Per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata una chiara e certa volontà comune delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nell’ordinanza numero 5453, depositata il 18 marzo 2015. Il fatto. La Corte d’appello di Lecce confermava la decisione di primo grado che aveva ritenuto risolto, per mutuo consenso, il rapporto lavorativo intercorso tra un lavoratore e la società datrice, per effetto di reiterati contratti di somministrazione di lavoro temporaneo. Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso il lavoratore. Il Collegio ha ritenuto il ricorso fondato. Secondo la giurisprudenza di legittimità, si può ricondurre alla fattispecie legale di cui all’articolo 1372, comma 1, c.c. il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione. Risoluzione del rapporto per mutuo consenso. In particolare, la giurisprudenza ha precisato che per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata una chiara e certa volontà comune delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo in maniera definitiva. Dunque, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso. Spetta al datore di lavoro che eccepisce tale risoluzione l’onere di provare le circostanze in base alle quali ricavare la volontà delle parti di porre fine definitivamente al rapporto di lavoro. Necessaria una chiara e certa volontà delle parti. È, quindi, necessario che il decorso del tempo sia accompagnato da circostanze ulteriori le quali, incompatibili con la prosecuzione del rapporto, possano essere interpretate nel senso di far emergere una chiara e certa volontà delle parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine al rapporto lavorativo. Alla luce di queste considerazioni, il Collegio ritiene che gli elementi valorizzati dal giudice d’appello non possono essere configurati come espressione del disinteresse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto. Così come non rileva il semplice reperimento di altra occupazione, che, rispondendo ad esigenze di sostentamento quotidiano, non è indice della volontà del lavoratore di rinunciare ai suoi diritti con il precedente datore. In conclusione, la S.C. ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte d’appello di Bari, che dovrà decidere anche per le spese del giudizio di legittimità.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 15 gennaio – 18 marzo 2015, numero 5453 Presidente Curzio – Relatore Pagetta Fatto e diritto La Corte di appello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto risolto, per mutuo consenso, il rapporto lavorativo intercorso, nel periodo decorrente dal 28.9.2002 all'11.6.2003, per effetto di reiterati contratti di somministrazione di lavoro temporaneo, tra A. R.L. e la STP Società Trasporti Pubblici s.p.a . La statuizione di conferma è stata fondata sulle seguenti circostanze, ritenute rivelatrici del disinteresse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto e della stessa impossibilità giuridica per i periodi di attività alle dipendenze di terzi per questi di offrire le proprie prestazioni lavorative alla società, ex datrice di lavoro il notevole lasso di tempo trascorso tra la cessazione di fatto del rapporto, avvenuta nell'anno 2003 e il tentativo di conciliazione effettuato nel novembre 2009 lo svolgimento di altra attività lavorativa alle dipendenze di terzi nei primi mesi dell'anno 2004 e, senza soluzione di continuità, nel periodo decorrente dall'anno 2004 all'anno 2008. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A. R.L. sulla base di quattro motivi,.successivamente illustrati con memoria La parte intimata ha depositato tempestivo controricorso . Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 1372 cod. civ., ha censurato la decisione per avere ritenuto risolto il rapporto di lavoro, valorizzando l' inerzia del lavoratore nell'attivarsi per far valere la illegittimità dei contratti con STP. Con il secondo motivo, denunziando insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ha censurato la decisione per avere valorizzato, come espressione di volontà risolutiva alcune circostanze di significato non univoco quali il decorso del tempo ed il reperimento di altra occupazione lavorativa. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 2967 cod. civ., ha censurato la decisione per avere ritenuto sufficiente a dimostrare la volontà risolutiva, la prova fornita dalla parte datoriale. Con il quarto motivo, deducendo violazione dell'articolo 112, 276 e 277 cod. proc. civ., ha censurato la decisione per avere affrontato in via preliminare la questione attinente al mutuo consenso, la quale da un punto di vista logico giuridico presupponeva l'avvenuto accoglimento della domanda principale intesa a far valere l' intento elusivo della 1. numero 196 del 1997, perseguito dalla STP attraverso la reiterazione del ricorso a contratti di somministrazione tale domanda, invece, non era stata esaminata . I primi tre motivi di ricorso, che per ragioni di connessione vengono esaminati congiuntamente, all'esito di una rimeditazione della difforme soluzione proposta nella Relazione ai sensi dell'articolo 381 bis cod. proc. civ., sono da ritenersi manifestamente fondati, conseguendone l'assorbimento del quarto motivo. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all'articolo 1372, primo comma, cod. civ. il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano oggettivo del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà psicologica dei contraenti, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico e ciò con particolare riferimento alla materia lavoristica ove operano, nell'anzidetta prospettiva, principi di settore che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione cfr., ad es., Cass. numero 15264/ 2007, numero 10526/2009 . Con specifico riferimento all'ipotesi di giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato cfr., Cass., ordinumero numero 16932/2011 numero 17150/2008 , che per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è quindi di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso cfr., da ultimo, Cass. numero 2305/2010, Cass. numero 5887/2011 mentre grava sul datore di lavoro che eccepisca tale risoluzione l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine a ogni rapporto di lavoro Cass. numero 2279/2010, numero 16303/2010, 15624/2007 . Tali principi, del tutto conformi al dettato di cui agli articolo 1372 e 1321 cod. civ., si ritiene di ribadire anche in questa sede, così confermandosi l'indirizzo ormai consolidato basato, in sostanza, sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all'uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo ovvero la mancanza, sia pure prolungata, di operatività del rapporto ancorché prolungata, di operatività del rapporto. E' quindi necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l'esercizio del diritto o dell'azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare una volontà chiara e certa delle parti di volere, d'accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo v, anche Cass. numero 15403 /2000 numero 4003 /1998. Si aggiunga che, come precisato nella più recente Cass. numero 5782/2012, quanto al decorso del tempo, si tratta di dato di per sè neutro, come sopra chiarito per un'ipotesi analoga a quella oggi in esame, vale a dire di decorso di circa sei anni fra cessazione del rapporto a termine ed esercizio dell'azione da parte del lavoratore v., da ultimo, Cass. numero 16287/2011 . In ordine, poi, alla percezione del TFR, questa S.C. ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio ne' l'accettazione del TFR nè la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione dei termine cfr., Cass., numero 15628/2001, in motivazione . Tanto premesso si rileva come, nel caso di specie, la Corte territoriale, nel ritenere consensualmente estinto il rapporto, ha preso in considerazione sia il dato temporale che ulteriori circostanze, quali la prestazione per lunghi periodi di attività di lavoro alle dipendenze di terzi. Gli elementi valorizzati dal giudice di appello ed in particolare il riferimento alla durafl dei secdndo rapporto di lavoro, in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, non possono essere configurati come espressione del disinteresse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto. Analogamente il reperimento di altra occupazione lavorativa avendo questa Corte chiarito che, ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso dopo la scadenza del termine illegittimamente apposto, non rileva il semplice reperimento di altra occupazione, che, rispondendo ad esigenze di sostentamento quotidiano, non indica la volontà del lavoratore di rinunciare ai propri diritti verso il precedente datore di lavoro. Cass. numero 21310 /2014 . Consegue l'accoglimento dei primi tre motivi , assorbito il quarto ed il rinvio, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bari. P.Q.M. La Corte accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bari.