corte di appello nella prima parte della sentenza ha accolto l'appello della C. in ordine alla non operatività della clausola risolutiva espressa invocata dal P. . Ha rilevato che era stato lo stesso ricorrente di non volersene avvalere, perché, nonostante il preteso inadempimento C. costituto dal mancato pagamento della rata, aveva ugualmente fissato la stipula con invito a comparire presso il notaio. Ha poi aggiunto che l'eventuale inadempimento costituto dalla mancata comparizione della resistente presso il notaio era giustificato dall'eccezione di inadempimento, fondata sulla sussistenza dei vizi di costruzione che comportavano la spesa di oltre 6 milioni di lire. Una volta negata la configurabilità di un inadempimento della C. , la Corte ha desunto che erroneamente era stato dichiarato il diritto del P. a ritenere la caparra e a ottenere il rilascio dell'immobile e il risarcimento del danno. Ha infine esaminato la domanda di risoluzione introdotta in corso di causa dalla C. pag 13, in fine , evidentemente cosi interpretando la richiesta di dichiarare legittimo il recesso che risultava formulata nelle conclusioni dell'atto di appello. Dopo aver ampiamente dedotto sulla ammissibilità della modifica della domanda, questione che non è qui in contestazione, la Corte di appello ha, senza altra motivazione, concluso per la fondatezza di detta domanda. È sufficiente questa ricostruzione della sentenza impugnata per comprendere gli errori in cui e incorsa la Corte perugina, che ha equiparata i presupposti che potavano giustificare il rifiuto di adempimento e la pretesa di esatto adempimento - posti a fondamente1 del primo motivo di appello - e i presupposti per la risoluzione del contratto. Un costante insegnamento giurisprudenziale, opportunamente invocato in ricorso, insegna che nei contratti con prestazioni corrispettive, qualora una delle parti adduca, a giustificazione del proprio rifiuto di adempiere, l’inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell'altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell'elemento cronologico, ma, anche di quello logico, essendo necessario stabilire se vi sia relazione causale ed adeguatezza, nel senso della proporzionalità rispetto alla funzione economico sociale del contratto, tra l'inadempimento dell'uno e il precedente inadempimento dell'altro. Peraltro, il rifiuto di adempiere, come reazione al primo inadempimento, oltre a non contrastale con i principi generali della correttezza e della lealtà, deve risultare ragionevole e logico in senso oggettivo, trovando concreta giustificazione nella gravità della prestazione ineseguita, alla quale si correla la prestazione rifiutata Cass. 6564/04 . Si è rimarcato Cass. 24003/04 che ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l'indagine circa la gravità della inadempienza deve tener conto del valore complessivo del corrispettivo pattuito in contratto, determinabile mediante il criterio di proporzionalità che la parte dell’obbligazione non adempiuta ha rispetto ad esso, e non rispetto alla sola caparra. Nella specie, relativa a compravendita immobiliare, la S.C ha cassato la sentenza di merito che aveva considerato di non scarsa importanza il mancato pagamento di un terzo della caparra corrispondente all'importo di cinque milioni di lire . Si è aggiunto Cass. 11430/06, ma anche v. 8425/06 che il giudice, che venga proposta dalla parte l'eccezione inadimplenti non est adimplendum , deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronta è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza., in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'articolo 1455 cod. civ., deve ritenersi che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell'articolo 1460, secondo comma, cod. civ Pertanto è necessaria l'adozione di un criterio che tenga conto, sia dell'elemento oggettivo della mancata prestazione nel quadro dell'economia generale del contratto, sia degli aspetti soggettivi rilevabili, tramite un'indagine unitaria sul comportamento del debitore e sull'interesse del creditore all'esatto e tempestivo adempimento Cass 9314/07 . La sentenza impugnata ha trascurato tutti i principi portati da queste massime. Ha omesso di formulare apprezzamenti sulla proporzionalità tra ingente valore del contratto e importo dell'inadempimento contestato al venditore non ha riflettuto sull'equilibrio sinallagmatico, condizionato dalla circostanza, che la promissaria acquirente era già da tempo nel possesso dell'appartamento non ha indagato sull'importanza dell'inadempimento, cioè sulla marginalità o meno dei difetti di costruzione ai fini del godimento del bene non si è chiesta, conseguentemente, se l'esiguità delle somme stimate necessario dal consulente per le riparazione potesse sostanziare un legittima reazione all'inadempimento o costituisse un espediente, adottato in mala fede, per sottrarsi alla stipula del definitivo e al versamento del residuo prezzo. Infine, non ha considerato che il giudizio di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relaziona ai rispettivi interessi ed all'oggettiva entità degli inadempimenti tenuto conto non solo dell'elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto , può condurre il giudice, in difetto di prova sulla causa effettiva e determinante della risoluzione, a non dichiarare risolto il vincolo contrattuale per inadempienze equivalenti delle parti, ma a limitarsi al rigetto di entrambe le domande per l'insussistenza dei fatti giustificativi posti a sostegno di esse Cass. 13840/10 . Da questi rilievi consegue lai sussistenza del duplice vizio denunciato non solo vi è omessa motivazione su tutti i profili rilevanti della controversia, ma è configurabile anche falsa applicazione di legge, perché risulta sussunta nell'istituto della risoluzione per inadempimento una ipotesi - per come sommariamente ricostruita dai giudici di merito - di inesatto inadempimento. Discende da quanto esposto l'accoglimento del ricorso, che comporta, stante la portata dei vizi, il riesame di tutto il gravame, non essendo possibile distinguere nettamente capi della decisione idonei a reggere a fronte delle censure accolte. La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra Corte di appello, designata in quella di Roma, per il riesame delle contrapposte domande di risoluzione del contratto a la liquidazione delle spese di questo giudizio. Va chiarito che la Corte dovrà attenersi ai principi di cui alle massime riportate. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, che provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.