‘Foto segnaletica’ in prima pagina, ma il ‘ritocco’ salva il quotidiano...

Nessuna lesione del diritto alla riservatezza nei confronti di un uomo, arrestato per furto di energia elettrica, ritrovatosi sbattuto in prima pagina da un quotidiano locale. Pomo della discordia l’utilizzo di una ‘foto segnaletica’, scattata dalle forze dell’ordine. Ma, senza numeri identificativi, quell’immagine è da valutare come simile alla foto di qualunque documento di identità.

‘Palcoscenico’ e ‘riflettori’ assolutamente non graditi per un uomo che, arrestato per furto di energia elettrica, si ritrova pubblicata la propria ‘foto segnaletica’, effettuata dalle forze dell’ordine, sulla prima pagina del quotidiano locale, e perfino riportata sulla ‘locandina’ esposta nelle edicole. Nonostante tutto, però, l’azione compiuta dal quotidiano non è sanzionabile come violazione della privacy per la semplice ragione che la ‘foto segnaletica’ è stata ‘ritoccata’ ad arte, rendendola simile, ad esempio, alla foto utilizzata di solito per la carta d’identità. Cassazione, sent. numero 194/2014, Terza Sezione Civile, depositata oggi In prima pagina Davvero difficile da ‘digerire’ la scoperta fatta dall’uomo arrestato per «furto di energia elettrica» poco gradevole – eufemismo – ritrovare la ‘foto segnaletica’, scattata dalle forze dell’ordine, sulla prima pagina del quotidiano locale, e sulla relativa ‘locandina’ presente nelle edicole. Scontata la reazione dell’uomo, ovviamente risentitosi per essere stato esposto al pubblico ludibrio la società editrice del quotidiano viene citata in giudizio per il «risarcimento del danno non patrimoniale» conseguente alla lesione del «diritto alla riservatezza» frutto della «pubblicazione di una foto tratta dal cosiddetto ‘cartellino fotosegnaletico’». Meno scontata, invece, la decisione dei giudici del Tribunale, i quali escludono ab origine l’ipotesi di una lesione del «diritto alla riservatezza». Perché viene «escluso che la foto pubblicata potesse qualificarsi come ‘foto segnaletica’, essendo stata privata dei numeri identificativi» e, soprattutto, essendo «non diversa dalla foto di qualunque documento di identità». Una volta «equiparata la pubblicazione dell’immagine alla pubblicazione delle generalità identificative di un soggetto», è stata ritenuta «lecita la pubblicazione in occasione della notizia di un fatto penalmente rilevante, perché essenziale all’esercizio del diritto di cronaca». Ciò anche tenendo presente la «‘pertinenza’, pur in presenza di un reato non grave, per via del contesto locale» e della «‘continenza formale’, non trattandosi di immagine con ferri ai polsi o in condizioni che rendono palese lo stato di detenzione». Foto comune. Ebbene, in teoria è ipotizzabile una violazione per la «pubblicazione di una ‘foto segnaletica’» – tasto, questo, su cui batte nuovamente l’uomo proponendo ricorso in Cassazione –, ma i giudici del ‘Palazzaccio’, mostrando di condividere l’ottica adottata in Tribunale, ritengono escluse «le caratteristiche della ‘foto segnaletica’, risultando, quella pubblicata, priva dei numeri identificativi». Tale considerazione porta ad azzerare ogni addebito nei confronti della società editrice del quotidiano. Perché, chiariscono i giudici, «la pubblicazione di una foto di persona arrestata, estratta dalle ‘foto segnaletiche’ effettuate dalle forze dell’ordine ma priva dei numeri identificativi propri delle ‘foto segnaletiche’, non costituisce foto di persona in stato di detenzione», sempre che, come in questa vicenda, tale foto non sia diversa dalle «comuni foto identificative». Di conseguenza, parlandosi di «persona a cui è attribuito un reato», la pubblicazione è da valutare come «essenziale per l’esercizio del diritto di cronaca, in relazione all’interesse pubblico alla identificazione del soggetto», ovviamente nel rispetto dei «limiti della pertinenza e della continenza». Nessuna violazione, quindi, è ipotizzabile a carico della società editrice, e nessun danno è ipotizzabile a favore dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 novembre – 9 gennaio 2014, numero 194 Presidente Berruti – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. Con ricorso al Tribunale di Bolzano del 2007, riassunto dinanzi al Tribunale di Rovereto dopo la dichiarazione di incompetenza territoriale, l’ing. S.M. convenne in giudizio la società editrice S. Spa del quotidiano “Trentino”. Chiese il risarcimento del danno non patrimoniale per essere stato leso il diritto alla riservatezza mediante la pubblicazione sul suddetto quotidiano, e su una locandina collegata, di una propria foto tratta dal cd. “cartellino fotosegnaletico”, in occasione del suo arresto per furto di energia elettrica. Il Tribunale - con sentenza pronunciata mediante lettura del dispositivo il 18 marzo 2009 e depositata il successivo 19 marzo - rigettò la domanda e compensò integralmente tra le parti le spese di lite. 2. Avverso la suddetta sentenza, M. propone ricorso per cassazione con due motivi. La società editrice si difende con controricorso. Chiede, inoltre, la condanna del soccombente ex articolo 385, quarto comma cod. proc. civ. Motivi della decisione 1. Preliminarmente, va dichiarata l’ammissibilità del ricorso proposto avverso sentenza in unico grado, ai sensi dell’articolo 152 del d.lgs. numero 196 del 2003, nella formulazione applicabile ratione temporis precedente alla modifica operata con il d.lgs. numero 150 del 2011. Invero, il giudice del merito, nel richiamare l’ordinanza emanata dal Tribunale di Bolzano, ha ricondotto l’azione nell’ambito dell’articolo 152 cit. e ha dichiarato manifestamente infondata, oltre che irrilevante, l’eccezione di incostituzionalità sollevata dalla convenuta in riferimento all’omissione dell’appello. La società convenuta non ha proposto su tale profilo ricorso incidentale. 1.1. Il ricorso è stato spedito anche al Garante in materia di protezione dei dati personali la notifica non risulta perfezionata in mancanza dell’avviso di ricevimento. Il mancato perfezionamento della notifica è irrilevante, non essendo previsto un contraddittorio necessario nei suoi confronti né il Garante era stato parte del giudizio dinanzi al Tribunale. 2. Il Tribunale ha rigettato nel merito la domanda di risarcimento del danno con due argomentazioni alternative la particolarità è che la seconda argomentazione è sviluppata sulla premessa della ipotetica negazione della prima. In estrema sintesi, con la prima ha ritenuto non sussistente la lesione, mediante l’illecito trattamento del dato personale costituto dall’immagine, del diritto alla riservatezza con la seconda, ammessa ipoteticamente la lesione del diritto, ha ritenuto la mancata allegazione del pregiudizio non patrimoniale subito. 3. Con riferimento alla prima ratio decidendi, il Tribunale ha escluso che la foto pubblicata potesse qualificarsi come “foto segnaletica”, essendo stata privata dei numeri identificativi. Poi, in esito alla comparazione con altre foto prodotte in giudizio dal ricorrente, ha ritenuto che, pur essendo stata estratta da quelle segnaletiche precisamente quella frontale effettuate dalle forze dell’ordine in occasione dell’arresto, non fosse diversa dalla foto di qualunque documento di identità. Equiparata la pubblicazione dell’immagine alla pubblicazione delle generalità identificative di un soggetto, ne ha ritenuto lecita la pubblicazione in occasione della notizia di un fatto penalmente rilevante, perché essenziale all’esercizio del diritto di cronaca. Ha riconosciuto i requisiti della “essenzialità” per l’identificazione della persona chiamata a rispondere del reato della “pertinenza” pur in presenza di un reato non grave quale il furto, per via del contesto locale della “continenza formale”, non trattandosi di immagine con ferri ai polsi o in condizioni che rendono palese lo stato di detenzione. In tal modo ha escluso l’illiceità nel trattamento dei dati personali e la lesione del diritto alla riservatezza. 3. 1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione degli articolo 51 e 595 c.p. degli articolo 2, 12, 19 e 137 del t.u. della privacy dell’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti dell’articolo 26 del d.P.R. numero 230 del 2000 dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo oltre a omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione. Il motivo, che non contiene il c.d. quesito di fatto richiesto dalla costante giurisprudenza in riferimento al dedotto vizio motivazionale, ai sensi dell’articolo 366 bis. Cod. proc. civ. applicabile ratione temporis, si conclude con i quesiti di diritto che seguono, i quali sono elencati accorpati per comodità espositiva. a Se può ritenersi legittimala pubblicazione di foto segnaletiche, effettuate per le finalità di cui al 26 del d.P.R. numero 230 del 2000, ovvero se la pubblicazione violi l’articolo 19 del t.u. privacy e l’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Se può ritenersi legittima la pubblicazione di foto segnaletica sulla base dell’articolo 8 del codice deontologico, che autorizza foto di persone in stato di detenzione solo per motivi di interesse pubblico o per fini di giustizia o di polizia. b Se una foto segnaletica può ritenersi confondibile con quelle dei documenti di identità, data la diversa tecnica fotografica e lo stato di stress di chi è fotografato. c Se può ritenersi “pertinente” la pubblicazione di foto di persona arrestata per furto di elettricità. Se può ritenersi “continente” la pubblicazione della suddetta notizia con foto e locandina. 3.2. Le censure non hanno pregio. Con i profili sub a si assume - sostanzialmente - la violazione degli articolo 12, del codice della privacy, dell’articolo 8 del codice deontologico dei giornalisti richiamato dallo stesso, dell’articolo 8 CEDU, sul presupposto della pubblicazione di una foto segnaletica, effettuata dalle forze dell’ordine. Invece, il Tribunale ha escluso le caratteristiche delle foto segnaletica risultando, quella pubblicata, priva dei numeri identificativi. Di conseguenza, anche considerando la foto segnaletica quale foto effettuata in stato di detenzione, per la cui pubblicazione sono richieste condizioni particolari dal codice deontologico articolo 8, in particolo commi 2 e 3 , alla ricorrenza delle quali è subordinata la liceità e la correttezza nel trattamento dei dati personali secondo le previsioni del codice della privacy articolo 12 , nella specie non può ipotizzarsi la violazione delle suddette norme in mancanza del carattere di foto segnaletica e, quindi, di foto in “stato di detenzione”, della foto pubblicata. Mentre, proprio alle foto segnaletiche si riferiscono sia il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 19 marzo 2003, richiamato anche nella sentenza, sia la sentenza CEDU 11 gennaio 2005, richiamata dal ricorrente. Con la censura sub b si critica la valutazione in punto di fato effettuata dal giudice del merito, secondo il quale, sulla base delle foto di comparazione, la foto tratta da quelle segnaletiche non era dissimile da un documento identificativo. Critica, svolta, peraltro senza un idoneo quesito di fatto. Con la conseguenza che ne è impedito il sindacato alla Corte di legittimità. Le censure sub c , che attengono alla diffusione di dati per finalità giornalistiche e ai limiti del diritto di cronaca a tutela del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali articolo 137 e 2 codice privacy , prospettano essenzialmente il mancato rispetto dei limiti della pertinenza e della continenza. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la diffusione dell’immagine di persona cui è attribuito un reato, quale dato personale sottoposto allo stesso trattamento dei dati identificativi anagrafici, è essenziale per l’esercizio del diritto di cronaca in relazione all’interesse pubblico alla identificazione del soggetto Cass. 18 marzo 2008, numero 7261 e, peraltro, il ricorso non mette in discussione il carattere di essenzialità. Mentre, si limita a prospettare una diversa valutazione del limite della “pertinenza” e di quello della “continenza”, rispetto ai quali il Tribunale ha congruamente e logicamente argomentato in riferimento al rilievo a carattere locale anche di un reato non grave e al carattere “ordinario” della foto pubblicata. In definitiva, il motivo va rigettato in applicazione del seguente principio di diritto «La pubblicazione su un quotidiano di una foto di persona arrestata, estratta dalle foto segnaletiche effettuate dalle forze dell’ordine ma priva dei numeri identificative propri delle foto segnaletiche, non costituisce foto di persona in “stato di detenzione” qualora il giudice l’abbia ritenuta non diversa dalle comuni foto identificative, con la conseguenza che per la liceità della pubblicazione della stessa non valgono le disposizioni previste dal codice deontologico dei giornalisti articolo 8 , richiamate dall’articolo 12 del codice della privacy mentre, trattandosi della diffusione per finalità giornalistiche dell’immagine, quale dato personale sottoposto allo stesso trattamento dei dati identificativi anagrafici, di persona cui è attribuito un reato, la pubblicazione è essenziale per l’esercizio del diritto di cronaca in relazione all’interesse pubblico alla identificazione del soggetto e deve rispettare, come nella specie accertato dal giudice del merito, gli ulteriori limiti della pertinenza e della continenza». 4. Il giudice ha, poi, ritenuto che la mancata indicazione, anche a livello di mera allegazione, delle concrete conseguenze pregiudizievoli non patrimoniali subite per effetto della lesione del diritto vantato, costituisse «un altro motivo dirimente di rigetto della domanda» anche a non voler condividere il rigetto della domanda fondato sulla mancata lesione del diritto alla riservatezza mediante l’illiceità nel trattamento del dato personale costituito dall’immagine. In particolare, ha sottolineato che, secondo il ricorrente, il danno non patrimoniale conseguirebbe all’accertamento della lesione dell’interesse protetto, mentre secondo la Corte di legittimità non sarebbe risarcibile la sola lesione dell’interesse ma solo il cd. danno conseguenza. Quindi, ha escluso rilievo alla allegazione dubitativa dello stato di disoccupazione, persistente ad oltre due anni dalla pubblicazione della notizia, anche perché la stessa avrebbe potuto fondare, in ipotesi, solo una richiesta di danno patrimoniale. 4.1. Con il secondo motivo, si censura l’argomentazione suddetta del giudice e si deduce la violazione degli articolo 2050, 2059 e 2727 cod. civ dell’articolo 115 cod. proc. civ. dell’articolo 15 del d.lgs. numero 196 del 2003 unitamente a omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione. Il motivo di censura è assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso. 4.2. Presupposto delle argomentazioni del giudice è la ipotetica non condivisione della prima argomentazione, che fonda il rigetto della domanda sulla mancanza di lesione del diritto all’immagine tutelato dall’ordinamento. Di conseguenza, il rigetto del primo motivo, con conseguente fondazione della sentenza impugnata sulla non esistenza della lesione di un diritto tutelato, assorbe completamente il secondo motivo di ricorso facendone venir meno il presupposto, sia pure ipoteticamente assunto. Solo l’accoglimento del primo motivo e il riconoscimento di un diritto leso avrebbe potuto far divenire rilevante la seconda argomentazione del giudice e la censura formulata nei confronti della stessa. 5. In conclusione, il primo motivo va rigettato e il secondo motivo è assorbito. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. numero 140 del 2012, seguono la soccombenza. 5.1. Non ha pregio la richiesta, avanzata dalla società controricorrente, di condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 385, u.c. cod. proc. civ., applicabile ratione temporis. Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, affinché sussistano le condizioni per l’applicazione dell’articolo 385, ultimo comma, cod. proc. civ. - introdotto dall’articolo 13 del d.lgs. numero 40 del 2006 e poi abrogato dalla legge numero 69 del 2009, per i giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore 4 luglio 2009 - occorre la dimostrazione, eventualmente in via indiziaria, che la parte soccombente abbia agito, se non con dolo, almeno con colpa grave, intendendosi con tale formula la condotta consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona fede tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in violazione del dovere di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate.» Cass. 18 gennaio 2010, numero 654 . Nella specie, si verte in ipotesi di mera infondatezza della tesi sostenuta e la stessa controricorrente si limita a generiche deduzioni. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.