Nuove forme di tutela per chi agisce in giudizio per molestie o molestie sessuali sul luogo di lavoro

La legge di Bilancio 2018 legge 27 dicembre 2017, n. 205 interviene sul d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 recante codice delle pari opportunità tra uomo e donna e, in particolare, sull’art. 26 rubricato Molestie e molestie sessuali”, prevedendo una forma di tutela a favore del lavoratore o della lavoratrice che agisce in giudizio per la dichiarazione della discriminazione per molestia.

Obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c In via preliminare è bene richiamare l’attenzione su ciò che il legislatore ha introdotto un comma 3- ter all’art. 26 secondo il quale i datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’art. 2087 c.c., ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza . La tutela del denunciante. Ciò posto il legislatore ha previsto una forma di tutela per chi agisce in giudizio in relazione una molestia o molestia sessuale sul luogo di lavoro. Ed infatti, in base al neo introdotto comma 3- bis la lavoratrice o il lavoratore che agisce in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale poste in essere in violazione dei divieti di cui al presente capo non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, determinati dalla denuncia stessa . Ecco allora che il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto denunciante è nullo, come nulli sono anche il mutamento di mansioni ai sensi dell’art. 2103 c.c., nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante. Il limite alla tutela. Per la legge, però, le tutele di cui al presente comma non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del denunciante per i reati di calunnia o diffamazione ovvero l’infondatezza della denuncia . La legge 30 novembre 2017, n. 179. Quanto così previsto deve essere confrontato con quanto recentemente previsto dalla legge 30 novembre 2017, n. 179 recante Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato c.d. whistleblowing . Ed infatti, quanto al settore privato – similmente a quello pubblico già in precedenza oggetto di un intervento normativo - il comma 2- quater dell’art. 2 prevede che il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell'art. 2103 c.c., nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. E' onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all'irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa . Orbene, quest’ultima previsione – unitamente alla giurisprudenza del lavoro sul tema della ritorsività del licenziamento o del trasferimento del lavoratore – dovrebbe far concludere che anche al datore di lavoro dovrebbe spettare laddove ci si muova nell’ambito del d.lgs. n. 198/2006 come oggi modificato la prova liberatoria che il provvedimento adottato non ha alcuna giustificazione o movente unico nella reazione all’azione in giudizio c.d. motivo determinante . Viceversa, sembra omogeneo – sebbene non perfettamente coincidente – la disciplina del limite all’operatività della forma di tutela di chi agisce nei confronti di molestie e molestie sessuali e quello del lavoratore pubblico che denuncia forme di illecito. Ed infatti, anche in quest’ultimo caso è previsto all’art. 1, comma 9 che Le tutele di cui al presente articolo non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave .