Licenziato il ferroviere che abbandona momentaneamente la postazione di guida

Vittoria definitiva per Trenitalia. Respinte tutte le obiezioni difensive proposte dal legale del lavoratore. Evidente, secondo i giudici, la gravità della condotta tenuta dal macchinista, che stava conducendo un Freccia Argento, con quattrocento passeggeri, che viaggiava a 250 chilometri orari.

Licenziamento in tronco per il conducente – macchinista, in gergo – del treno che abbandona momentaneamente la cabina di guida del convoglio per chiedere un quotidiano e un drink. Irrilevante il fatto che l’uomo si sia allontanato per pochi secondi e solo di pochi metri. Inutile anche il richiamo difensivo ai sistemi di sicurezza presenti sul mezzo ferroviario Cassazione, sentenza numero 20931, sez. Lavoro, depositata il 22 agosto . Abbandono. Ricostruito nei dettagli l’episodio incriminato. Scenario è un Freccia Argento di Trenitalia il macchinista «abbandona per due volte la cabina di guida, mentre il treno viaggiava ad una velocità di 250 chilometri orari», in un caso per «ottenere un quotidiano» e in un altro caso «per richiedere un drink all’addetta al ‘servizio di ristorazione’ della ‘prima classe’». A inchiodare il lavoratore sono anche alcuni passeggeri, che ne hanno notato la presenza fuori dalla cabina di guida. Drastica la reazione dell’azienda, che opta per il licenziamento. Il duro provvedimento viene ritenuto illegittimo dai giudici del Tribunale, che vengono poi smentiti in Corte d’Appello, dove, accogliendo le obiezioni proposte da ‘Trenitalia’, viene confermato il licenziamento del lavoratore. In particolare, i giudici di secondo grado ritengono rilevanti alcune circostanze accertate in modo definitivo «il lavoratore abbandonava la postazione» pur essendo «l’unico conducente presente nella cabina di guida» e compiva quella scelta quando «il treno viaggiava ad una velocità elevata» «la porta della cabina di guida, da cui il lavoratore si affacciava per fare le sue richieste» era collegata al «posto di guida» da «un piccolo corridoio di servizio, con una distanza, quindi, di più di tre metri» «il regolamento fa divieto assoluto al personale di condotta, salvo ipotesi eccezionali, di abbandonare il posto sul mezzo di trazione in attività di servizio», con l’aggiunta che «il sistema di rilevazione automatico della presenza di ostacoli non funziona in ogni caso» infine, è escluso che «la nozione di ‘abbandono’, nella previsione del regolamento, sia connotata dalla necessità di una durata minima». Per chiudere il cerchio, poi, i Giudici d’Appello osservano che «la lunghissima esperienza vantata dal lavoratore quale conducente lo rendeva ben consapevole dei rischi cui esponeva il mezzo ed i suoi passeggeri» e aggiungono che «il forte pregiudizio per l’azienda, connesso alla possibilità di un incidente di un convoglio lanciato a 250 chilometri orari, con a bordo quattrocento passeggeri, era acuito dal fatto che l’abbandono del posto di guida veniva notato dai passeggeri del vagone di prima classe, prospiciente alla porta della cabina di guida». Rischi. Inutili si rivelano le obiezioni mosse in Cassazione dal legale del lavoratore. Anche per i Giudici del Palazzaccio, difatti, è legittimo il licenziamento deciso da Trenitalia, alla luce del comportamento tenuto dal dipendente che «lede irreparabilmente il rapporto di fiducia con l’azienda». Una volta accertato che «il lavoratore si è allontanato dalla postazione di guida, contravvenendo alle disposizioni aziendali, avendo fatto completo affidamento su di un sistema meccanico non in grado di rilevare tutti gli ostacoli», è giustificato, secondo i giudici, il drastico provvedimento adottato dall’azienda. E a questo proposito viene sottolineato, come già fatto in Appello, il curriculum professionale del macchinista, con una «lunghissima esperienza» alle spalle e, quindi, con una logica «consapevolezza dei rischi cui esponeva il mezzo ed i suoi passeggeri». A rendere legittima la reazione di ‘Trenitalia’, infine, osservano i magistrati della Cassazione, il fato che «l’abbandono del posto di guida era stato notato ed il relativo pericolo percepito dai passeggeri del vagone di ‘prima classe’, prospiciente la cabina di guida da cui si affacciava il macchinista».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 aprile – 22 agosto 2018, numero 20931 Presidente Nobile – Relatore Marchese Fatti di causa 1. La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza nr. 3198 del 2016, accoglieva il reclamo proposto ai sensi della legge nr. 92 del 2012, articolo 1, comma 58, avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a Ma. Ma. da Trenitalia S.p.A. in relazione alla condotta di «abbandono, durante la guida del treno Freccia Argento per due volte della cabina di guida, mentre il treno viaggiava ad una velocità di 250 km orari, la prima volta per ottenere un quotidiano e la seconda per richiedere un drink alla addetta al servizio di ristorazione di prima classe». 2. La Corte territoriale osservava che la condotta posta in essere dal lavoratore era riconducibile alla fattispecie di cui all'articolo 64 del CCNL di settore, contestata dall'azienda, sia dal punto di vista materiale che dell'elemento psicologico. 3. In punto di fatto, osservava che una serie di circostanze erano sostanzialmente incontestate e confermate dai testi. Risultava, in particolare, incontestato a che in quel momento id est quando il dipendente abbandonava la postazione il lavoratore era l'unico conducente presente nella cabina di guida b che in entrambi i momenti in cui lo stesso lasciava il posto di guida, il treno viaggiava ad una velocità elevata almeno 250 km orari c che la porta della cabina di guida, da cui il lavoratore si affacciava per fare le sue richieste era inframezzata dal posto di guida da un piccolo corridoio di servizio, con una distanza, quindi, dallo stesso, di più di tre metri. Inoltre era pacifico che il regolamento manuale di mestiere-processo di condotta del 15.9.2013 facesse divieto assoluto al personale di condotta, salvo ipotesi eccezionali, di abbandonare il posto sul mezzo di trazione in attività di servizio ed, altresì, che il sistema di rilevazione automatico della presenza di ostacoli non funzionasse in ogni caso. In proposito, la Corte territoriale escludeva che la nozione di «abbandono», nella previsione del manuale, fosse connotata dalla necessità che lo stesso avesse una durata minima. 4. Quanto all'elemento psicologico, osservava che la fattispecie della «violazione dolosa di leggi, regolamenti o divieti che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla azienda o a terzi» era integrata dalla consapevolezza della violazione, non richiedendosi, invece, che il dolo si estendesse, oltre che alla diretta percezione di non osservanza di un divieto, anche ai possibili nocumenti conseguenti a tale inosservanza ed alla loro gravità. Rilevava, comunque, che la lunghissima esperienza vantata dal dipendente, quale conducente, lo rendeva ben consapevole dei rischi cui esponeva il mezzo ed i suoi passeggeri e che il forte pregiudizio per l'azienda, connesso alla possibilità di un incidente di un convoglio lanciato a 250 km/h, con a bordo 400 passeggeri, era acuito dal fatto che l'abbandono del posto di guida veniva notato dai passeggeri del vagone di prima classe, prospiciente alla porta della cabina di guida. 5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Ma. Ma., affidato a tre motivi. 6. Ha resistito, con controricorso, Trenitalia S.p.A., illustrato con memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ. è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 115 e 116 cod.proc.civ. nonché degli articolo 414, 416 e 434 cod.proc.civ. nonché dell'articolo 1, commi 48, 53, 59, della legge nr. 92 del 2012 nonché degli articolo 2119 e 2697 del cod.civ. e dell'articolo 5 della legge nr. 604 del 1966. Inoltre ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. è dedotto l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, inteso anche come esame apparente e/o perplesso e/o incomprensibile. La sentenza impugnata è censurata per aver ritenuto «incontestato» il fatto che il treno al momento dei due episodi fosse lanciato a 250 km/h. La circostanza, affermata dall'azienda, era sempre stata contestata dal lavoratore a conferma dell'erroneità della statuizione, la parte ricorrente ha dedotto che l'asserito abbandono del posto di lavoro avveniva «subito dopo la partenza del treno dalla stazione di Roma Tiburtina» e, dunque, in un momento in cui la velocità del convoglio non poteva che essere minima e, comunque, molto lontana dai 250 km/h. La Corte di appello, inoltre, avrebbe omesso di considerare, ai fini della valutazione dell'elemento psicologico del dolo, le modalità di funzionamento dei tre sistemi di sicurezza operanti nella cabina di conduzione dei locomotori e la sottoscrizione di accordo sindacale del 15.5.2009 con il quale, nel sopprimere il secondo macchinista, la società assicurava la totale copertura della sicurezza del convoglio da parte dei sistemi automatici ed ancora le continue assicurazioni fornite dalla società alle organizzazioni sindacali dei lavoratori sul fatto che i tre sistemi di sicurezza automatici fossero equivalenti ad un secondo macchinista. Secondo la parte ricorrente tali elementi, mai contestati dalla società, se considerati dalla Corte, avrebbero dato conto del fatto che il lavoratore aveva agito nella convinzione di non poter mettere a repentaglio la sicurezza del convoglio. Ha censurato, inoltre, l'interpretazione della Corte territoriale in merito al concetto di «abbandono» che, tratto dal Manuale di Mestiere Processo Condotta, deve invece intendersi riferito «all'allontanamento dalla postazione di conduzione per un rilevante o almeno apprezzabilmente protratto lasso di tempo e tale da perdere per tale tempo il controllo della guida». I giudici di merito omettevano di considerare che il lavoratore, alzatosi dalla poltrona di conduzione, si era affacciato alla porta del vano locomotiva senza distogliere lo sguardo dai comandi che, per lunghi tratti, funzionano senza necessità di alcun intervento da parte del macchinista. 2. Il motivo è complessivamente da respingere. 3. I rilievi mossi alla sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto «non contestata» la circostanza della velocità di marcia del treno, così -evidentemente ponendo a fondamento della decisione un elemento non ritualmente acquisito al giudizio, difettano, ancor prima che di decisività, del carattere di specificità. In virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui si deduca l'erronea applicazione del principio di non contestazione non può, infatti, prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata o non integrata la non contestazione di determinati fatti cfr., in argomento, Cass. nr. 3023 del 2016 Cass. nr. 20637 del 2016, in motivazione Cass. nr. 3302 del 2018 , onere, nella specie, non soddisfatto. 4. Analogo rilievo di inammissibilità si impone per la censura che attinge la valutazione di «abbandono del posto di lavoro» in quanto fondata sulla nozione tratta dal regolamento aziendale Manuale di Mestiere Processo condotta che non risulta né trascritto, sia pure nei passaggi essenziali, né indicato specificamente tra i documenti prodotti. 5. Per il resto, le censure investono la sentenza in relazione alla ricostruzione della fattispecie di causa, sicché anche la deduzione delle violazioni di legge contenuta nella rubrica del motivo scherma in realtà deduzione di vizi di motivazione. Si incorre nell'equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale e sostanziale dipendano o ad ogni modo siano dimostrate dall'erronea valutazione del materiale probatorio. Al contrario, una questione di violazione delle regole di formazione della prova id est degli articolo 115 e 116 cod. proc. civ. si pone solo nel caso sia idoneamente allegata l'utilizzazione di prove non acquisite in atti o la valutazione, da parte dei giudici di merito, di prove legali secondo prudente apprezzamento o, al contrario, il recepimento, senza apprezzamento critico, di elementi di prova soggetti, invece, a valutazione Cass. 27.12.2016, nr. 27000 parimenti, una questione di violazione dell'articolo 2967 cod.civ. ricorre solo nel caso in cui il giudice attribuisca l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne è onerata. La Corte partenopea non è incorsa in nessuna di dette violazioni tuttavia, le censure, seppure esaminate sotto il denunciato vizio di motivazione, si arrestano al rilievo di inammissibilità, non configurando l'ipotesi contemplata dall'articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. La sentenza è soggetta al regime stabilito dal D.L. nr. 83 del 2012, articolo 54 conv. con legge nr. 134 del 2012, essendo stata depositata nel 2016 giova, allora, rammentare che il nuovo testo del nr. 5 dell'articolo 360 cod. proc. civ. introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte Cass., sez.unumero , nr. 19881 del 2014 Cass., sez. unumero , nr. 8053 del 2014 la riformulazione dell'articolo 360, primo comma, nr. 5, cod. proc. civ., disposta dall'articolo 54 del d.l. nr. 83 del 2012 deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'articolo 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione è pertanto denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile». Al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito. L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti per tutte Cass., S.U. 22.9.2014 nr 19881 Cass. S.U. 7.4.2014 nr. 8053 . 7. Con il secondo motivo, ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ. è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 414,416 e 436 cod.proc.civ., degli articolo 1362, 1363, 1366, 1367, 1369, 1370 e 1371, 2119 e 2697 cod.civ. nonché degli articolo 60,61,62,63 e 64 del CCNL del settore mobilità 20.7.2012 , del comma 4 dell'articolo 18 della legge nr.300 del 1970 nonché dell'articolo 30 della legge nr. 193 del 2010. Inoltre ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. è dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, inteso anche come esame apparente e/o perplesso e/o incomprensibile. Parte ricorrente lamenta, essenzialmente, l'interpretazione della norma contrattuale articolo 64 CCNL come operata nella impugnata sentenza. Deduce che, ai fini dell'integrazione, sotto il profilo soggettivo, della condotta di «violazioni dolose di leggi, regolamenti, o dei doveri che possono arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio all'azienda» sarebbe necessaria la piena coscienza, consapevolezza e volontà di mettere a grave repentaglio la incolumità di persone e l'integrità di materiali aziendali e che, dunque, il dolo richiesto dall'articolo 64 del CCNL sarebbe individuabile in «una scelta pienamente voluta di rischiare un incidente di rilevante gravità» e che un tale elemento è da escludere nella fattispecie concreta non avendo il lavoratore «scientemente voluto mettere a repentaglio la vita dei passeggeri, con rischi di deragliamento». 8. Il motivo è infondato. 9. Quanto al profilo che concerne la violazione di norme di diritto, occorre osservare che l'articolo 64 del CCNL Settore Mobilità Area «Attività Ferroviarie» del 20.7.2012 stabilisce la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso per ogni mancanza che lede irreparabilmente il rapporto di fiducia con l'azienda e, alla lettera c , prevede espressamente la sanzione espulsiva «per violazioni dolose di leggi, di regolamenti o dei doveri che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio all'azienda o a terzi». Osserva la Corte che l'ipotesi contrattuale prevede una condotta di mero pericolo «violazioni [ ] che possano arrecare» che, sul piano soggettivo dell'elemento psicologico, è integrata dal dolo generico, ovvero dalla consapevole scelta di violare la legge, i regolamenti o i doveri scaturenti dal rapporto di lavoro, non essendo, invece, richiesto che il comportamento sia dettato dallo scopo specifico di arrecare un forte pregiudizio all'azienda o a terzi. Questa Corte, in relazione ad altra disposizione contrattuale perché riferita a diverso contratto collettivo, ma del medesimo tenore letterale, articolo 54, comma 6, lett. c CCNL POSTE «per violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri d'ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o a terzi [ ]» , ha escluso la necessità del dolo specifico o intenzionale, ossia caratterizzato dall'intento di conseguire una determinata finalità, osservando come dello stesso «non vi [fosse] alcuna traccia nella succitata norma pattizia, che, facendo semplicemente riferimento alla natura dolosa delle violazioni, contempla in tal modo la sussistenza solamente di un dolo generico» in termini, Cass. nr. 28962 del 2017 in argomento, anche Cass. nr. 24367 del 2015 . L'accertamento del dolo generico, in termini di consapevole inosservanza del divieto di allontanarsi dalla postazione di conduzione, è stato puntualmente compiuto dai giudici di merito con giudizio in fatto non adeguatamente censurato in questa sede. Valgono, infatti, per il vizio di motivazione, le considerazioni espresse in relazione al primo motivo. 10. Con il terzo motivo -ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cod. proc. civ. è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 115 e 116 cod. proc. civ. e 1455, 2106 e 2697 cod.civ. Inoltre ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. è dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, inteso anche come esame apparente e/o perplesso e/o incomprensibile. La parte ricorrente assume che la Corte di Appello avrebbe omesso qualunque valutazione e motivazione della gravità, in concreto, della condotta e, quindi, della proporzionalità della sanzione. 11. Il motivo è infondato. 12. Quanto alla deduzione di violazione di legge reiterandosi per il vizio di motivazione le considerazioni già espresse in relazione agli altri motivi , deve essere ribadito, in questa sede, che il giudice di merito investito della domanda con cui si chieda l'invalidazione di un licenziamento disciplinare, accertatane in primo luogo la sussistenza in punto di fatto, deve verificare che l'infrazione contestata sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo di recesso in caso di esito positivo di tale delibazione, deve poi apprezzare in concreto la gravità dell'addebito, essendo pur sempre necessario che esso rivesta il carattere di grave negazione dell'elemento essenziale della fiducia e che la condotta del dipendente sia idonea a ledere irrimediabilmente la fiducia circa la futura correttezza dell'adempimento della prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore dipendente rispetto all'adempimento dei suoi obblighi cfr., ex aliis, Cass. numero r. 15058 del 2015 Cass. nr. 2013 del 2012 Cass. nr. 2906 del 2005 Cass. nr. 16260 del 2004 . A tal fine, sempre secondo costante giurisprudenza, bisogna tener conto di tutti i connotati oggetti e soggettivi del fatto, vale a dire del danno arrecato, dell'intensità del dolo o del grado della colpa, dei precedenti disciplinari nonché di ogni altra circostanza tale da incidere in concreto sulla valutazione del livello di lesione del rapporto fiduciario tra le parti. 13. La sentenza impugnata si è attenuta a tali insegnamenti. Il fatto oggetto di contestazione disciplinare è stato accertato. La Corte distrettuale ha osservato come il Ma. si fosse allontanato dalla postazione di guida, contravvenendo alle disposizioni aziendali, ed avesse fatto completo affidamento su di un sistema meccanico non in grado di rilevare tutti gli ostacoli. La condotta, correttamente, è stata inquadrata in termini di giusta causa. Ai fini del giudizio di gravità in concreto, i giudici di merito hanno valorizzato l'elemento soggettivo laddove hanno considerato la «lunghissima esperienza» vantata dal dipendente quale circostanza che connotava, evidentemente, più intensamente il profilo psicologico, per essere il Ma. assolutamente «consapevole dei rischi cui esponeva il mezzo ed i suoi passeggeri» inoltre, nel valutare il forte pregiudizio in relazione al pericolo derivante da un possibile incidente del treno che aveva a bordo 400 passeggeri, i giudici di merito hanno evidenziato, sul piano oggettivo, che il danno, per la società, era «acuito» dal fatto che l'abbandono del posto di guida era stato notato ed il pericolo, dunque, percepito dai passeggeri del vagone di prima classe, prospiciente la porta della cabina di guida da cui «si affacciava» il dipendente. La sentenza impugnata ha, quindi, valutato ogni aspetto della condotta concreta sicché anche, in parte qua, è immune dalle censure mosse. 14. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. PQM La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.